Nuovo appuntamento con il Caffè Filosofico questa sera alle ore 21. Negli spazi della Fondazione San Domenico, piazza Trento e Trieste, ecco L’indistrutto sorriso dei miei anni, arte e vita in Antonia Pozzi. Relatrice sarà Laura Garbelli, che dopo aver conseguito la laurea triennale in Filosofia nel 2017, si è laureata a marzo 2019 in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano. Attualmente lavora come maestra elementare in una scuola primaria.
Chi è Antonia Pozzi?
Pozzi è poetessa, fotografa, saggista. Ma, prima di ogni altra cosa, poeta. Termine su cui insiste significativamente anche Montale per restituirle dignità e autonomia artistica, al di là di ogni sentimentalismo e mitizzazione.
Negli Anni Trenta del secolo scorso, per le strade di una Milano in bilico tra primo e secondo conflitto mondiale, la voce di Antonia Pozzi rompe coraggiosamente ogni schema intellettuale ed esperienziale predefinito. Combattuta tra ciò che era autenticamente e ciò che gli altri avrebbero voluto che fosse, tra vita sognata e vita vissuta, non pubblica nulla nel corso della sua breve esistenza ma lascia al mondo come testamento la sua poesia: poesia del travaglio di un’arte la cui forma è da reinventare sopra la vita, senza per questo escluderla. Poesia del limite e dell’attraversamento. Poesia di un dissidio personale, storico e culturale. Poesia che non nega l’anima ma la comprende e anzi la svela nei suoi aspetti essenziali, cucendo insieme a prezzo di un duro lavoro su di sé esperienza e parole e facendo della scrittura il medium primario di un esperimento poetico, etico e umano che nulla escluse e tutto accolse lasciandosi attraversare e trafiggere, per intima vocazione, nel profondo.
Dal rapporto conflittuale con i filosofi dell’Università Statale alla negazione delle origini borghesi, l’intera vita della Pozzi si configura come il grido di una personalità che decise di non piegarsi al “tu devi” e di continuare a tracciare la strada dell’ “io sono”, anche a costo di ripetute incomprensioni e di una lancinante solitudine.
Negli Anni Trenta del secolo scorso, per le strade di una Milano in bilico tra primo e secondo conflitto mondiale, la voce di Antonia Pozzi rompe coraggiosamente ogni schema intellettuale ed esperienziale predefinito. Combattuta tra ciò che era autenticamente e ciò che gli altri avrebbero voluto che fosse, tra vita sognata e vita vissuta, non pubblica nulla nel corso della sua breve esistenza ma lascia al mondo come testamento la sua poesia: poesia del travaglio di un’arte la cui forma è da reinventare sopra la vita, senza per questo escluderla. Poesia del limite e dell’attraversamento. Poesia di un dissidio personale, storico e culturale. Poesia che non nega l’anima ma la comprende e anzi la svela nei suoi aspetti essenziali, cucendo insieme a prezzo di un duro lavoro su di sé esperienza e parole e facendo della scrittura il medium primario di un esperimento poetico, etico e umano che nulla escluse e tutto accolse lasciandosi attraversare e trafiggere, per intima vocazione, nel profondo.
Dal rapporto conflittuale con i filosofi dell’Università Statale alla negazione delle origini borghesi, l’intera vita della Pozzi si configura come il grido di una personalità che decise di non piegarsi al “tu devi” e di continuare a tracciare la strada dell’ “io sono”, anche a costo di ripetute incomprensioni e di una lancinante solitudine.