LUIGI CASERO A CREMA: NOSTRA INTERVISTA

Intervistiamo in esclusiva per “Il Nuovo Torrazzo”, Andrea Luigi Casero, storico dell’arte, connoisseur e docente all’Università Cattolica di Milano. Lo studioso oggi sabato 24 novembre 2018 alle ore 16,30 sarà ospite della rassegna “Storici dell’arte in Palazzo Vescovile”, organizzata dalla Libreria Cremasca in collaborazione con la Diocesi di Crema e ci parlerà del volume A.L. Casero, Justus Pinxit. Nuove prospettive di ricerca e problemi aperti sull’attività lombarda di Giusto de’ Menabuoi, Scalpendi Editore, Milano 2017.

Quale è stato il suo percorso di studi e come è arrivato a occuparsi di storia dell’arte?

Il mio interesse per la storia dell’arte parte da lontano, quando ero bambino e mi piaceva molto disegnare e colorare e a messa, un po’ annoiato, invece di ascoltare le prediche mi mettevo a osservare gli affreschi sulle volte della chiesa del mio paese. Dopo le medie, la teoria vinse sulla pratica e scelsi il Liceo Classico invece dell’Artistico, per poi approdare alla facoltà di Lettere all’Università Cattolica di Milano, scegliendo l’indirizzo Artistico (ai miei tempi i corsi di laurea in Conservazione e Scienze dei Beni Culturali esistevano in poche università troppo lontano da casa). Dopo la laurea con Francesca Flores d’Arcais sul castello di Vigevano ai tempi di Galeazzo Maria Sforza, ho passato un anno a Firenze come borsista della Fondazione Roberto Longhi per poi fare ritorno a Milano, dove ho frequentato la Scuola di Specializzazione all’Università Statale di Milano e poi di nuovo in Cattolica per il Dottorato di Ricerca, sempre sotto la guida della professoressa Flores d’Arcais.

La prefazione del volume è firmata da Francesca Flores d’Arcais che per alcuni anni ha avuto la cattedra di storia dell’arte medievale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Quanto è stata importante per la sua formazione?

Molto, ma quello che mi piace ricordare di lei è soprattutto la grande umanità e semplicità. Nello specifico dello studio della storia dell’arte mi ha lasciato principalmente due lezioni importanti: la prima è di approcciarsi a un argomento con serietà e dedizione, senza credere di avere la verità in tasca ma con l’intento di contribuire principalmente al progresso degli studi, che poi altri potranno portare avanti; la seconda è di non pensare mai che su un argomento non ci sia più nulla da dire o da indagare, solo perché già affrontato da illustri studiosi,  perché molte volte è così. E riguardo a Giusto de’ Menabuoi aveva pienamente ragione. Da quando è andata in pensione vive stabilmente nella sua amata Padova e torna raramente a Milano, ma per me è sempre un grande piacere riuscire a sentirla ogni tanto.

La monografia è dedicata all’attività milanese di Giusto de’ Menabuoi, pittore di origini fiorentine di cui si conosce bene l’attività a Padova a partire dal 1373. Cominciamo da quest’ultima, cioè dalle notizie certe sul pittore e sulla sua attività per la signoria dei Carraresi.

Anche se non sono molti, dalle testimonianze e dai documenti rimastici sappiamo che Giusto visse e operò stabilmente a Padova sicuramente dal 1373 -anche se doveva esservi stabilito già qualche anno prima- fino al 1387. Nel 1391 un documento ce lo attesta già morto. Risiedette quindi un ventennio a Padova, al servizio dei signori della città, i Carraresi, e di alcune delle nobili famiglie a loro legate, per i quali realizzò sicuramente buona parte dei suoi capolavori, alcuni fortunatamente ancora visibili e quasi tutti realizzati ad affresco: primo fra tutti lo splendido ciclo che ricopre interamente pareti e volte del battistero a lato del Duomo, con scene sacre dalla narrazione vivace e rese con colori preziosi e intrisi di luce; nella Basilica di Sant’Antonio gli affreschi che decorano la grande cappella dedicata al beato Luca Belludi e la tomba dei fratelli Niccolò e Bolzanello da Vigonza; nella chiesa degli Eremitani un ciclo purtroppo frammentario nella cappella Cortellieri, ma che conserva ancora parti di qualità altissima e che fu molto lodato da chi poté ammirarlo prima della sua quasi totale distruzione a partire dal Seicento.

Ciò che precede il periodo padovano è invece ancora in parte incerto, anche se a partire dagli studi di Roberto Longhi (1928, 1934-35) numerose sono state le ipotesi formulate dagli studiosi. Quali sono le opere oggi note di Giusto in Lombardia?

A differenza del periodo padovano, per ora non sono stati trovati documenti che ci dicano con certezza dove il pittore lavorò prima del 1373. Dai documenti sappiamo che aveva origini fiorentine ma non siamo certi se sia nato davvero a Firenze e si sia formato lì, a contatto con i seguaci di Giotto usciti direttamente dalla sua bottega. Però gli studiosi sono ormai abbastanza concordi nel ritenere che Giusto abbia lavorato anche in Lombardia per un periodo abbastanza lungo, circa 20 anni, e alla sua attività lombarda sono stati legati due cicli ad affresco conservati nella chiesa dell’Abbazia di Viboldone, nella campagna a sud di Milano, e degli affreschi purtroppo giuntici non in ottime condizioni nell’aula di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Brera, un tempo chiesa di Santa Maria. Sempre al periodo lombardo appartengono due preziose opere dipinte su tavola, ancora più importanti perché entrambe firmate e datate: un polittico con una Madonna col Bambino e santi smembrato e disperso in vari musei italiani e stranieri e un bellissimo altarolo portatile conservato alla National Gallery di Londra.

A Milano Giusto lavora per due importanti monasteri degli Umiliati: l’abbazia di Viboldone e Santa Maria di Brera. L’ordine era presente anche a Crema con tre conventi maschili (Santi Filippo e Giacomo vicina all’attuale Santa Maria delle Grazie, San Marino nell’attuale piazza Roma e San Martino a Borgo San Pietro) e uno femminile (detto del Ponte dove poi sorse il convento di Santa Chiara) oggi tutti distrutti. Vi era inoltre il convento maschile di Santa Maria a Casale Cremasco, anch’esso non più esistente. Qual è stata l’importanza di questi committenti?

Il movimento degli Umiliati ha le sue origini nel XII secolo ed è uno dei tanti che tra 1100 e 1200 nascono e si sviluppano all’interno della Chiesa, spinti dalla volontà di ritornare a degli ideali cristiani più puri e contro la corruzione diffusa. I più famosi e destinati a un grande futuro sono gli ordini fondati da san Francesco e san Domenico. Gli Umiliati, nati inizialmente come aggregazione di laici dediti alla preghiera ma anche al lavoro, non possono vantare delle figure così carismatiche per le loro origini ma nel corso degli anni conobbero una straordinaria diffusione, in Lombardia ma anche nel resto dell’Italia settentrionale e centrale. Nel Trecento le aspirazioni più sincere di riforma spirituale vengono meno ma gli Umiliati, ormai composti soprattutto da ecclesiastici, diventano uno degli ordini più ricchi e potenti, ben inseriti nel contesto religioso, politico ed economico non solo lombardo. Le opere che decoravano l’Abbazia di Viboldone e la chiesa di Santa Maria di Brera, ma anche la chiesa di Ognissanti a Firenze, sono una chiara testimonianza di come fossero diventati anche tra i maggiori e prestigiosi committenti di opere d’arte.

Quali sono le principali aggiunte alle conoscenze sul pittore che sono emerse dalla sua ricerca?

Premesso che sono ancora molte le questioni irrisolte e poche le certezze sull’attività lombarda del Menabuoi, è stato soprattutto importante riuscire ad aggiungere un’opera in più al suo catalogo, vale a dire due affreschi molto belli anche se un po’ sciupati con l’Angelo annunciante e la Madonna annunciata che un tempo decoravano la facciata di Santa Maria in Strada a Monza e ora sono esposti nel Museo e Tesoro della Basilica di quella città, dopo essere rimasti celati per molti anni nei depositi. Dalla ricerca d’archivio è invece emerso con quasi assoluta certezza che il polittico con la Madonna col Bambino e santi firmato e datato 1363 fu dipinto per il convento domenicano di Santa Maria delle Vetere a Milano, oggi non più esistente, dove risiedeva la committente indicata nello scomparto centrale di quest’opera, suor Isotta Terzago. Infine ho cercato di connettere più strettamente tra loro e di rivedere il problema della datazione dei tre cicli ad affresco di Viboldone e di Brera, anche attraverso un’analisi più attenta di alcune peculiarità esecutive e tecniche adottate da Giusto.

Le ricerche sugli anni lombardi del Menabuoi proseguono?

Certo, anzi sembra che dopo qualche anno di immobilità, l’interesse verso questo pittore si sia risvegliato, nel bene e nel male. All’inizio del 2018, quando il mio studio sul Menabuoi era già in stampa, è apparsa in asta a Sotheby’s una bella tavola con Cristo crocifisso, dolenti e santa Caterina d’Alessandria, assegnata a Giusto dal grande storico dell’arte Andrea de’ Marchi e che potrebbe essere stata dipinta molto probabilmente durante il periodo lombardo.

Restando all’attualità, ma passando alla cronaca, alla metà di marzo di quest’anno risale il clamoroso furto nella Pinacoteca Nazionale di Bologna di una tavoletta con Sant’Ambrogio, che faceva parte del polittico del 1363. Un fatto davvero increscioso per il mondo della storia dell’arte e per il patrimonio artistico italiano, avvenuto mentre il museo era ancora aperto al pubblico, che si è però fortunatamente risolto positivamente con il suo recupero all’inizio di maggio.

A cura della Libreria Cremasca