CREMA – Sabato torna la rassegna Storici dell’arte a Palazzo Vescovile: la ‘Madonna Tadini’

Sabato 9 marzo 2019 alle ore 16,30 si terrà il quinto appuntamento invernale della rassegna Storici dell’arte in Palazzo Vescovile organizzata dalla Libreria Cremasca in collaborazione con la Diocesi di Crema. Ospite sarà Marco Albertario, direttore della Galleria dell’Accademia di Belle Arti Tadini di Lovere, che presenterà il volume Jacopo Bellini. La Madonna Tadini. Studi e ricerche intorno a un restauro(Scalpendi Editore, Milano 2018) da lui curato insieme ad Antonio Mazzotta.

Dott. Albertario, qual è stato il suo percorso di studi e cosa l’ha spinta a occuparsi di storia dell’arte?

Il mio percorso di studi è anomalo. Ho frequentato un istituto professionale per il turismo, e debbo ai miei insegnanti la passione per le materie umanistiche. La scelta di un istituto professionale era motivata dalla possibilità di poter lavorare subito dopo la maturità e si è rivelata utile, perché ho subito ottenuto l’abilitazione come Guida turistica. Ho continuato a lavorare durante tutto il percorso dei miei studi, fino a quando sono arrivato a Lovere. Il successivo percorso di formazione è scandito in tappe: la laurea presso l’Università di Pavia, la specializzazione in storia dell’arte presso l’Università Cattolica, il dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano. Ma accanto a questo debbo ricordare la formazione museale (quando mi sono laureato io, non si insegnava ancora museologia) con la dott.ssa Donata Vicini presso i Musei Civici di Pavia, successivamente presso i Musei Civici di Novara. Tra due anni, festeggio le nozze d’argento con il “Museo”, un’istituzione che mi ha dato molto e alla quale spero di poter restituire qualche cosa.

Da quanti anni è direttore della Galleria dell’Accademia di Belle Arti Tadini di Lovere?

Ho cominciato a lavorare a Lovere nell’aprile del 2005 come conservatore, un ruolo già coperto da Giovanni Valagussa e poi da Massimiliano Capella. Il titolo di direttore è venuto dopo, grazie all’intervento del presidente dell’Accademia, Roberto Forcella. Il contesto nel frattempo era radicalmente cambiato, l’Accademia si avviava al passaggio tra Ente morale e Fondazione e occorreva ridefinire i ruoli.

La collezione fu creata dal nobile cremasco Luigi Tadini (Verona, 1745 – Lovere, 1829) e avrebbe dovuto costituire il primo nucleo del Museo Civico di Crema. Per dissidi con l’amministrazione comunale, il conte decise di lasciare la città e trasferirsi a Lovere dove nel 1829 fondò l’Accademia che ospitava il museo e scuole di musica e disegno. Sono dunque molti i legami tra la collezione e la nostra città. In questi anni è riuscito a portare avanti dei progetti di ricerca insieme ai Cremaschi?

I progetti di collaborazione con Crema sono cominciati in modo quasi casuale curando la tesi di Marianna Belvedere dedicata al Libro delle Pitturedi Giuseppe Crespi, un importantissimo censimento del patrimonio artistico locale promosso dalla Serenissima e condotto nel 1774. La tesi di Marianna Belvedere poi è stata pubblicata grazie alla collaborazione del Museo Civico di Crema e del Cremasco.

Di una vera e propria collaborazione però si può parlare solo con l’istituzione della Società Storica cremasca nel 2010. L’Associazione ha avuto sempre la cortesia di informarmi sui progetti in corso, e nel 2013-14 abbiamo seguito insieme l’edizione dellaStoria di Cremacommissionata dal conte Tadini, all’abate Bartolomeo Bettoni, curata da Michele Sangaletti. In quella sede, Gabriele Cavallini ha potuto mettere a fuoco le motivazioni della fuga“ del conte da Crema e del suo rientro a Lovere.

Crema ha un patrimonio fortemente identitario, una parte del quale è conservato presso l’Accademia. Sarebbe utile e interessante che nei prossimi anni si potesse avviare una collaborazione anche con il Museo Civico che deve rappresentare per la cultura cittadina un punto di riferimento.

Il volume raccoglie una serie di saggi che esaminano da vari punti di vista un dipinto di Jacopo Bellini, databile al 1450 circa, raffigurante al Madonna col Bambino. Cosa sappiamo della sua origine e come ne venne in possesso il conte Tadini?

Il volume è nato come opera di collaborazione: il mio compito è stato quello di individuare le persone giuste per mettere a fuoco una serie di problemi intorno a un’opera di grande importanza, che come tale meritava di essere valorizzata. La prima segnalazione, secondo un’attendibile ipotesi sostenuta da Antonio Mazzotta, lo colloca nel 1808 nel parlatorio delle monache del convento di Santa Maria degli Angeli a Murano. La disponibilità dell’opera va quindi messa in rapporto con la soppressione degli enti ecclesiastici: nel primo catalogo a stampa della collezione del conte, è riportata una provenienza dell’opera dal convento veneziano del Corpus Domini dove erano state raccolte, intorno al 1808-1809, opere provenienti da altri conventi soppressi. Il conte doveva essere soddisfatto del suo acquisto, se il 10 aprile 1812 scrive, in proposito, all’abate Mauro Boni. Da quel momento, l’opera è stata tra i capolavori della Galleria.

Nel 2017-18 il dipinto è stato oggetto di un nuovo intervento di restauro: qual è la storia conservativa dell’opera e cosa si è ottenuto con l’ultimo intervento?

La ricerca sugli interventi precedenti è stata un passaggio necessario per poter mettere a fuoco la metodologia corretta, ma soprattutto per stabilire degli obiettivi: che cosa volevamo ottenere con il restauro? Attraverso una serie di ricerche è stato possibile scoprire e documentare la storia conservativa dell’opera. Èpossibile che, subito dopo l’acquisto, il dipinto abbia subito un primo intervento di restauro voluto dal conte Tadini. Lo stato di conservazione dell’opera non doveva essere buono. Tra il 1857 e 1866 il bergamasco Giuseppe Rillosi interviene ridefinendo il sistema delle pieghe e ridipingendo lo sfondo della MadonnaTadini. Lo stato dell’opera dopo il restauro è documentato da una importante fotografia, che abbiamo potuto pubblicare grazie alla grande disponibilità della Fondazione Negri di Brescia. Nel 1900 l’opera è restaurata da Luigi Cavenaghi, che esegue anche il trasporto da tavola a tela. Al suo intervento si deve l’immagine dell’opera che abbiamo imparato a conoscere, quella pubblicata su tanti manuali. Tuttavia, ha agito con molto rispetto e molta attenzione, da quel bravo restauratore che era.

La conoscenza di questa storia, e di altri dati (che troverete poi individuati nel volume) sono stati il punto di partenza per l’ultimo intervento sostenuto da Intesa Sanpaolo, affidato a Roberta Grazioli e affiancato dalle indagini diagnostiche effettuate da Vincenzo Gheroldi e Sara Marazzani finanziate dal Circolo Amici del Tadini. Il lavoro è durato dieci mesi. Il restauro ha cambiato radicalmente l’immagine del dipinto: il dato più significativo e meglio apprezzabile è il recupero dello sfondo azzurro, che ricorda i cieli veneziani.

Dopo l’esposizione a Venaria Reale nel 2018, a cavallo tra la fine dell’anno scorso e il gennaio 2019, l’opera è stata presentata nei Musei del Castello Sforzesco di Milano in una mostra curata da lei e da Francesca Tasso, con quali obbiettivi?

L’idea era quella di consentire a un pubblico più ampio la conoscenza dell’opera. L’Accademia osserva un’apertura stagionale, per cui il ritorno del dipinto da Restituzioni 2018sarebbe venuto a coincidere con un momento di chiusura. Cercavo un’istituzione milanese disponibile a esporre l’opera integrando il proprio patrimonio. Il Castello Sforzesco ha risposto con una grande disponibilità per la quale debbo ringraziare il dottor Claudio Salsi. Insieme alla dott.ssa Francesca Tasso è nata l’idea di accostare il dipinto a un’opera di Giovanni Bellini, figlio di Jacopo. Molti amici e colleghi hanno avuto l’opportunità di vederlo a Milano. A Lovere, il contesto sarà diverso.

Come sarà presentata l’opera a Lovere?

A Lovere il Consiglio di Amministrazione dell’Accademia – sollecitata dal presidente Roberto Forcella – si è impegnato, grazie ad un co-finanziamento di Regione Lombardia e di Fondazione Comunità Bergamasca, a sostenere il restauro della Sala neogotica allestita dal conte Tadini per ospitare una serie di capolavori della pittura veneziana, da Jacobello di Bonomo a Jacopo Bellini ai Vivarini. L’obiettivo era quello di restituire un ambiente collezionistico di primo Ottocento, secondo le linee guida che ho impostato per il recupero della Galleria. L’intervento, condotto da Silvia Conti, ha portato a risultati eccellenti. Èstato realizzato anche un nuovo impianto d’illuminazione. Importantissima è stata, in tutte queste fasi, dal restauro del dipinto a quello della sala, la stretta collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia, nella persona del dottor Angelo Loda e dell’architetto Gaetano Puglielli.

IlCircolo degli Amici del Tadiniha finanziato un progetto di ricerca realizzato da Marsel Grosso relativo ai taccuini di Giovan Battista Cavalcaselle che ebbe modo di vedere e studiare l’opera nel 1857 e nel 1866. Cosa è emerso da queste ricerche?

Questa iniziativa nasce da una mia illusione: che giovani studiosi potessero essere interessati a collaborare con una istituzione museale. Ho quindi impostato un progetto di ricerca dedicato alla fortuna critica del museo attraverso le pagine di grandi conoscitori, da Cavalcaselle a Berenson a Longhi, fino agli anni ’50, e l’ho sottoposto al Circolo Amici del Tadini che ha accettato di sostenerlo erogando un contratto di ricerca annuale. Il lavoro di Grosso rientra in questo progetto, e gli ottimi risultati conseguiti dimostra la bontà del progetto. Dalle ricerche è emersa non solo una ricostruzione dell’attività di Cavalcaselle a Lovere, ma anche tasselli essenziali per la storia conservativa della Madonnadi Jacopo Bellini. Essenziale, in questo passaggio, l’impegno della Biblioteca Marciana di Venezia che ha collaborato con grande generosità.

Sogni nel cassetto?

Mi piacerebbe riuscire a concludere, entro il 2029, il riallestimento della Galleria. E mi piacerebbe poter visitare una mostra, a Crema, sul Rinascimento cremasco co-prodotta dai Musei di Crema e dall’Accademia Tadini, rinnovando la collaborazione che ci fu nel 1997-98 con la mostra L’estro e la realtà.