Continua a gonfie vele la carriera artistica del mezzosoprano cremasco Lucia Cirillo, che fa il punto delle sue esperienze, sempre più prestigiose.
Hai già più di settanta spettacoli all’attivo, quindi molti ruoli; quali senti ormai “tuoi”?
“Mi dedico spesso allo studio di opere recentemente riscoperte o a opere barocche che vengono allestite per una singola produzione, senza essere poi riprese. Forse per questa ragione i ruoli che sento più miei sono quelli di repertorio, cioè quelli che ho avuto la possibilità di ri-eseguire a distanza di tempo e in contesti diversi, approfondendoli con più di un direttore e vari registi. Tra i compositori citerei Mozart per primo, con Dorabella nel Così fan tutte, Sesto ne La clemenza di Tito, e Idamante in Idomeneo. Tra questi prediligo i ruoli maschili: con essi mi trovo perfettamente a mio agio da un punto di vista vocale; inoltre i personaggi del ragazzo o del giovane uomo travolti da un amore impossibile o da un destino incomprensibile mi commuovono sempre particolarmente. Passando a un repertorio più tardo, mi stanno molto a cuore Angelina nella Cenerentola di Rossini e Adalgisa dalla Norma di Bellini”.
Quali ruoli ti piacerebbe invece sperimentare in futuro?
“Mi piacerebbe cimentarmi in alcuni ruoli rossiniani un poco più acuti di quelli affrontati finora, per esempio Desdemona in Otello o Elena in La donna del lago. Senz’altro il belliniano Romeo de I Capuleti e i Montecchi, che adoro. Ebbi occasione di ascoltare per la prima volta l’aria Se Romeo t’uccise un figlio durante una lezione con Bruno De Simone a Ca’ Zenobio: ne fui commossa alle lacrime e la cantai nella mia testa per giorni. A Treviso vinsi il Concorso ‘Toti dal Monte’. Con profondo affetto ed estrema gratitudine penso a questa città, che per vari anni fu per me come una seconda casa, e agli insegnanti che lì ebbi modo di conoscere: oltre al citato De Simone, che mi aveva soprannominata “Miss éponge” (il desiderio di apprendere era veramente incontenibile), la mitica Regina Resnik, che invece mi paragonava a Charlie Chaplin, a causa del mio abbigliamento non particolarmente femminile e a suoi occhi inadatto a una cantante. Lei fu una vera scuola di vita, oltre che di canto. Nutro un interesse speciale per alcune opere straussiane, Rosenkavalier e Ariadne auf Naxos, ma è molto raro che i ruoli di Octavian e del Komponist vengano assegnati a una cantante italiana. Spesso si teme che un italiano non possa cantare correttamente in tedesco, quando invece gli stranieri si dedicano all’opera italiana da sempre, a volte non curandosi nemmeno troppo della pronuncia e della prosodia del verso italiano. Perché di certo non basta saper pronunciare adeguatamente: la magia del canto consiste nel connubio tra parola e linea melodica, nel significato profondo di ciò che viene espresso attraverso la voce. Ritengo questo un aspetto fondamentale sia nella musica profana che nella musica sacra”.
Sei legata soprattutto alla musica antica; quali caratteristiche del suo stile ti hanno conquistato?
“La musica barocca è forse più vicina a un modo di pensare ‘strumentale’: avendo un passato da chitarrista, in essa mi trovo a mio agio. Ciò non significa che essa non richieda una tecnica vocale solida e completa, esattamente come tutto il repertorio successivo. La tecnica si piega al gusto e allo stile, con le dovute differenze a livello interpretativo. La struttura con ‘da capo’ delle arie barocche permette al cantante di scrivere variazioni adatte alla propria vocalità. Infine trovo straordinario il motore ritmico della musica barocca, la forza del basso continuo. Le Ciaccone e le Passacaglie sono le forme che prediligo in assoluto. Nella musica del Seicento trovo straordinario il connubio fra testo e scrittura musicale. Qui davvero non basta ‘leggere’ ciò che sta scritto. Se non si comprende il testo in ogni suo dettaglio, l’esecuzione non ha senso di esistere. Se è più facile ‘camuffare’ in altri repertori, questo non perdona”.
Ci sono elementi della lirica ottocentesca che ti attirano altrettanto?
“La bellezza di alcune melodie, che consentono alla voce di spianarsi in modo meravigliosamente naturale (penso a Bellini), il meccanismo perfetto e stupefacente di alcuni concertati o finali d’atto in cui tutti, cantanti e orchestrali, sono parte imprescindibile di un apparente caos magistralmente organizzato (ecco il genio totale di Rossini), la ricchezza e la potenza espressiva della scrittura orchestrale”.
Ti piace la musica contemporanea? Ti sei cimentata pure lì?
“Non ho avuto molte occasioni di eseguire brani di musica contemporanea. Credo l’ultima volta sia successo ai tempi del Conservatorio, quando mi chiesero di studiare il pezzo di un allievo della classe di composizione. Molto interessante peraltro”.
Attualmente sei di nuovo impegnata al Teatro alla Scala, in che tipo di lavoro?
“Sono stata impegnata alla Scala l’ultima volta in una ripresa de La Finta Giardiniera di Mozart (nel ruolo del Cavalier Ramiro), già eseguita appunto a Milano nel 2018 e portata in Cina lo scorso ottobre in occasione dell’inaugurazione del nuovo Teatro del Conservatorio di Shanghai, la Shangyin Opera, una splendida sala da 1.200 posti con un’acustica perfettamente bilanciata: un’esperienza memorabile, artisticamente e umanamente. Il pubblico cinese vive l’opera come un concerto rock, manifestando un entusiasmo da stadio. Il personale del teatro ha rivelato un debole per il mio personaggio: pare che assomigliassi incredibilmente al Capitano Jack Sparrow… e questo mi è valso uno splendido mazzo di rose rosse”.
Quali progetti hai in cantiere?
“Molti erano i progetti per questa primavera: lo Stabat Mater di Alessandro Scarlatti a Lugano, il Farnace di Vivaldi alla Fenice di Venezia, l’Alessandro di Haendel in un tour europeo con Kammerorchester Basel, con la direzione del mio compagno Diego Fasolis, la Messa in do minore di Mozart diretta da Fabio Biondi al Petruzzelli di Bari. Parlando di un futuro un poco più lontano, Adalgisa a Losanna. A causa dell’emergenza sanitaria i primi di questi impegni sono stati giustamente cancellati, altri posticipati. Uno degli aspetti più stancanti del mestiere di cantante è conciliare la preparazione musicale con i viaggi. Sono diversi i progetti rimasti nel cassetto per mancanza di tempo: un programma per voce e chitarra, la lettura di libri dedicati alla forma musicale, all’orchestrazione, alla direzione d’orchestra (di cui di tanto in tanto mi capita di interessarmi), la ricerca di musica inedita, forse di mano di un qualche compositore cremasco per troppo tempo rimasto in ombra, in vista, chissà, di un’eventuale registrazione. È un triste dato di fatto che la realtà del disco stia perdendo interesse a livello commerciale. Produrre nuove registrazioni discografiche ha senso nella misura in cui l’operazione è finalizzata alla riscoperta, alla diffusione e alla conseguente archiviazione e messa in sicurezza di opere sconosciute: lo dobbiamo ai grandi compositori del passato, a coloro che hanno contribuito a fondare la nostra attuale cultura musicale, classica e non solo. Lo studio della musica è inesauribile, e in questo consistono la sua grande bellezza e l’estrema possibilità di arricchimento che riserva a chi vi si dedica. Si tratta di un dono impagabile. Del resto, come scrisse Glenn Gould, l’arte basta a sé stessa. Anche se, paradossalmente, fossimo costretti a rimanere chiusi in una stanza, la passione per la musica saprebbe riempire le nostre giornate, sviluppare i nostri pensieri e nutrire le nostre emozioni, trasformando quella che a un primo sguardo parrebbe una costrizione in una incredibile, inattesa opportunità”.