Storici dell’arte in libreria. Intervista a Francesco Frangi

Sabato 1° aprile  nelle scuderie di Palazzo Terni de’ Gregorj si è tenuto il trentatreesimo appuntamento della rassegna ‘Storici dell’arte in libreria’, organizzata dalla Libreria Cremasca. Ospite è stato Francesco Frangi (Università di Pavia) che ha presentato il volume: Francesco Frangi, Giovan Girolamo Savoldo. Pittura e cultura religiosa nel primo Cinquecento, Silvana, Cinisello Balsamo 2023.

Lo abbiamo intervistato in esclusiva per “Il Nuovo Torrazzo”.

Professor Frangi, quale è stato il suo percorso di studi e come è arrivato a occuparsi di storia dell’arte?

Mio zio materno è stato Giovanni Testori (Novate Milanese, 1923 – Milano, 1993) di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita. Sono quindi cresciuto in un ambiente dove gli studi per l’arte, in particolare per quella lombarda, erano di casa. Forse anche per sfuggire all’ingombrante confronto, avevo deciso di occuparmi di letteratura e mi ero iscritto all’Università Cattolica di Milano per studiare con il grande filologo Giuseppe Billanovich. In questo ateneo però mi capitò di frequentare anche le lezioni dello storico dell’arte Miklós Boskovits che applicava il metodo filologico alla comprensione delle opere d’arte, mi appassionai e scelsi questo indirizzo.

Questo volume non è il catalogo dei dipinti del pittore che lei aveva già pubblicato in passato (Savoldo. Catalogo completo dei dipinti, Cantini, Firenze 1992), tuttavia, prima di affrontare l’argomento del libro, forniamo ai nostri lettori le principali coordinate della biografia del pittore.

Non conosciamo l’esatta data di nascita del pittore che si può collocare attorno al 1480 a Brescia. È quindi un po’ più vecchio di Romanino (1484 circa – 1561) e soprattutto di Moretto (1493 circa – 1554), gli altri due grandi pittori bresciani a cui è solitamente accostato. Nonostante nei documenti noti si dica sempre bresciano, le prime informazioni che conosciamo su di lui lo attestano a Parma (1506) e Firenze (1508). Nulla sappiamo della sua formazione e della sua produzione in questi anni. Nel 1515 è in relazione con il duca di Ferrara Alfonso I d’Este, grande collezionista e committente di opere d’arte, a cui vende tre figure non identificate. Dagli anni venti del Cinquecento alla morte (1548 circa) è costantemente documento a Venezia. Le opere oggi note di Savoldo si datano a partire dal 1515 circa, cioè negli anni in cui era stabilmente presente in laguna, città dove la figura di riferimento era Tiziano, pittore a cui Savoldo guarda, ma mantenendo una sua autonomia stilistica in particolare in chiave di naturalismo, studio del chiaroscuro, dei riflessi e dei notturni. Queste caratteristiche hanno portato Roberto Longhi a individuarlo come uno dei principali precedenti di Caravaggio.

 Il tema che lei affronta in questa monografia è il rapporto tra la pittura e la cultura religiosa nel primo Cinquecento. Qual è la correlazione tra la letteratura devozionale e la raffigurazione dei committenti nei dipinti?

Il tema sviluppato in questo volume nasce dal tentativo di capire alcuni dipinti di Savoldo in cui i committenti si comportano in modo molto singolare, diverso dalle consuetudini. Per esempio, nella Madonna in adorazione del Bambino e due devoti delle collezioni reali inglesi, i due sposi, committenti del dipinto, sono raffigurati ai lati di Gesù e della Vergine, la donna è in preghiera, mentre l’uomo è colto nell’atto di sollevare un velo che va coprire o scoprire il Salvatore, rimandando all’epifania di Cristo e al contempo al sudario, quindi alla sua morte e resurrezione. Ciò che sorprende è che i committenti non sono figure secondarie inserite ai margini della vicenda divina come avveniva tradizionalmente da secoli, ma attori di pari importanza che addirittura interagiscono con personaggi sacri. Un altro esempio è dato dal Cristo morto sorretto da Giuseppe d’Arimatea (?) del Cleveland Museum of Art, dove il corpo del Redentore è sostenuto da un uomo in abiti cinquecenteschi dal volto fortemente connotato in chiave ritrattistica che non lascia dubbi sul fatto che dobbiamo riconoscervi il committente del dipinto. In questo caso il devoto, forse vestendo i panni di Giuseppe d’Arimatea, giunge a un tale livello di interazione con Cristo, da toccarne e sorreggerne il corpo. Molti altri esempi di questo tipo si trovano in opere di Savoldo e di altri pittori dell’Italia settentrionale dei primi decenni del Cinquecento come Lorenzo Lotto, Marco Marziale, Moretto… Come mai? È un argomento finora poco studiato, ma già Francesca Cortesi Bosco nel 1976 aveva individuato nelle Meditationes Vitae Christi la fonte del Commiato di Cristo dalla Madre di Lorenzo Lotto conservato alla Gemäldegalerie di Berlino. Si tratta di un testo devozionale composto in area toscana all’inizio del Trecento che ripercorre le vicende della vita di Gesù invitando costantemente il devoto non solo a visualizzarle con gli occhi della mente, come avviene nella tela di Lotto, ma anche immaginarsi fisicamente presente ai quei fatti e ad interagire con i personaggi. Questo testo e altri da esso derivati ebbero un enorme successo nei secoli successivi, sia in latino che in volgare, fino agli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, stampati nel 1548. Questo libri devoti erano ‘il vero Vangelo dei cristiani’ fin oltre il XVI secolo, nel senso che permettevano l’accesso alle storie sacre anche a chi non conosceva il latino.

Guardare i dipinti di quest’epoca alla luce di questi testi è un tentativo di ricostruire la storia della mentalità dell’epoca ed è ciò che ho cercato di fare in questo libro.

 Nel volume lei illustra la differenza tra ‘ritratto in veste di’ e ‘ritratto in figura di’. Ce la può spiegare?

Il ‘ritratto in veste di’ o criptoritratto, rientra nel genere della pittura sacra. È raffigurato un episodio tratto dalle Scritture oppure una sacra conversazione e uno o più personaggi assumono nel volto la fisionomia del committente. Per esempio nella Madonna col Bambino in trono tra san Giorgio e San Cristoforo di Paris Bordon, oggi all’Accademia Tadini di Lovere, ma proveniente dalla distrutta chiesa di Sant’Agostino a Crema, nel volto di san Giorgio è ritratto l’uomo d’armi Giulio Manfron morto durante l’assedio di Cremona del 1526.

Il ‘ritratto in figura di’, rientra, invece, nel genere della ritrattistica. Il soggetto è vestito in abiti contemporanei, ma presenta un attributo iconografico tipico di un santo che permette di identificarlo con tale personaggio, solitamente il suo santo onomastico. Si veda per esempio il Ritratto di donna in figura di santa Margherita di Savoldo conservato alla Pinacoteca Capitolina di Roma.

 Nel volume lei si propone di ricostruire il contesto storico di Savoldo e dei suoi committenti. Disponendo di poche fonti documentarie, ha ampliato l’indagine a vari campi come la cosiddetta ‘nuova filantropia’, l’attività caritativa delle confraternite di laici, gli ospedali, i nuovi ordini religiosi come i Teatini di Gaetano Thiene e i Somaschi di Girolamo Miani (o Emiliani). Fra i vari committenti documentati o ipotizzati di Savoldo, il più emblematico di tutta questa mentalità è il nobile veneziano Pietro Contarini.

Dal suo testamento redatto nel 1527 sappiamo che il gentiluomo possedeva quattro opere di Savoldo che egli destina a decorare la sua cappella nella chiesa dei Santi Apostoli a Venezia. Umanista, collezionista, impegnato nell’attività caritativa delle confraternite, verso il 1515 aveva composto un singolare poema in volgare, in endecasillabi danteschi, intitolato Christilogos peregrinorum. Protagonisti sono quattro pastori che inizialmente sono connotati secondo la tradizione bucolica come pastori-poeti d’arcadia dediti a struggersi d’amore per le ninfe. In seguito diventano i pastori di Betlemme a cui l’angelo annuncia la Natività e che si recano ad adorare il Bambino. Rimangono poi in scena e assistono agli eventi dell’infanzia di Cristo fino alla Fuga in Egitto. A questo punto, i pastori, con un salto temporale, divengono quattro veneziani pellegrini in Terra Santa che s’imbarcano da Giaffa per tornare in patria e si svela che uno di loro è lo stesso Pietro Contarini. Si erano allontanati dalla laguna in seguito alla crisi politica e spirituale seguita alla sconfitta di Agnadello.

Le quattro tele di Savoldo ricordate dal testamento sono oggi disperse, ma alla luce del poema, risulta suggestivo riconoscerne una nel Riposo durante la fuga in Egitto di collezione privata, dipinta dal pittore bresciano verso la metà degli anni venti del Cinquecento. Sullo sfondo del dipinto, in modo del tutto inconsueto, appare infatti una veduta della riva degli Schiavoni a Venezia, come se le sacre vicende avvenissero in laguna.