Marzia Corini ha 56 anni ed è di Roma. Laureata e specializzata in Anestesia e Rianimazione a Pisa, protagonista di missioni con Medici senza Frontiere in zone di guerra, dal 14 marzo scorso è operativa all’Ospedale Maggiore di Crema. Si è messa a disposizione come tanti altri e anche lei è in prima linea nella dura battaglia contro il Coronavirus. Lei, i nostri medici e infermieri, i sanitari che sono arrivati da Cuba: “Culture diverse – afferma – che convergono verso un solo obiettivo: essere di aiuto. Al di là di ogni barriera linguistica e culturale, lavoriamo insieme per raggiungere lo stesso risultato”.
Sin dal secondo anno di specializzazione, Marzia ha fatto lavoro di volontariato nel campo umanitario, usando le proprie ferie per lavorare in Zambia con Interplast Italy, un’associazione di chirughi plastici che si occupa di operare bambini con labbro leporino. “Una volta specializzata – fa sapere – sono stata assunta dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, nella Rianimazione del Dipartimento di Emergenza Urgenza. Ho lavorato in questa Unità Operativa, diretta dal dottor Paolo Malacarne, fino al 2013: ogni anno, grazie a lui, ho avuto la possibilità di prendere aspettative non retribuite per lavorare con Medici senza Frontiere”.
L’anestesista e rianimatrice romana ha quindi alternato il suo lavoro in ospedale con missioni in zone di guerra (“i progetti chirurgici sono solo in zone di guerra”), lavorando in diversi Paesi come Liberia, Timor Est, Sud Sudan, Iraq, Afghanistan, Repubblica Centro Africana, Pakistan, Siria e tanti altri. Nel 2000 ha vissuto circa un anno in Australia, coinvolta nella sanità delle comunità aborigene del centro. Nel 2013 si è licenziata a Pisa per darsi totalmente al lavoro umanitario: ha vissuto un anno in Africa in zone di guerra lavorando con la Croce Rossa Internazionale di Ginevra. Dal 2014 vive in America Latina, nella Guiana Francese a Cayenne, dove lavora in un ospedale statale francese.
“Al momento dell’inizio dell’emergenza Coronavirus in Lombardia – spiega Marzia – mi trovavo in Italia per motivi familiari e personali e ho immediatamente mandato il mio curriculum in un sito dell’Ats Lombarda: non trovavo possibile stare immobile a guardare quando tanti ospedali avevano un disperato bisogno di rianimatori. Sono stata contattata da Crema poco dopo e così sono approdata nella vostra città”.
L’impatto è stato drammatico. “La situazione che ho trovato al mio arrivo, il 14 marzo, era sconcertante: mai avrei creduto di vedere tanta difficoltà nel nostro Paese. Ho trovato colleghi, medici e infermieri molto professionali e motivati, capaci di rimettersi in gioco con grande serietà e in poco tempo di raddoppiare i posti letto intensivi nell’Ospedale Maggiore di Crema”.
Lavorare con i pazienti Covid, rileva Marzia, “è molto difficile e frustrante nell’ambiente intensivo: sono tanti, troppi i pazienti che non riusciamo a salvare. E noi dobbiamo convivere con la difficoltà di darsi e fare ogni sforzo possibile per poi, spesso, vederlo naufragare. Quando la sera torno ‘a casa’ trovo i nostri colleghi cubani, che sono accorsi in nostro aiuto, mettendo la loro professionalità al nostro servizio, per i nostri bisogni. Viviamo nello stesso posto e al ritorno ci scambiamo un sorriso”.
Marzia ha lavorato tanti anni in una Rianimazione di Emergenza e ne ha certamente viste e vissute tante di situazioni. “Ognuno – puntualizza – ha il proprio modo di gestire lo stress e di cercare un necessario ‘distacco’ dal paziente. Distacco indispensabile a non affondare e a mantenere la giusta distanza utile a curare, senza lasciarsi travolgere dal dolore. Ma questi pazienti spesso li vediamo svegli, prima di sedarli e intubarli. A volte per giorni. E questo accorcia vertiginosamente la distanza e aumenta la sofferenza anche di chi lavora in Rianimazione. I sorrisi che ci siamo scambiati, le poche parole dette, rompono quel velo che ci separa. E, ogni sera, portiamo a casa un pezzetto di chiunque non ce l’abbia fatta”.
Davanti al Coronavirus, Marzia non ha dubbi: “La guerra ha tante facce, non servono le bombe o le granate. Ne stiamo vivendo una silenziosa e subdola, ma non meno feroce”.