Libreria Cremasca. Lorenzo Lotto

Sabato 4 giugno 2022 alle ore 17, nelle scuderie di Palazzo Terni de’ Gregorj (via Dante Alighieri, 20 – Crema), si è tenuto il ventiquattresimo appuntamento della rassegna ‘Storici dell’arte in libreria’, organizzata dalla Libreria Cremasca. Ospiti sono stati Enrico Maria Dal Pozzolo (Università di Verona) e Raffaella Poltronieri che hanno presentato il volume: Lorenzo Lotto. Catalogo generale dei dipinti (Skira, Milano 2021).

Abbiamo intervistato in esclusiva per il sito de “Il Nuovo Torrazzo” il prof. Dal Pozzolo.

Professore, qual è stato il suo percorso di studi e cosa l’ha portata a occuparsi di storia dell’arte?

Il punto di partenza è la mia famiglia. I miei genitori erano appassionati d’arte, soprattutto del Rinascimento e frequentavano musei, gallerie e case d’aste. In più mia madre – Gemma Donata Nicolosi – era una buona restauratrice di dipinti, tavole e tele. Io sono cresciuto con il naso all’altezza del tavolo su cui avvenivano puliture e foderature, con gli odori fortissimi dei solventi e delle colle animali. Vedevo spogliare i quadri dalle ridipinture e ho acquisito una sensibilità particolare per l’analisi degli stati conservativi. Al momento di scegliere l’università, mi sono iscritto a Padova, al corso in Lettere Moderne con indirizzo artistico. Mi sono laureato con un professore molto noto, Alessandro Ballarin, famoso soprattutto per la sua straordinaria erudizione e per il suo metodo implacabile. Era una tesi proprio sulla giovinezza di Lorenzo Lotto e quindi adesso mi ritrovo, dopo un periodo in cui mi sono dedicato ad altri argomenti, ad affrontare nuovamente questo pittore, su cui inizialmente avevo pubblicato un po’ di saggi e anche un libretto sulla Pala di Asolo.

Perché un catalogo ragionato sul pittore Lorenzo Lotto (Venezia, 1480/81 – Loreto, 1556) e quali sono stati gli eventi contingenti che hanno portato alla sua realizzazione? Il catalogo si compone di 2.500 voci bibliografiche, un regesto di 769 documenti, 625 schede, oltre 700 immagini… Quanto tempo ha richiesto questo enorme lavoro e chi l’ha aiutata?

Avevo abbandonato Lotto intorno al 1998, dopo un intervento al convegno bergamasco dedicato al pittore, ma nell’autunno del 2015 quello che allora era il conservatore della pittura italiana del Prado di Madrid, Miguel Falomir, mi disse che aveva intenzione di realizzare una mostra sui ritratti di Lotto con una seconda tappa alla National Gallery di Londra e che ci teneva ci fossi anche io. È nata quindi questa collaborazione, nell’arco della quale lui, nel frattempo, è stato nominato direttore generale del Museo del Prado. Intanto avevo segnalato la mostra di Madrid e Londra alla Regione Marche, proprio all’indomani dell’agosto 2016, quando si era verificato uno sciame sismico molto pesante per il territorio marchigiano. La Regione ha accettato di lavorare aun progetto su Lotto nelle Marche, ma contestualmente mi è sembrato quasi consequenziale immaginare di realizzare un catalogo ragionato di Lotto, poiché l’ultimo risaliva al 1975, a cura di Giordana Mariani Canova e Rodolfo Pallucchini. Ho posto una sola condizione: essere aiutato da Raffaella Poltronieri, che aveva appena terminato il suo dottorato su Malosso con Bernard Aikema; poi si sono aggiunte altre due persone: Marta Paraventi, che si è occupata del catalogo delle opere perdute, e Valentina Castegnaro, che ha redatto un paio di schede e si è occupata degli indici e della revisione generale. Dopo quattro anni di lavoro a tempo pieno siamo arrivati alla pubblicazione.

Cosa sappiamo della famiglia di Lorenzo Lotto?

Lotto nasce a Venezia intorno al 1480. Della sua famiglia non si sapeva quasi nulla, ma nell’ambito della ricerca sono emerse delle informazioni curiose, individuate dal professor Giuseppe Gullino, storico modernista che da poco era andato in pensione: l’artista era figlio di un certo Tommaso, che aveva un fratello, Lorenzo, ed entrambi avevano sposato due gemelle; le quali generarono due figli unici. Tommaso ebbe Lorenzo, e Lorenzo ebbe Maria, che possiamo definire una specie di femme fatale del primo Cinquecento. Venne addirittura processata per l’omicidio del marito. Questa vicenda può forse spiegare una certa idiosincrasia di Lotto a crearsi una famiglia, per quanto fosse un uomo molto affettuoso, che infatti lasciò parte dei suoi beni a giovani pittori emergenti e in parte come dote da destinare a due giovani orfane.

E della sua formazione come pittore?

Non sappiamo da quale maestro si sia formato, perché non esistono documenti in merito, ma possiamo desumerlo dai dati stilistici: emerge la sua grande ammirazione per Giovanni Bellini, la sua conoscenza di Cima da Conegliano, lo studio di Antonello da Messina, ma anche una probabile derivazione – forse un tirocinio o un praticantato – presso un seguace di Antonello a Venezia, ovvero Alvise Vivarini.

Le prime opere note lo vedono attivo fra Treviso, Asolo e Recanati.

Lotto aveva un talento incredibile, ma ebbe anche la fortuna, trasferendosi a Treviso, di frequentare il vescovo locale, Bernardo de’ Rossi, che aveva una piccola corte, e questo milieu decisamente ricco ci aiuta a comprendere la forma mentis particolarmente coltivata ed elitaria di Lotto dal punto di vista culturale. Del vescovo abbiamo un ritratto, caratterizzato da grande pregnanza di interpretazione psicofisica e psicosomatica, poiché Lotto riesce a coglierne ogni dettaglio fisico e soprattutto il carattere volitivo; ma ancor più straordinario è che sia giunta fino a noi la tavola che copriva questo quadro, raffigurante un’allegoria che illustra i suoi orizzonti spirituali.

La Pala di Asolo è invece un quadro atipico, con la Madonna Assunta tra due santi che la guardano in estasi, Antonio abate e Ludovico da Tolosa. Qui troviamo una Madonna molto anziana, dai caratteri somatici estremamente definiti e che assomiglia moltissimo a Caterina Cornaro, regina di Cipro fino alla fine degli anni Ottanta e poi costretta ad abdicare dalla Repubblica di Venezia, e dunque trasferitasi ad Asolo. Caterina era anche stata regina di Gerusalemme – denominazione tipica di Maria – ma l’aspetto più sorprendente di questa costruzione è l’albero a lei sottostante, identificabile con un cipresso della specie orientale. Questa identificazione ha consentito di risolvere un rebus che fino a quel momento non era mai stato né riconosciuto né affrontato.

La prima tappa documentata di Lotto a Recanati è invece del 1506, anno in cui gli viene commissionato il Polittico di San Domenico, un’opera di miracoloso equilibrio, che esprime tutto il meglio il pittore che aveva visto a Venezia alla fine del Quattrocento. Nel documento di allogazione gli si chiede di realizzare un’opera più bella rispetto ad altre visibili nella stessa Recanati fatte nella sua adolescenza, opere che purtroppo oggi non conosciamo. Il polittico viene consegnato nel 1508 e viene certamente visto da Bramante, architetto del Papa, che lo invitò poi a Roma.

Sappiamo che nel 1509 si recò nella città capitolina. Quale fu il suo impatto con le rovine di Roma antica e le opere di Michelangelo e Raffaello che stavano rivoluzionando la pittura?

A Roma inizia a lavorare negli ambienti privati del papa, dove avrebbe poi lavorato anche Raffaello. La Roma del 1509 era un concentrato di talenti incredibili, rappresentava la metropoli più difficile da gestire per una persona ipersensibile e solitaria come Lotto, caratterizzata da un profondo spirito religioso, per cui l’impatto con Roma fu devastante, come lo testimoniano le opere marchigiane successive a questo soggiorno. Lo stile è sempre raffinatissimo, ma quasi espressionistico, contraddistinto da una gestualità enfatizzata, da aspetti didascalici e dalla drammatizzazione narrativa. Certamente Lotto fu prima sopraffatto dalla potenza dell’antico e poi da Michelangelo e Raffaello, la cui memoria ritroviamo per esempio nel suo San Girolamo oggi a Castel Sant’Angelo. Il fatto, però, di essere stato licenziato, insieme ad altri, per lasciare totalmente spazio ai due grandi maestri verosimilmente lo sconfortò, provocandone la sua disillusione.

Uno dei periodi più felici della sua attività fu quando risiedette a Bergamo fra il 1513 e il 1525.

Lotto arriva a Bergamo perché vince il concorso per la realizzazione della Pala Martinengo Colleoni nel 1513 e lì trova un ambiente molto aperto e ricco, con una clientela che si fida di lui e che gli lascia margini interpretativi ampi, permettendogli di realizzare ritratti curiosi e atipici, come quello di Lucina Brembati, che contiene una sorta di rebus.

Realizza pale d’altare sontuose e propone soluzioni figurative sconcertanti, come nella Venere con Cupido del Metropolitan di New York: la dea, che probabilmente nasconde un ritratto, viene raggiunta sulle parti intime dall’urina di Cupido, un chiaro simbolo di fecondità. Probabilmente il dipinto fu ideato per una camera da letto nuziale e possiamo considerarlo un unicum a livello europeo.

Non dimentichiamo inoltre che nell’area bergamasca Lotto si cimenta anche come frescante presso l’Oratorio Suardi, a San Giorgio a Credaro e in San Michele al Pozzo Bianco.

 L’ultimo periodo della sua lunga vita lo vide alternarsi tra Venezia, le Marche e Treviso. Questo fu un periodo di crisi prima umana e poi economica che ha fatto di lui un eroe romantico, incapace di adattarsi alla realtà che lo circondava.

La crisi di Lotto è molto profonda: in alcune lettere scrive di convivere con “varie et strane perturbazioni”, aveva accarezzato l’idea di ritirarsi a vita spirituale. Ha una crisi di identità dopo essersi reso conto che non bastava essere straordinariamente bravo per eccellere nella sua Venezia; probabilmente fu oggetto anche di una sorta di mobbing, che lo ha fatto soffrire molto. Il periodo è tra l’altro di poco successivo a quello delle tesi di Lutero e in tutto questo Lotto si aggrappa al suo mestiere, lasciando opere sorprendenti, come l’Annunciazione di Recanati. Nelle Marche poteva ancora proporre soluzioni figurative che venivano accettate dalla committenza senza particolari problemi, al contrario di quello che capitava a Venezia e a Treviso, dove i gusti dei suoi mecenati erano mutati. Un altro segnale di malessere emerge infine dalle note presenti nel suo Libro dei Conti, in cui spesso si legge la profonda frustrazione per i compensi troppo bassi percepiti rispetto al valore che attribuisce ai suoi lavori.