31 marzo, domenica di Pasqua. Don Gianfranco commenta il Vangelo: “Occorre credere per vedere”

don Mariconti
Don Gianfranco Mariconti

Dal Vangelo secondo Giovanni 20, 1-9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Don Gianfranco Mariconti commenta il Vangelo

Lasciamoci coinvolgere nel cammino di fede che Maria di Magdala, Pietro e Giovanni hanno compiuto per scoprire “Dove è ora Gesù” e “Come è possibile incontrarlo”. Solo allora l’incontro con il Risorto non ci lascerà come prima, ma trasfigurerà la nostra vita rendendoci discepoli testimoni.
Maria di Magdala (la Chiesa) non vede lo sposo (Gesù) e lo cerca al sepolcro (secondo i Padri è il letto nuziale dove il Signore si è unito a ogni uomo comunicandogli il suo profumo che desta i morti e fa risorgere dentro i vivi). Maria è la sposa che, rapita dall’amore eccessivo dello sposo giunto fino al dono della vita, non riesce più a dormire senza l’amato del cuore. Non si rassegna al vuoto lasciato dall’assenza dell’uomo della sua vita e cerca di colmarlo andando alla sua ricerca. Nella propria immaginazione ritorna il pensiero di Gesù, i suoi gesti, le sue parole che alimentano la passione facendola diventare un fuoco divorante tale da spingerla al sepolcro quando è ancora buio.
Ma l’oscurità avvolge soprattutto il cuore della Maddalena. Maria si muove in una tenebra interiore perché ha perso ogni speranza di vedere il suo Gesù ancora vivo e perciò si riduce a cercarlo come chi va al cimitero a fare visita al caro defunto. Cosa spera questa donna? Maria spera di vedere ancora almeno una volta il corpo senza vita di Gesù. E’ una speranza troppo rassegnata. E i suoi occhi sono talmente offuscati dal pianto da impedirle di riconoscere il Risorto quando si dà a vedere di nuovo vivo. La prima sorpresa che l’attende è la pietra ribaltata dal sepolcro, dove era stata posta per chiudere definitivamente la bocca a colui che aveva gridato: “Lazzaro vieni fuori!” (11,43).
Ma per chi cerca Gesù nel passato, convinto che la morte del Crocifisso sia stata la fine di tutto, la pietra rovesciata può significare solo un trasferimento del cadavere. E tuttavia si apre uno spiraglio perché, tornata a casa di corsa, invece di dire a Simon Pietro e all’altro discepolo: “Hanno portato via il corpo del Signore”, precisa: “Hanno portato via il Signore” come se non può essere morto colui che risuscitandola dal male le ha donato una nuova vita. Domandiamoci chi porta via oggi il Signore dal cuore della gente?

Giovanni e Pietro testimoniano che il sepolcro è vuoto

A questo punto i due corrono al sepolcro, come E. Burnand ha magistralmente raffigurato. E noi dove corriamo dal mattino alla sera e per che cosa? Non più solo una donna, ma anche due uomini testimoniano ora che il sepolcro è vuoto. Giovanni (il carisma) corre più veloce di Pietro (l’istituzione), ma lascia che sia il capo degli apostoli a entrare per primo. Pietro fa una constatazione che va contro la spiegazione data da Maria. La sua osservazione attenta e accurata infatti (le bende a terra e il sudario piegato a parte) esclude la semplicistica spiegazione del trafugamento del cadavere.
Quale ladro infatti si sofferma a piegare il panno che contiene la refurtiva? Ma se il corpo non è stato portato via – si chiede – come mai il sepolcro è vuoto? Pietro osserva l’assenza della salma tuttavia il suo cammino non finisce con la fede pasquale, ma con una domanda che riapre la ricerca. All’incapacità di Pietro a interpretare i segni per scopri-re il mistero si contrappone il discepolo amato che non solo corre più veloce e giunge per primo al se-polcro ma “vede” il segno e crede di trovarsi davanti al mistero, sebbene non tutto sia ancora chiaro ed evidente. Solo le manifestazioni del Risorto romperanno alla fine ogni indugio. E cosa vede precisamente Giovanni per credere che non si tratta di semplice trasferimento di cadavere?
La configurazione del lenzuolo che, sebbene vuoto, conserva la forma del corpo di Gesù. Viene spontaneo il confronto con Lazzaro ritornato di nuovo a questa vita (quindi bisognoso di lino e sudario) e Gesù che invece risuscita alla vita eterna (quindi non ha più bisogno delle vesti perché non servono). Dopo avere visto Giovanni crede che Gesù è ritornato in vita, come aveva predetto, anche se non si tratta della vita di prima, ma della vita nuova di comunione piena con Dio. La resurrezione non è la rianimazione di un cadavere, ma una realtà completamente diversa. E noi che vesti dobbiamo lasciare per risorgere, quali nuovi abitudini assumere? Non è un caso che il battezzato rivesta un abito candido e inizi una vita bella da risorto.

Credere per vedere

Ma che cosa ha permesso all’altro discepolo di passare dal guardare al “vedere” e comprendere? La risposta va cercata in ciò che lo qualifica: il discepolo “che Gesù amava”. Giovanni ha posato il capo sul petto di Gesù e, unico tra tutti, lo ha seguito fin sotto la croce con Maria.
A Natale un bambino che nasce è un fatto naturale così come, del resto, un uomo che muore. Nasciamo per caso, ignoriamo come e quanto viviamo, siamo però sicuri di tornare alla terra dalla quale veniamo. Invece l’avvenimento reale del mattino di Pasqua si può percepire soltanto con gli occhi del cuore.
Come diceva Saint Exupéry, con il cuore si vede meglio… ciò che rianima la speranza perché trae origine dall’eternità di Dio. Giovanni ha saputo credere nel Signore risorto, prima ancora che apparisse, grazie all’intuizione dell’amore. La fede pasquale è dono e scelta: Gesù si dà a vedere, ma solo a chi lo cerca ed è aperto al dono mentre chi è chiuso nei suoi pregiudizi non può vederlo.
Chi è innamorato di Gesù ha gli occhi del cuore capaci di vedere il mistero del sepolcro, diventato il letto nuziale dell’amore tra Dio e l’uomo, capace di generare una vita nuova e senza fine. Invece di vedere per credere occorre credere per vedere perché “vede” una persona solo chi crede in lei, le dà fiducia e la ama. L’amore non è cieco, ma fa in modo che sappiamo riconoscere e capire veramente le persone perché rende presente l’amato in chi lo ama. Quando invece “vediamo” una persona, ma non le diamo fiducia o la trattiamo come una cosa allora la guardiamo ma non la comprendiamo/riconosciamo perché si chiude e non si rivela. Il credente non è un credulone, ma uno che osserva con lo sguardo della fede la realtà e perciò sa “vedere” oltre le apparenze che cosa ci sta die-tro.

Il cristiano: testimone di speranza perché sa vedere

Il nome del discepolo amato in realtà non ci viene rivelato e dunque la sua figura è aperta. II posto da lui occupato attende di essere preso da ciascuno di noi. Il cammino di questo discepolo diventa esemplare per scoprire, ancora oggi, i segni del Risorto dove è possibile vedere vinta l’ombra della morte dal mistero pasquale, potentemente all’opera nella storia. Solo l’amore ardente per Gesù ci permette una lettura intuitiva dei segni che rimandano alla novità sconvolgente della vittoria dell’amore sull’odio, della vita sulla morte.
Noi oggi non vediamo più il Risorto, come gli apostoli nei cinquanta giorni dopo Pasqua, ma possiamo tuttavia ancora vedere gli effetti generati dalle energie scaturite dal Crocifisso. Pensiamo ai tanti gesti quotidiani di fedeltà, di umile servizio, di dedizione disinteressata, di perdono che sono una vera e propria resurrezione da morte a vita nuova con cui verificare la realtà della Pasqua. Chi oggi vede solo buio attorno a sè deve chiedersi se ciò non sia dovuto all’incapacità di scorgere i segni di speranza dei tempi nuovi che la Pasqua di Gesù ci dona per mancanza di fede. Se viene meno la fede nel Risorto si affievolisce infatti anche la speranza e precipitiamo di nuovo nell’oscurità.
Il cristiano non è né pessimista né ottimista, ma testimone di speranza perché sa vedere, pure tra il male, fremiti di bene, briciole di speranza, germi di vita suscitati dal Risorto e impegnarsi, con il suo amore, a farli crescere. La vita dei credenti non smette di rovesciare i macigni che impediscono a molte esistenze di fiorire perché inizi una nuova primavera dello spirito. A Pasqua tutti corrono a perdifiato. Se il Signore è veramente risorto il lutto è alle spalle, è tempo di allegria, la prospettiva dell’eternità dà un senso e un orientamento al presente, ce la possiamo fare. Cristo è dalla nostra parte e grazie a lui, vinta la morte finale, vinceremo anche le morti di ogni giorno.

don Gianfranco Mariconti