DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI 14, 15-21
Pregherò il Padre e vi darà un altro Paràclito.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
IL COMMENTO
L’annuncio del Cristo deve passare dapprima attraverso un amore incondizionato nei suoi confronti, che si manifesti per mezzo della custodia dei suoi comandamenti, per poi ricevere il «Paraclito», lo Spirito Santo, che permetterà a ciascun discepolo di essere realmente Suo testimone. La Prima Lettura (At 8,5-8.14-17) narra della nascita della Chiesa in Samaria, nascita che procede dall’annuncio di Cristo e dalla discesa dello Spirito. Emerge un rapporto di collaborazione e fiducia tra la chiesa madre di Gerusalemme e la nascente comunità in Samaria: la parola del Vangelo e lo Spirito Santo superano le barriere culturali e le separazioni etniche. Nella Seconda Lettura (1Pt 3,15-18) Pietro ci invita a dare ragione di Colui a cui crediamo, di Colui che dà speranza. La responsabilità si manifesta attraverso la testimonianza da dare al mondo, testimonianza che diviene racconto, una narrazione di speranza. Il Vangelo offre le condizioni per mezzo delle quali sarà davvero possibile essere investiti di quella Grazia: è soltanto amando Gesù e osservando i suoi comandamenti che ogni uomo potrà beneficiare della sua intercessione e dell’invio del «Paraclito», il quale ha il compito di proteggere i fedeli.
Ma cosa significa davvero essere testimoni? Riporto per intero l’aneddoto e la riflessione che don Luigi Maria Epicoco, sacerdote della diocesi di L’Aquila, riferisce nella Premessa al testo Qualcuno a cui guardare (Ed. Città Nuova)… «La gente vi guarda!». È rimasta in me indelebile questa raccomandazione che i superiori ci facevano quando poco più che ragazzini eravamo ancora studenti del Seminario minore di Ostuni, in provincia di Brindisi.
Capitava, infatti, che a piedi, dall’immenso edificio del Seminario costruito negli anni Cinquanta da uno zelante sacerdote, attraversassimo tutta la dorsale che collegava quel pezzo di terra posto all’ingresso della città bianca per arrivare fin su in cima nel centro storico, nell’antica Cattedrale. Oppure ci fermavamo poco prima, sostando assetati nel Monastero delle Benedettine che con immancabile accoglienza ci dissetavano con una limonata, il cui sapore e bontà non ho più ritrovato in nessun luogo del mondo che mi è capitato di visitare. Proprio lungo quel tragitto, i superiori ci facevano spesso presente che la gente sapeva benissimo chi fossimo. Lo si capiva dalla tonaca che portavamo o, anche senza di essa, dal nostro vestiario un po’ troppo semplice e solitamente tendente allo scuro. Non dovevamo dimenticare che, pur ragazzini, la gente ci guardava. Voleva scorgere in noi qualcosa che s’intonasse davvero con la fede cristiana. Questa raccomandazione doveva limitare, per quanto possibile, la nostra tendenza adolescenziale a fare scherzi o a schiamazzare per strada, o peggio ancora a sostare troppe volte nei bar che incontravamo lungo la via, approfittando del fatto che, appena riconosciuti, qualcuno certamente ci avrebbe offerto il gelato o qualche dolciume.
Ho capito col tempo che questa raccomandazione, per quanto preziosa, aveva un valore ancora più profondo se vista “capovolta”, cioè dal punto di vista di chi ha un tremendo bisogno di avere davanti agli occhi qualcuno che gli insegni “il mestiere di vivere”. Infatti, tutti abbiamo bisogno di avere “qualcuno a cui guardare”. Ricerchiamo, cioè, esempi concreti che ci facciano capire come si fa a vivere. Non sono le cose che uno impara a scuola, né la buona educazione che si riceve a casa: la cosa più importante è la gente che, per un motivo a volte misterioso, diventa decisiva nella nostra vita, fino a lasciarvi il segno. Quando troviamo qualcuno così, lo guardiamo senza stancarci. È il vincente argomento della testimonianza che primeggia sempre contro ogni predica fatta di sole parole e ragionamenti. Tutti abbiamo bisogno di testimoni a cui guardare. E tutti siamo chiamati a diventarlo, senza però pensare che esista una tecnica o un corso che ci abiliti a esserlo. La testimonianza è solo la conseguenza di una vita vissuta in un certo modo. Il testimone non si sforza di apparire tale. È più preoccupato di aderire interiormente a ciò che ha riconosciuto essere vero.
Ecco perché Gesù dice che amarlo è ‘osservare i suoi comandamenti’. Ecco perché Pietro ci invita ad ‘adorare il Signore, Cristo, nei nostri cuori’. Ecco perché la testimonianza di Filippo è efficace, in parole e opere… Perché solo custodendo il dono originario ovvero la vita in Cristo possiamo essere segno per gli altri, solo vivendo il nostro battesimo potremo essere testimoni. Davvero, allora, “la testimonianza, per un cristiano, è solo il battesimo che funziona”.
don Remo Tedoldi
parroco moderatore
SS.Trinità-Cattedrale
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