Domenica 10 marzo, quarta di Quaresima. Don Gianfranco commenta il Vangelo: “Per Dio amare non significa possedere ma donare”

don Mariconti
Don Gianfranco Mariconti

Dal Vangelo secondo Giovanni 3, 14-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Don Gianfranco commenta il Vangelo

Il Vangelo di Giovanni ci propone l’incontro notturno di Gesù con Nicodemo: un rappresentante della classe dirigente giudaica, un dottore della legge e un membro del Sinedrio. Questo fariseo non considera contrario alla propria autorità recarsi da Gesù salito a Gerusalemme per la Pasqua. Nicodemo va da Gesù per approvare il suo comportamento e il suo messaggio, accreditati da Dio con dei prodigi, e cercare nuove conferme capaci di sciogliere i suoi dubbi. Non gli chiede un ulteriore segno ma, come molti ammiratori di
Cristo, è profondamente impressionato dalle opere di potenza compiute.
E’ uno studioso intellettualmente onesto che, invece di fermarsi davanti ai pregiudizi, vede le opere di Gesù e conseguentemente riconosce in lui il maestro venuto da Dio. In quanto simpatizzante di Gesù si mostra disponibile a confrontarsi con lui e ascoltarlo perciò sceglie un momento propizio quale la notte, con i suoi tempi calmi e tranquilli.
Di notte emergono quegli interrogativi profondi tacitati delle occupazioni e preoccupazioni che ci assillano di giorno.
Come uomo in ricerca assomiglia a tutte le persone aperte del nostro tempo che, insoddisfatte dalle risposte limitate della tecnica e del consumismo, tornano a interrogarsi sul senso della vita e desiderano trovare una verità e un amore più grandi corrispondenti al desiderio inesauribile del cuore umano.

La salvezza, un dono dall’alto

Nicodemo è un autentico osservante che desidera un’altra vita, una vita nuova, una società più giusta e pensa che questo dipenda dalla pratica della Legge. Eppure Gesù non parte dal desiderio umano di una vita profondamente rinnovata che mai si realizza per la radicale impotenza dell’uomo a rinascere, a costruire un mondo nuovo, a salvarsi da sè.
Gesù parte da un’opera stupefacente che Dio ha fatto per noi in cui finalmente vanno a compimento tutte le attese umane. Invece di suggerire qualche nuovo comandamento
da compiere per guadagnare la salvezza, come si aspettava il fedele osservante, Gesù si presenta sotto tre aspetti per invitare Nicodemo a riconoscere che la salvezza è dono dall’alto mentre noi, nella nostra miseria, possiamo solo disporci ad accoglierla.
Gesù si presenta innanzitutto come il Figlio dell’uomo che ci dona la salvezza attraverso la croce. Non una morte qualsiasi ma questa morte: la morte per “innalzamento”. Gesù per presentare la crocifissione e il suo significato si rifà all’immagine del serpente innalzato tratta da un episodio della storia di Israele. Il popolo, sulla via attraverso il deserto, si trovò minacciato da molti serpenti velenosi (cfr Numeri 21,4-9). Dio allora venne in soccorso del suo popolo. Per suo incarico Mosè costruì un serpente di rame e lo appese a un palo; chi veniva morso da un serpente velenoso e guardava il serpente di rame rimaneva in vita. Ebbene non più un serpente innalzato su un bastone, ma il Figlio dell’uomo innalzato sulla croce è reso da Dio principio di salvezza, fonte della vita, per quanti vengono morsi dai serpenti dell’orgoglio, dell’avidità, della lussuria…
Tutto ciò che fuori e dentro di noi avvelena la vita e la rende insopportabile. Il serpente di bronzo nel deserto trova il suo compimento nell’elevazione di Gesù sulla croce per questo ora è lui che dobbiamo contemplare andando oltre ogni autoreferenzialità. Giovanni non usa il termine croce, ma innalzamento per dire che questa morte cambia di segno, da patibolo infame, diventa positivamente l’inizio di una elevazione che proseguirà con la resurrezione e l’ascensione al cielo: la croce è la glorificazione di Gesù che dona la vita
a chi gliela toglie, per-dona i suoi malfattori e si abbandona nelle mani del Padre. Gli uomini desiderano emergere e affermarsi attraverso il potere, il successo… mentre Gesù si eleva e attira lo sguardo di tutti con l’amore inerme (cfr isaia 53). Nicodemo pensava che Gesù fosse il Messia per i suoi prodigi. Gesù gli risponde che c’è ben altro da capire: egli è il Messia perché ci salva con il dono totale di sé.

La croce da strumento di morte diventa l’albero della vita

Il male del mondo ci mette in crisi e suscita interrogativi inquietanti. Qual è la risposta di Dio per porre rimedio a questo dramma? Gesù “doveva” essere innalzato e sperimentare il morso mortale del peccato per salvarci perché, come per il serpente, è lo stesso veleno che uccide a fornire l’antidoto. Dio sempre ci salva usando proprio ciò che ha causato la rovina: attraverso la sua morte vince la morte. Vincitore perché vittima. La croce, da strumento di morte, diventa l’albero della vita.
Noi vorremmo che Dio, con un colpo di spugna, eliminasse subito e per sempre il male e la morte, ma Dio fa una cosa ancora più incredibile prendendoli su di sé e smaltendoli. Il peccato dell’uomo diventa occasione per sperimentare la forza del perdono. Anche il male e la morte ora hanno un senso e non ci fanno più paura perché il male è sconfitto e, attraverso la morte, si giunge alla resurrezione e alla vita.

La vita eterna

Nella morte crudele di Gesù lo sguardo credente vede la via della vita perché chi muore sulla croce è Dio e non un uomo qualsiasi. Come la gloria di Dio viene dalla croce così la vita viene dalla morte. Per la prima volta appare nel quarto Vangelo il tema fondamentale della vita eterna elargita dall’effusione dello Spirito.
La vita eterna non è, come insegnavano i farisei, un’altra vita dopo la morte come premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma questa vita quando l’amore di Dio la rende così bella da meritare di durare per sempre. La vita eterna ha a che fare più con la qualità che con la durata. Senza l’amore uno può avere ogni cosa ma gli manca tutto. Solo con l’amore la vita è pienamente felice sebbene povera di risorse e prospettive. D’altra parte noi sperimentiamo l’incapacità di amare. Occorre custodire la differenza tra
l’amore di Dio e quello umano.
L’amore umano è bello, ma impotente davanti al male e alla morte mentre “l’amore (del Crocifisso) è più forte della morte” (Cantico dei Cantici). Non vi è male da cui Dio non possa
trarre un bene più grande. L’amore di Dio non ha fatto risorgere solo Gesù ma tutti noi infatti “da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con Cristo” (Efesini 2,5).

Amare è donare

Gesù si presenta anche come Figlio di Dio dato e che si dona. Per Dio amare non significa possedere ma donare, dare non qualcosa ma qualcuno: la persona più cara. Dietro il Crocifisso c’è Dio stesso e il suo amore gratuito, eccessivo e senza misura. “Non importa sapere se Dio esiste; importa sapere se è amore” (S. Kierkegaard). Tanto è il valore che noi abbiamo ai suoi occhi da mandarci il suo Figlio e permettere che sia sacrificato. La morte del Figlio amato dice quanto Dio si sia spinto lontano nel suo amore per noi.
Dovendo scegliere tra noi e Gesù sembra quasi che gli stia più a cuore la nostra salvezza che la vita di suo Figlio. Così il Padre ha amato il mondo! E’ un mistero tale da riempirci di gioia infinita.
Giovanni vuole portarci a confessare con meraviglia: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Giovanni 4,16). Cosa formidabile e tra le più difficili al mondo! La vita eterna non si ottiene, come insegnavano i farisei, osservando la legge, ma credendo in Gesù e affidandosi al suo amore.
Di notte Nicodemo era andato alla ricerca della luce. Il modo con cui Gesù lo ha accolto ha fatto breccia nel suo cuore. Così egli rimarrà legato a lui anche in seguito come discepolo anonimo. Nicodemo prova simpatia, ma per ora non crede apertamente nella rivelazione del Crocifisso come la verità di Dio. Dovrà compiere un lungo cammino dall’oscurità alla luce prima di diventare apertamente discepolo. Lo ritroveremo sia quando interverrà saggiamente in favore di Gesù davanti al sinedrio (7,50) che quando si recherà al suo sepolcro (19,39) e contribuirà a una degna sepoltura.
Anche noi siamo stati morsi dal serpente e ci portiamo nel sangue il veleno del sospetto su Dio che, invece di sacrificarsi per noi, ci sacrifica sull’altare della sua grandezza. Solo se guardiamo all’uomo della croce con la meraviglia credente scopriamo un Dio capovolto che ci ama da morire e ci decidiamo a fare nostro il suo progetto di vita. Amare da Dio significa fare del male ingiustamente subìto l’occasione di un amore ancora più grande.

Gesù è luce

Il terzo nome che Gesù si attribuisce è “luce”. Il dono esige di venire accolto con una scelta personale. Dio non vuole forzare la libertà degli uomini, perciò è possibile chiudere il cuore all’amore e preferire le tenebre alla luce. Di nuovo Gesù demolisce le attese farisaiche di un Messia pronto a punire perché il Figlio è venuto invece a salvare. Pensare a un Dio giustiziere è ancora molto diffuso tra gli umani. Dio è amore, perciò in lui non c’è giudizio e condanna ma soltanto offerta di vita. Se noi crediamo non dobbiamo temere il giudizio presente. E credere significa accettare di essere amati e lasciarsi coinvolgere nel dinamismo di questo dono. Chi invece non crede e rifiuta l’amore che Dio gli offre si autogiudica. Il giudizio di Dio dunque non condanna, ma giustifica chi pratica il bene. Siamo noi che andiamo incontro a un giudizio di condanna quando rifiutiamo di lasciarci amare da Dio e di amare come ama Dio.
La radice del rifiuto di Dio va dunque cercata non tanto nella dottrina, ma in scelte di vita sbagliate. All’opposto chi, pur non credendo in Dio, opera il bene più facilmente giunge alla fede in Gesù.

don Gianfranco Mariconti