Rubrica a cura del commercialista del lavoro. Lavoro in appalto: rischi e soluzioni

Rubrica commercialista lavoro
Roberta Jacobone

Spesso le aziende esternalizzano a terzi determinate fasi produttive o lavorative, soprattutto nei settori labour intensive oppure dove si richiedono particolari competenze, complici anche le attuali difficoltà nel reperire manodopera. Da ciò consegue il ricorso frequente ai contratti di appalto con cui un’azienda committente affida a un’impresa terza l’esecuzione di un’opera o di un servizio specifico.
Nella realtà imprenditoriale può però accadere che, anche in assenza di intenti fraudolenti, l’incarico specifico si traduca in mero prestito di manodopera e non nello svolgimento del servizio in modo organizzato e autonomo.
Sia ben chiaro che non è vietato “affittare” la manodopera, ma questa attività è tassativamente riservata alle agenzie per il lavoro con requisiti ad hoc e autorizzate dal Ministero del Lavoro.

Tra imprenditori, invece, la genuinità (o meno) di un appalto si verifica all’origine con tre requisiti in capo all’appaltatore prestatore di servizio: 1) deve essere una vera impresa finalizzata al profitto e non che si limiti a un semplice ribaltamento dei costi del personale che lavora in appalto. Sconsigliatissimo quindi pattuire un corrispettivo per l’appalto commisurato su costo ora/uomo.
2) Non abbia una reale organizzazione, quando non dispone di adeguato personale e disponibilità dei mezzi idonei per compiere l’opera o il servizio pattuiti.
3) Non si assuma rischio e autonomia gestionale, quando i dipendenti dell’appaltatore rispondono alle direttive del committente e non del proprio datore di lavoro, che dovrebbe invece coordinare al meglio per produrre il risultato.
Se queste tre condizioni si verificano è altissimo il rischio che il contratto d’appalto si collochi nella non genuinità, con conseguenze sia fiscali (indetraibilità dell’IVA sulle fatture, indeducibilità ai fini IRAP) che obblighi ai fini previdenziali e giuslavoristici, fino al rischio di assunzione diretta dei lavoratori. Un utile strumento per non incorrere nell’appalto illecito è sottoporre il contratto a certificazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro, il cui nulla osta lo rende “blindato”. Da non dimenticare poi la responsabilità solidale tra committente e appaltatore. Nel caso quest’ultimo fosse inadempiente nei confronti dei suoi dipendenti e degli Enti, il committente sarà chiamato a pagare retribuzioni e contributi al posto suo.

Cosa fare per tutelarsi?

Il committente dovrà verificare la regolarità nel corso della durata dell’appalto, chiedendo all’appaltatore Durc (regolarità contributiva), Durf (regolarità fiscale), Uniemens (flusso contributivo Inps), Dvr (documento di valutazione dei rischi), buste paga dei dipendenti impegnati nell’appalto e copia dei relativi bonifici.
Il recente decreto Pnrr è intervenuto a inasprire gli adempimenti sul contratto di appalto per garantire uniformità ai dipendenti impegnati negli appalti ed evitare che il costo del lavoro diventi una leva per la concorrenza sleale. Nasce quindi l’obbligo a prescindere di applicare ai lavoratori il trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti maggiormente applicati nella zona e nel settore in cui si opera.
Davanti a tutte queste complicazioni ci si chiede se una forma efficace, continuativa ma soprattutto concreta di verifiche da parte degli Ispettori non sarebbe più utile a contrastare i contratti d’appalto illeciti, senza appesantire di oneri e lacci le imprese che ne fanno ricorso in modo genuino e giustificato.
Ma si sa, è più facile introdurre nuovi obblighi piuttosto che verificare l’applicazione di quelli già esistenti.

Roberta Jacobone
Commercialista del lavoro – Crema