Veglia di preghiera questa sera, 17 marzo, presso la chiesa parrocchiale di Ombriano, con padre Gigi Maccalli, nel ricordo del suo rapimento avvenuto in Niger il 17 settembre del 2018. Oltre due anni durò la sua terribile prigionia che terminò con la liberazione l’8 ottobre 2020. Tema della serata: La preghiera del cuore: serve davvero pregare?
Ha guidato la preghiera il parroco don Mario Botti e si è iniziato con qualche frase provocatoria sul senso e il valore della preghiera, poi l’apertura di padre Gigi: “La prima sera di ritorno a Madignano dopo la liberazione – ha esordito – ho letto l’intero zoom de Il Nuovo Torrazzo che ripercorreva tutte le 24 iniziative di preghiera fatte lungo due anni per la mia liberazione. Grazie a tutti.
Oggi pregare ha sapore di altri tempi. Serve a qualcosa? Ci troviamo a disagio nel rispondere. Ma vale la pena! In prigionia mi sentivo solo, da tutti abbandonato. Ma pregavo Dio perché mi stesse al fianco. Pregavo Maria con il mio Rosario di stoffa che oggi porto al polso. Maria e lo Spirito Santo erano le due mani alzate della mia preghiera. Come ho fatto a resistere così tanto? Non lo so: so solo che la mia liberazione è venuta dalla preghiera, anche di tante suore di clausura: ho ringraziato 17 monasteri. Erano le vostre preghiere a darmi forza.
Stasera preghiamo – ha concluso – per la pace. Di fronte a tanta negatività possiamo solo pregare. La preghiera serve e sostiene la pace!”
I PRIGIONIERI NEL NIGER
Dopo l’intervento introduttivo di padre Gigi sono stati portati all’altare 24 ceri, simbolo delle 24 veglie di preghiera che hanno caratterizzato i mesi del rapimento del missionario cremasco. È stato portato anche dell’incenso a simboleggiare la preghiera che è salita a Dio dai monasteri.
Sono stati poi ricordati, ad uno ad uno, quanti si trovano ancora oggi prigionieri nelle mani dei rapitori in Niger, accompagnando i loro nomi con un’Ave Maria.
È seguita la lettura de brano degli Atti degli Apostoli che narra della prigionia di Pietro e si conclude: “Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui” (At 12,5).
LA RILESSIONE DI PADRE GIGI
Ed ecco la riflessione di padre Gigi sulla preghiera. “Il tempo della prigionia – ha detto – mi ha fatto capire il valore della preghiera. Pregare era una necessità: mi ricordava che Dio è padre e madre. Mi faceva sentire che ero in comunione con tante persone che mi amavano.”
E ha sviluppato tre tipologie di preghiera.
La preghiera del cuore. Quella dei monaci d’Oriente, narrata ne I Racconti di un pellegrino russo: “Signore Gesù abbi pietà di me peccatore”. Padre Gigi ne pronunciava e ancora oggi ne pronuncia un’altra: “Signore vieni presto presto, presto, presto… in mio aiuto”.
“La mia preghiera – ha aggiunto – era ispirato a santa Teresina di Lisieux, una suora di clausura, protettrice dei missionari! In prigione mi chiedevo: che missionario sei con i piedi incatenati? Ma il mio cuore non è incatenato: come la piccola Teresa sarò missionario nel profondo del cuore.
La preghiera è – inoltre – respirare Dio, respirare la vita. In prigionia parlavo con Dio: lasciavo parlare il cuore. Portavo a Dio tutti coloro che conoscevo. Ancora oggi inizio la mia preghiera con i 10 nomi dei prigionieri nel Sahel.
Infine, la preghiera è amare come Dio. Nella sventura si perde il senso di Dio. Si sente il silenzio di Dio. Ma se avessi smesso di pregare e di amare, l’assenza di Dio sarebbe diventata definitiva. La preghiera è relazione con qualcuno che ama.
Prigioniero in Niger per 753 giorni non mi sono nutrito dell’Eucarestia, ma io celebravo ugualmente ogni giorno una speciale Eucarestia nella quale dicevo: questo è il mio corpo spezzato: ero io il corpo spezzato!”
Padre Gigi ha concluso ancora invocando la pace. “Siamo sull’orlo di una guerra mondiale e non sappiamo cosa fare. Dobbiamo solo pregare: le guerre non risolvono i conflitti tra gli Stati. La pace verrà se costruiremo relazioni personali, se pregheremo: ama e prega. Non stanchiamoci di pregare per la pace.”
SPEZZARE LE CATENE
Di seguito, un altro gesto simbolico. Tutti i presenti (in notevole numero) avevano ricevuto all’ingresso un foglietto con il disegno dell’anello di una catena che ci imprigiona nella sofferenza. Il parroco don Mario Botti ha chiesto a tutti di scrivere nell’anello il nome di una persona in difficoltà per la quale ciascuno si impegna a pregare quotidianamente… appunto per spezzare le catene del male. Tutti hanno scritto e poi, in processione, hanno posto i foglietti in due urne davanti al presbiterio.
La veglia si è conclusa con un piccolo racconto de “L’ombrello rosso” e la benedizione impartita dal vescovo Daniele, presente alla veglia in mezzo ai fedeli.
Prossimo appuntamento il 17 aprile presso la parrocchiale di Montodine.