Domenica 21 aprile. Don Giancarlo Camastra commenta il Vangelo

don Giancarlo

Dal Vangelo secondo Giovanni 10, 11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Don Camastra commenta il Vangelo: il concetto di amore

L’amore è una di quelle “finestre” che ha un forte potere sul cuore dell’uomo, anzi è parte essenziale in ogni fase della vita, tanto che se una persona non vive l’amore oppure se per caso sta vivendo una relazione tossica, l’equilibrio psico-fisico della stessa ne risulterebbe fortemente compromesso. Tuttavia il vero dibattito tra il cristianesimo e la cultura di tutti i tempi è sul concetto stesso di amore.
Il beato Maria Eugenio di Gesù Bambino, uno dei grandi mistici del ‘900, per elaborare il concetto di “amore cristiano” si è basato sul brano del Vangelo di questa domenica e su un altro passo del QV «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Secondo il beato, l’amore per il cristiano si traduce in un dono totale di sé stesso che vuol dire essere in comunione con quel «dare la vita» di Cristo.

Il pastore e il mercenario

Nei primi versetti del Vangelo abbiamo un dittico che ci presenta da un lato Gesù come il Pastore buono che conosce il Padre e conosce le sue pecore, per cui quel «dare la vita» per le pecore è rivelativo dell’amore stesso di Dio.
Santa Teresa di Lisieux affermava che Dio si comporta con ciascuno di noi come se fosse l’unico sulla terra; questo per dire che agli occhi di Cristo non siamo una massa anonima, ma ciascuno è amato in modo personale e unico nel suo genere. L’invito quindi di Gesù è quello di rispondere alla sua chiamata, la quale c’invita ad entrare nell’unicità della sua carità, infatti è solo in questa unicità che è aperta anche per noi la possibilità di donare la vita per i nostri fratelli fino al sacrifico.
Nell’altro quadro del dittico abbiamo la figura del «mercenario» oggi resa più subdola perché mimetizzato molto bene nella società del “like”! Almeno nella fase iniziale, sembra essere molto sottile il confine tra il porsi in un caritatevole ascolto dei fratelli e il cercare il loro consenso magari anche manipolandoli pur di affermare noi stessi o le nostre idee, ma il loro esito è radicalmente differente. Un po’ come una relazione tossica, all’inizio il manipolatore si rivela come la persona giusta nel posto giusto, ma è nel tempo che sprigionerà il suo veleno nella vita del malcapitato e spesso quest’ultimo s’accorge dell’effetto nefasto solo quando si ritrova la vita e la psiche completamente distrutte.

La redenzione

La seconda parte del Vangelo si sposta sulla missione dei discepoli, chiamati a contemplare prima di tutto la grande opera della Redenzione: riunire i due popoli in un solo popolo!
Tuttavia in Gv 10,16 manca verso il finale del versetto il riferimento «all’ovile»; interessante a questo proposito il commento di Xavier Léon-Dufour: «La parola ‘ovile’, d’altra parte, sarebbe stata impropria qui, perché un ovile può contenere numerosi e diversi greggi, mentre nel quadro simbolico il gregge è uno».
La comunità che sembra profilare il Vangelo è strettamente unita e unanime nell’ascolto della voce del buon Pastore, quindi ben radicata nella sua agape. Tuttavia fin dagli inizi della predicazione apostolica la Chiesa ha dovuto fare i conti con minacce di divisioni e con dottrine che hanno creato separazioni, ma mai si è stancata di lavorare per recuperare l’unità, non tanto per una sorta di chissà quale ideologia, ma perché obbediente al comando di Cristo che vuole che il suo popolo di figli sia «uno».

Amare è dare la vita, donare sé stessi

Abbiamo detto all’inizio come il concetto di «amore cristiano» possa tradursi in un dono totale di sé inteso con il «dare la vita» per Cristo. A questa prospettiva viene mossa una critica, ovvero: così facendo si rischia di essere svuotati di sé stessi perché non riceve nulla, ma si dà e basta. In realtà non è così perché ciò che si riceve è l’amore di Dio, anzi il rimanere nell’amore di Dio (cfr. Gv 15,1-7) implica questo duplice movimento in quanto indice di una piena unione in quell’amore del Maestro che ha dato la sua vita!

don Giancarlo Camastra