Domenica 11 febbraio. Don Gianfranco commenta il Vangelo: “La confessione torni a essere la festa del perdono”

don Mariconti
Don Gianfranco Mariconti

Dal Vangelo secondo Marco 1, 40-45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Gesù la buona notizia, manifesta la vicinanza di Dio

Per comprendere la novità rivoluzionaria dell’atteggiamento di Gesù verso il lebbroso occorre considerare la condizione del malato di lebbra. Al dolore per il morbo ripugnante e incurabile si assommava l’esclusione da ogni relazione umana così da evitare il terribile contagio con chiunque fosse venuto in contatto. Come se non bastasse l’uomo, devastato nella carne avviata al disfacimento ed emarginato dal contesto sociale, era considerato punito da Dio a causa di una colpa commessa e perciò in quanto impuro, secondo la Legge di Mosè, doveva rimanere fuori dal centro abitato. Tutto questo aggiungeva alla sofferenza fisica anche l’umiliazione morale del giudizio sprezzante degli uomini religiosi. La vergogna era per lui più dolorosa della malattia stessa che solitamente suscitava compassione. Per questo il lebbroso non chiede a Gesù la guarigione ma la purificazione. Gesù gliela concede con l’ingiunzione di andare dal sacerdote per accertare che la lebbra è veramente scomparsa e perciò venire riammesso nella comunità. E’ importante osservare come avviene il miracolo. Gesù si lascia avvicinare da quell’uomo, tenuto da tutti a distanza, che lo supplica in ginocchio e, mosso a compassione, stendendo la mano, tocca l’intoccabile andando oltre le prescrizioni legali.
L’origine del miracolo è la com-passione (non commiserare ma patire con chi soffre) che si declina, concretamente, nel gesto umano di stabilire un contatto. L’amore viscerale di Gesù, per chi soffre in solitudine e porta su di sé la vergogna di un castigo dovuto a una colpa non commessa, supera ogni barriera e lo porta ad affrontare il rischio di rimanere contagiato. Non è la lebbra, in realtà, che passa a Gesù ma è la santità di Gesù che positivamente scende sul lebbroso e lo monda. L’agire potente di Gesù raggiunge così il punto culminante perché guarire un lebbroso, considerato un cadavere vivo, era ritenuto non meno difficile che risuscitare un morto. Gesù è la buona notizia perché manifesta a tutti la vicinanza di Dio che, a differenza della Legge volta a escludere dal contesto sociale preoccupato di salvare se stesso, si compromette pur di salvare l’altro.

La preghiera cristiana

Il primo trasgressore è il lebbroso quando, nonostante le prescrizioni della Legge, esce audacemente dall’isolamento e va incontro a Gesù con una supplica, in ginocchio, che è un capolavoro di semplicità, umiltà e fiducia: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. In altri termini: “Io sono certo che tu puoi, come figlio dell’uomo, guarire perfino la lebbra ma mi rimetto al tuo volere poiché tu solo sai qual è il mio vero bene”.
Molti santi si sono convertiti o perfezionati grazie a una malattia trasformata in occasione per diventare consapevoli della vita vera a cui erano destinati da Dio rispetto a un passato trascorso a inseguire amori frivoli, ricchezze effimere, glorie vane. Penso a sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti.
“Ho pregato ma Dio non mi ascolta!”, dice qualcuno con la pretesa che Dio lo guarisca per non dubitare della tua capacità. Questo lebbroso ci insegna la differenza tra la preghiera pagana che piega Dio al proprio volere e quella cristiana caratterizzata dall’abbandono docile nelle mani di Dio. Questa preghiera irresistibile tocca il cuore di Dio e lo commuove. Infine il lebbroso trasgredisce l’ammonizione di Gesù a non dire nulla perché è talmente grande la contentezza da non riuscire a trattenersi dal divulgare la notizia. Ora è Gesù costretto a stare fuori in luoghi deserti.
All’audacia del lebbroso corrisponde il coraggio di Gesù che non si limita alle parole ma, andando oltre la Legge, si lascia avvicinare, stende la mano e scandalosamente lo tocca con amore, vincendo la paura di contrarre il contagio, così ristabilisce la relazione con la sua valenza terapeutica perché rompe il cerchio dell’isolamento. “Che cosa ho fatto di male” diciamo, rivolti a Dio, quando accade una disgrazia. Gesù non accetta il pregiudizio sociale che associa ingiustamente una malattia con il peccato e anche verso i peccatori usa comunque misericordia: “Lo voglio sii purificato!”. Nessun taumaturgo, nell’operare un miracolo, può parlare in questo modo, perché sa bene che lui è in grado solo di intercedere presso Dio e non operare direttamente la guarigione. Gesù invece, dimostrando di poterlo fare in prima persona, manifesta la sua divinità attraverso la bellezza di un gesto umanissimo.

I nuovi lebbrosi

Se oggi la lebbra ormai non fa più paura ci sono tuttavia altre malattie mortali che hanno preso il suo posto come recentemente il Covid. Con il termine “nuovi lebbrosi” non si intendono comunque solo le malattie inguaribili quanto piuttosto quelle dalle quali la società si difende isolando ancora il malato e respingendolo ai margini (Aids, dipendenze, disabilità, anziani). Il colore stesso della pelle, a volte, ha l’effetto che aveva una volta la lebbra. Ci sono quartieri che si mobilitano contro l’erezione di una casa di accoglienza per profughi e rifugiati identificati subito con i criminali. Certo non si tratta solo di egoismo, ma di una paura atavica per il diverso che va presa in seria considerazione. Ma questo non giustifica il loro respingimento o l’indifferenza. Non possiamo guarire, ma possiamo almeno stendere la mano recando grande conforto e aiuto perché fa sentire queste persone umane come gli altri, altrimenti siamo noi i veri lebbrosi.
Il peccato non si trova infatti dietro la malattia, ma nel cuore di chi giudica e condanna invece di soccorrere. E’ veramente trasgressivo chi supera le barriere, vince i pregiudizi, restituisce dignità. La guarigione ha inizio quando chi è provato sa di poter contare su qualcuno che gli sta accanto, vuole il suo bene e condivide il suo male. Prendersi cura degli altri rende inoltre migliori noi stessi. Spesso un gesto del genere segna l’inizio di una vera conversione. Il caso più celebre è quello di Francesco d’Assisi che fa risalire la sua nuova vita al bacio di un lebbroso. Ogni giorno incontriamo persone che soffrono per un’infinità di motivi. Chiediamoci se sappiamo condividere il loro dolore fino al pianto, sull’esempio di Gesù, oppure se preferiamo fuggire, non vederle, escluderle dai nostri rapporti come fossero lebbrosi. Il Signore, come ha toccato il lebbroso, così tocchi i nostri cuori e li risani dall’egoismo e dall’indifferenza.

Accoglienza, comprensione e misericordia

Gesù, alla fine del racconto, ammonisce severamente il beneficiato a non divulgare la notizia del prodigio per non essere scambiato con un semplice medico, ma a presentarsi al sacerdote. La verità di quel segno è altra rispetto a quella da tutti gridata. Il figlio dell’uomo infatti è mandato a purificare l’umanità dalla vera lebbra dell’anima che è il peccato e a ristabilire l’amicizia con Dio come fondamento di relazioni umane buone. La medicina ha debellato il morbo di Hansen ma solo Dio, con il suo perdono, è capace di salvarci dalla radice del male che ci separa da Dio e dagli altri.
“Mi aiuti lei Padre perché io non ho peccati”. Invece di considerarci giusti e autoassolverci identifichiamoci con il lebbroso: “Se tu vuoi puoi purificarmi”. Gesù, sulla croce, ha preso su di sé la nostra miseria fino a morire per donarci in cambio la sua misericordia (cfr Isaia 53,4). Il miglior commento è di san Paolo: “Colui che non aveva peccato, Dio lo trattò da peccatore in nostro favore” (3 Corinti 5,21).
Psicologi e terapeuti possono al massimo diagnosticare i mali dell’anima ma non guarirli. Gesù invece ci dice: “presentati al sacerdote” sicuro di ricevere il perdono di Dio ed essere riammesso nella comunità. Ogni volta che ci gettiamo ai piedi della Chiesa riconoscendo con umiltà il nostro peccato, profondamente pentiti del male fatto e con il desiderio di ri-cominciare una vita nuova riaccade il miracolo. I confessionali sono snobbati. Diversi sono i motivi della crisi del quarto sacramento ma, più che la diagnosi, a noi interessa la terapia perché la confessione torni a essere la festa del perdono. Il Papa raccomanda perciò frequentemente ai sacerdoti accoglienza, comprensione e tanta misericordia.

don Gianfranco Mariconti