Libreria Cremasca. Intervista alla relatrice che interverrà domani

Sabato 2 aprile 2022 alle ore 17, nella prestigiosa sede delle scuderie di Palazzo Terni de’ Gregorj (via Dante Alighieri, 20 – Crema), si terrà il ventiduesimo appuntamento della rassegna ‘Storici dell’arte in libreria’, organizzata dalla Libreria Cremasca.

Ospite sarà Alessandra Galizzi Kroegel (Università di Trento), curatrice, assieme a Stefanie Paulmichl, della mostra (Trento, Museo Diocesano Tridentino, 1° ottobre 2021 – 10 dicembre 2021): Anna la madre di Maria. Culto e iconografia nel Tirolo storico (Temi, Trento 2021).

Professoressa, qual è stato il suo percorso di studi e cosa l’ha portata a occuparsi di storia dell’arte?

Come penso capiti a molte persone, per la mia formazione sono stati fondamentali sia l’ambiente familiare sia l’incontro con alcuni insegnanti particolarmente carismatici. I miei genitori hanno trasmesso molto presto ai miei fratelli e a me il piacere di visitare le città ammirandone i monumenti, le chiese e i musei con l’aiuto delle guide del Touring. Ma la folgorazione per la storia dell’arte è avvenuta al Liceo Classico di Piacenza, mia città natale, dove ho avuto la fortuna di frequentare le lezioni della professoressa Vita Maria Lombardo, un’insegnante tanto preparata quanto travolgente. Con lei ho iniziato a capire che le opere d’arte possono, anzi vogliono essere “lette”, e da allora questa sfida non ha mai smesso di appassionarmi.

I miei studi universitari sono iniziati nell’ambito del corso di Lettere Moderne all’Università Cattolica di Milano, dove mi sono laureata con Maria Luisa Gatti Perer, celebre pasionaria della Storia dell’arte lombarda, che ella seppe innalzare al rango di disciplina autonoma e internazionalmente riconosciuta grazie a importanti studi e iniziative a partire dagli anni Cinquanta. Scrivere la tesi sul ciclo di affreschi tardo quattrocenteschi di Santa Maria di Bressanoro mi ha insegnato sia a lavorare sul territorio (dal compiere ricerche d’archivio all’organizzare una campagna fotografica), sia a indagare il rapporto tra arte e spiritualità, un leitmotiv negli studi della Gatti Perer. Malgrado tutto questo mi avesse appassionata, né ha mai smesso di farlo, dopo la laurea ho voluto cimentarmi in un percorso di studi che mi aprisse altri orizzonti, soprattutto dal punto di vista metodologico: così mi sono trasferita negli Stati Uniti per studiare con Charles Dempesy, uno dei più illustri esponenti della generazione post-Panofsky, autore di brillanti studi di carattere iconologico così come sulla critica e sulla teoria dell’arte tra Rinascimento e Barocco. Sotto la sua guida ho conseguito il Master e il Ph.D alla Johns Hopkins University di Baltimora, e per la tesi di dottorato ho studiato gli albori dell’iconografia dell’Immacolata Concezione, collocabili a cavallo tra Quattro e Cinquecento. È stato in quel contesto che ho iniziato a interessarmi al culto e alla raffigurazione di sant’Anna nel Rinascimento, che è poi il tema della mostra di cui sono stata invitata a parlare a Crema.

L’iconografia di sant’Anna è un argomento poco trattato dagli studiosi italiani. Com’è nato questo progetto?

L’idea di una ricerca e poi di una mostra su sant’Anna ha preso forma nella mia mente dopo che ho iniziato a insegnare all’Università di Trento, quindi nel corso dell’ultimo decennio. Visitando il Trentino e l’Alto Adige in modo sistematico, mi sono resa conto della frequenza inusitata di raffigurazioni della madre di Maria, soprattutto di quelle note come Anna Metterza secondo la tipologia detta “giustapponente”, che presenta la santa in forma monumentale, mentre tiene su un braccio la figlia e sull’altro il nipotino, entrambi ritratti come bambini. Questa iconografia, che è fondamentalmente illogica e antinaturalistica, compare assai di rado nella penisola italiana, mentre è frequentissima nell’Europa centrosettentrionale, dai Paesi Bassi al “Tirolo storico”, cioè quella regione che oggi si estende dalla provincia di Innsbruck al Trentino – Alto Adige. Tale frequenza si spiega col fatto che tra il XV e il XVI secolo il culto di sant’Anna conobbe una enorme popolarità nelle aree germanofone perché esso venne fortemente promosso da umanisti e teologi che pubblicavano i loro trattati in Tedesco, mentre in Italia non si ebbe un fenomeno analogo. Direi che questa è la principale ragione per cui i contributi italiani sull’argomento finora sono stati molto pochi; inoltre ancora oggi la bibliografia sulla santa, a parte alcune recenti monografie in Inglese, è principalmente in Tedesco e Olandese, e credo che anche il fattore della lingua possa costituire un ostacolo per molti dei nostri studiosi. Non è un caso che Stefanie Paulmichl, la giovane storica dell’arte che mi ha affiancata in questa impresa, sia altoatesina e di madrelingua tedesca, pur avendo compito i suoi studi presso l’ateneo trentino.

Dunque un ruolo di primo piano è stato svolto dalle ricerche della dottoressa Stefanie Paulmichl che con lei è curatrice del catalogo.

Nel 2018 la dottoressa Paulmichl ha vinto l’assegno di ricerca che il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento aveva assegnato al mio progetto su sant’Anna, e per un anno ha mappato e catalogato tutte le immagini della santa sul territorio da Trento a Innsbruck, arrivando a individuarne circa 180. Questo suo lavoro mi ha permesso di concepire un progetto di mostra e proporlo al Museo Diocesano Tridentino; con nostra grande gioia, tale progetto è stato tra i vincitori del concorso Euregio (Europaregion Tirol-Südtirol-Trentino) per l’Anno dei Musei 2020-2021. In questo modo il Museo Diocesano di Trento ha ricevuto i fondi per finanziare la mostra e l’impresa è partita. Uso apposta la parola “impresa” perché nell’elaborare concretamente il progetto espositivo Stefanie e io abbiamo dovuto lavorare in piena pandemia, e non è stato facile; un aiuto fondamentale ci è stato dato dall’architetto Domenica Primerano, che allora dirigeva il Museo.

Il culto di sant’Anna, madre della Vergine Maria e nonna di Gesù, è basato su racconti non contenuti nei testi canonici. Quali sono le fonti e come si sono sviluppate nel corso dei secoli?

Anna è effettivamente una santa “costruita” perché non compare nella Bibbia: la sua storia venne inventata per rimediare alla scarsità di notizie sull’infanzia di Gesù, e ancor più su quella di Maria, che caratterizza il Nuovo Testamento. Le peripezie di Anna e Giacchino, che per ben vent’anni non riescono ad avere figli, e infine concepiscono le Vergine in modo miracoloso (in ebraico Anna significa appunto “grazia divina”), furono narrate per la prima volta nel Protovangelo di Giacomo (fine II secolo), poi riprese nel Vangelo dello Pseudo Matteo (inizi VII secolo), infine rese popolarissime tramite la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (1260 circa). Rispetto ai primi due testi, la Legenda include un ulteriore sviluppo della biografia della santa, cioè la storia dei suoi tre matrimoni, nota come Trinubium. Questa storia era stata messa a punto da Aimone d’Auxerre (IX secolo) per risolvere il problema posto dal fatto che nei Vangeli si trova più di un riferimento ai “fratelli” che Gesù avrebbe avuto (Mt. 13, 55; Mc. 6, 3; Gal. 1, 19), cosa che rischiava di mettere in discussione sia la verginità perpetua di Maria sia la moralità di Giuseppe. Forte del suggerimento di san Girolamo, secondo il quale il termine “fratelli” avrebbe potuto essere interpretato anche come “cugini”, Aimone risolse la questione attribuendo ad Anna ben tre matrimoni. In questo modo la santa risultava capostipite di un albero genealogico assai ramificato secondo cui Gesù Cristo era solo uno dei suoi sette nipoti. Sin dagli inizi del XV secolo questa leggenda fu visualizzata attraverso la cosiddetta Sacra Parentela (o Heilige Sippe), un’altra iconografia che è tanto popolare nell’arte al di là e immediatamente al di qua delle Alpi, quanto è semisconosciuta in Italia.

La cosiddetta Sacra Parentela giunse a contare 17 membri. Possiamo provare a delineare l’albero genealogico di Gesù per parte di madre?

Secondo la leggenda del Trinubium Anna si sarebbe sposata prima con Gioacchino e poi, in seguito a due vedovanze, con Cleofa e Salome; da ognuno di questi matrimoni sarebbe nata una figlia di nome Maria, e da queste tre figlie Anna avrebbe avuto ben sette nipoti, tutti destinati ad essere figure di grande rilievo per la religione cristiana: essi sono, oltre a Gesù figlio della Vergine Maria, la primogenita, i quattro figli che Maria Cleofa aveva avuto dal marito Alfeo, cioè Giacomo il Minore, Giuseppe il Giusto, Giuda Taddeo e Simone, e i due figli che Maria Salome aveva avuto da Zebedeo, cioè Giacomo il Maggiore e l’evangelista Giovanni. Grazie al Trinubium, la genealogia di Cristo acquistò una dimensione rigorosamente matrilineare che molto contribuì alla popolarità di sant’Anna come potente modello di pietà laicale: una donna che era riuscita a diventare santa pur avendo vissuto una vita “vera” e intensa da più punti di vista; un personaggio facoltoso e volitivo che aveva sfruttato queste sue doti, di per sé molto terrene, per darsi ad attività di beneficenza e crescere una grande famiglia. Infatti tra Quattro e Cinquecento Anna divenne la santa più popolare tra i ceti poveri e quelli ricchi, ed era considerata protettrice delle donne sterili così come delle partorienti, degli intellettuali e dei mercanti, delle lavandaie e dei minatori: giustamente oggi gli studi la definiscono una santa “polisemica”.

Quali sono le principali tipologie iconografiche rappresentate nella mostra?

Oltre alla Sacra Parentela, che nei primi decenni del Cinquecento divenne anche un curioso strumento di autocelebrazione, dato che diverse famiglie aristocratiche fecero includere in queste immagini i propri ritratti, in genere sotto le mentite spoglie dei generi o dei mariti di Sant’Anna, l’iconografia di Anna Metterza presenta alcune interessanti declinazioni che ricorrono numerose nel Tirolo storico. In mostra abbiamo esposto alcuni splendidi esempi del cosiddetto Bench-Type, dove Anna e Maria sono sedute alla stessa altezza, dunque proprio come due personaggi di uguale importanza, mentre il piccolo Gesù si dimena gioioso fra la madre e la nonna. Un’altra tipologia assai frequente è la cosiddetta Educazione di Maria (o Anna che insegna a leggere a Maria), dove la santa regge un libro che mostra alla figlia, o comunque sembra assistere quest’ultima nella lettura. Si tratta di un’iconografia di origine trecentesca che ribadisce il ruolo cruciale della madre di Maria: non semplice genitrice, bensì guida intellettuale e spirituale. Infatti è lecito supporre che il libro che Anna porge alla Vergine giovinetta contenga un testo sacro, e i pochi esempi in cui quel testo è leggibile lo confermano. Si noti che tutte le immagini riferibili a queste tipologie, che sono databili tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, mostrano Anna in vesti matronali sì, ma sempre come una donna di aspetto nobile e bello, cosa che cambierà progressivamente nel corso della seconda metà del Cinquecento.

A seguito della Riforma protestante, il culto per Sant’Anna subì un forte ridimensionamento a cui in ambito cattolico si reagì con una significativa trasformazione dell’iconografia.

I problemi per Anna iniziarono con Martin Lutero che, come è noto, fu molto critico verso il culto dei santi, soprattutto quelli di origine leggendaria. Non stupisce dunque che la madre di Maria, una santa “costruita” per eccellenza, nonché oggetto di una venerazione che ai primi del Cinquecento rasentava l’iperdulia, finisse presto nel mirino dell’iniziatore della Riforma protestante: nei suoi sermoni e nei suoi scritti Lutero attaccò Anna più volte, ribadendo come essa fosse una santa totalmente inventata e futilmente di moda. A queste critiche, senza dubbio fondate, si unirono le voci di altri teologi che ritenevano la leggenda dei tre matrimoni quanto mai disdicevole. Tale opinione fu presto condivisa anche dalla Chiesa cattolica che, sull’onda del Concilio di Trento, ritenne opportuno “raffreddare” il culto di sant’Anna, prima eliminandone la festa dal calendario romano (1568) e poi – visto che una devozione popolare così radicata non si lasciava estirpare facilmente – reinserendo la festa (1584), ma elaborando una narrazione agiografica del tutto diversa. In una serie di trattati pubblicati a partire dalla fine del XVI secolo, la figura di Anna venne progressivamente “addomesticata”: al posto della matriarca a capo di una grande genealogia, ella vi è presentata come la fida moglie del solo Gioacchino (la leggenda del Trinubium fu espressamente condannata), la madre anziana e mite di Maria, la nonna affettuosa di Gesù, sempre decisamente sottomessa alla diade della Vergine col Bambino. Queste trasformazioni teologiche e cultuali furono immediatamente visualizzate nelle opere che ancora oggi decorano le chiese di Trento e delle valli circostanti, una zona che per forza di cose era estremamente recettiva allo spirito disciplinatore della Controriforma. Grazie a ciò, la nostra mostra ha potuto illustrare in modo efficace non solo la fortuna del culto e dell’iconografia di sant’Anna in pieno Rinascimento, ma anche la sfortuna e le trasformazioni che essi subirono nei secoli successivi.