LA NASCITA
Le Acli nascono agli inizi degli anni ‘40 all’interno del mondo cattolico sostanzialmente unito attorno all’Azione Cattolica.
Il punto di partenza va cercato nella convinzione, largamente diffusa in tutta la cattolicità, che ci si trova di fronte a una crisi di civiltà e che il compito della Chiesa consiste in una nuova cristianizzazione del mondo. Questo significa mettere in campo forze intellettuali e organizzazioni con compiti e mandati ben precisi. Appare evidente fin dall’inizio che le due prospettive, quella politica e quella apostolica sono diverse: per il politico vale ciò che è possibile, per l’apostolico vale la coerenza e la testimonianza.
IL LORO OPERATO
Le Acli vengono collocate all’interno della prospettiva apostolica. In questo disegno “di riconquista integrale della società a Cristo” viene loro assegnato il compito di riconquistare i lavoratori. Le Acli, unica associazione cattolica, si danno uno statuto democratico. Le cariche direttive sono elette dal basso e il riferimento territoriale non è la diocesi, ma la provincia. In altri termini s’instaura fin dall’inizio nelle Acli il seme fecondo del doppio metodo; quello democratico/partecipativo all’interno della organizzazione e quello del binomio autorità-obbedienza verso la Gerarchia Ecclesiastica. All’inizio il compito delle Acli è semplice: esse devono operare. Ad altri è assegnato il compito di pensare.
In termini politici le Acli si collocano all’interno dei problemi concreti della classe lavoratrice e si confrontano con la Dottrina Sociale Cristiana. In che misura quest’ultima, con i suoi principi e le sue regole economiche cristiane, è adeguata a gestire il bisogno di giustizia che viene dalle fabbriche nei primi anni ‘50 soprattutto in un clima di profonda divisione ideologica?
Posso sintetizzare così il significato politico dei primi dieci anni di vita delle Acli. Esse rappresentano l’esaurirsi delle premesse religiose-culturali che presiedettero alla loro fondazione.
Ai concetti della Dottrina Sociale Cristiana si sovrappongono nuovi e autonomi concetti politici; si parla nei convegni e nei congressi di democrazia economica e di una repubblica realmente fondata sul lavoro.
In tutti gli anni ‘50 le Acli si immergono nel Movimento Operaio e l’armonia con la Gerarchia Ecclesiale e con il progetto pastorale della Chiesa viene trovato sul piano culturale; i valori del Movimento Operaio sono letti in chiave religiosa anzi il cristianesimo viene posto come fondamento ai valori del Movimento Operaio. Di fatto però questo farsi carico dei problemi della classe operaia e quindi dei problemi di giustizia economica fa avanzare all’interno del movimento l’esigenza di una elaborazione teorica che esca da una generica affermazione di principi, ma si fondi su analisi scientifiche e su programmi concreti.
ANNI CINQUANTA E SESSANTA
Negli anni’ 50 le Acli passano da una posizione di presuntuosa conquista dei lavoratori al Cristianesimo ad una preoccupazione prevalentemente politica: “fare le Acli significa collaborare alla costruzione della democrazia”. E le Acli con la loro breve storia pongono un secondo problema a se stesse e alla Gerarchia Ecclesiale: l’evoluzione della Dottrina Sociale Cristiana non più intesa come un tutto che detta regole precise e l’assunzione da parte delle Acli della autonomia della realtà terrena non posta ad una distinzione dei due piani, quello religioso e quello politico.
Nel decennio successivo, sono gli anni Sessanta, le Acli portano a compimento la loro vocazione politica. Si definiscono Movimento Operaio Cristiano e sentono la necessità di portare a concepimento la loro elaborazione relativa a una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione della cosa pubblica. È necessario avere un ruolo politico e pertanto costituiscono una corrente nella D.C. chiamata Rinnovamento.
Questa politicizzazione delle Acli è causa di un grosso dibattito con la Gerarchia Ecclesiale. Dibattito che si sviluppa attorno a una questione fondamentale e coinvolge tutto il mondo Cattolico. Quale grado di autonomia le Acli, opera di Chiesa, hanno o possono avere nel campo politico? Diceva l’assistente centrale monsignor Quadri: “La presenza autenticamente e integralmente cristiana del movimento nella vita temporale non può portare la responsabilità diretta della chiesa. Essa non vuole più identificarsi con nessun dei programmi socio-politici elaborati dai gruppi perché a causa della complessità della realtà non si può non ammettere una pluralità di tesi e programmi” (1952).
Ma qual è in sintesi il significato del confronto fra Acli e Gerarchia? Al di là del diretto oggetto del contendere rappresenta il segno più eloquente della fine di una modalità di presenza e quindi della cultura che ha informato il mondo cattolico fin dagli anni ‘40. Le Acli, nate con un chiaro mandato, acquisiscono lungo gli anni ’50 e ’60 una nuova cultura basata su valori di democrazia, autonomia, pluralismo, partecipazione e fede non ideologicizzata.
Sono i valori della cultura emergente nel mondo cattolico negli anni ’60 e aprono una ricerca e un dibattito che pur tra mille difficoltà e incomprensioni è stato proficuo ed arricchente per tutta la Gerarchia Ecclesiale e la comunità politico-civile.
Prima dell’ipotesi socialista le Acli portano a compimento il loro processo di politicizzazione. Accettano l’incompatibilità delle cariche, voluta come freno alla politicizzazione, ma le interpretano in modo diverso.
In realtà aprono una nuova politicizzazione che si caratterizza nell’assunzione di rappresentanza politica diretta come movimento e non più attraverso parlamentari all’interno della D.C. È con questo entroterra storico-culturale che le Acli incontrano da una parte tutto il nuovo che emerge nella società alla fine degli anni ’60 dall’altra il Concilio.
L’elezione di Giovanni XXIII inaugura nella Chiesa un nuovo stile caratterizzato da una progressiva distanza dalla politica con uno stile totalmente nuovo di apertura e di dialogo.
La Pacem in Terris trova entusiastica adesione nelle Acli laddove distingue fra errore ed errante. L’enciclica viene interpretata come un avvallo al dialogo con i lavoratori di ispirazione comunista già praticata nel Movimento Operaio.
Il secondo fatto nuovo che emerge dal concilio è l’autonomia dei Laici e la loro diretta responsabilità nel campo socio-politico. Il terzo elemento che viene accolto con entusiasmo nel mondo cattolico è la concezione di Chiesa come popolo di Dio.
Nel Movimento Cattolico non c’è però un’interpretazione univoca delle idee di fondo emerse dal concilio.
Per le Acli, anche quelle di Crema, si continua nella critica alla società capitalistica e si pongono come fattori strategici l’autonomia e il dialogo con la sinistra.
E A CREMA…
Sembra che le novità portate dal concilio siano passate piuttosto inosservate nel complesso della società ecclesiale cremasca.
La stragrande maggioranza dei cattolici cremaschi rimane piuttosto estranea all’evento conciliare. Nell’Azione Cattolica mi pare prevalente l’interpretazione della scelta religiosa vissuta in modo eccessivamente intra-ecclesiale.
Nello scoutismo il dibattito fra le due anime è acceso e vivace. Le Acli accentuano la loro caratterizzazione politica: prendendo posizioni in quanto Acli su problemi della città, del territorio, sui problemi sociali, con categorie di interpretazioni simili a quelle dei partiti.
Una lettura sintetica di questi primi anni può essere riassunta in questo modo: una parte dell’associazionismo, accentua la dimensione politica anche se sempre più intesa come politicità diversa da quella partitica; un’altra parte accentua la dimensione intra ecclesiale accreditando l’immagine di una chiesa separata dalla società.
Il periodo post-conciliare è caratterizzato da fatti nuovi:
1) sul versante ecclesiale si fa largo l’idea che la politica è un valore. Il dibattito sul rapporto fede e politica si è ormai concluso.
Pare ormai largamente diffusa nella realtà cremasca la convinzione che la politica ha una propria dignità, un proprio fine ed è autonoma dalla fede nel senso che è la fede a dare valore alla politica, ma la politica ha valore in sé.
La politica è autonoma dalla fede, ma non c’è separazione perchè la fede ha bisogno delle opere e se trascende la politica questa ha bisogno della fede per trarne ispirazione e finalità etiche.
2) Mentre nella comunità civile si assiste ad una continua caduta o crisi della politica, nella comunità ecclesiale va affermandosi, pur fra incertezze e non poche incomprensioni, una domanda di politicità carica di valori etici e di capacità progettuali.