Non tutti comunque conoscono il nome esatto del santuario di Caravaggio. È quello di “Santa Maria del Fonte”, titolo che richiama immediatamente l’acqua che nella Bibbia e nella Tradizione cristiana è segno di salvezza e grazia.
Siamo qui nella terra dei fontanili dove l’acqua sgorga spontaneamente dalla terra, fresca e pura, e la Madonna ha voluto “approfittare” della natura per lasciare il segno del suo passaggio: ci ha donato l’acqua, l’acqua del Figlio suo, fonte inesauribile di salvezza.
L’APPARIZIONE
“L’anno 1432 dalla nascita del Signore – si legge in un antico racconto – il giorno 26 maggio alle ore cinque della sera, avvenne che una donna di nome Giannetta, oriunda del borgo di Caravaggio, di 32 anni d’età, figlia di un certo Pietro Vacchi e sposa di Francesco Varoli, conosciuta da tutti per i suoi virtuosissimi costumi, la sua cristiana pietà, la sua vita sinceramente onesta, si trovava fuori dall’abitato lungo la strada verso Misano, ed era tutta presa dal pensiero di come avrebbe potuto portare a casa i fasci d’erba che lì era venuta a falciare per i suoi animali. Quand’ecco vide venire dall’alto e sostare proprio vicino a lei, una Signora bellissima e ammirevole, di maestosa statura, di viso leggiadro, di veneranda apparenza e di bellezza indicibile e non mai immaginata, vestita di un abito azzurro e il capo coperto di un velo bianco.
Colpita dall’aspetto così venerando della nobile Signora, stupefatta Giannetta esclamò: Maria Vergine! E la Signora subito a lei: Non temere, figlia, perché sono davvero io. Fermati e inginocchiati in preghiera”.
La Vergine disse alla donna dei gravi peccati che gli uomini commettono e di aver chiesto al Figlio suo “misericordia per le loro colpe”. Invitava a digiunare con pane e acqua al venerdì e di dedicare a lei il sabato. Inviava poi Giannetta a portare questo annuncio alla gente, promettendo forti segni che avvallassero le sue parole. E così avvenne: la gente credette, vennero a visitare il luogo dell’apparizione “e vi trovarono una fonte mai veduta prima da nessuno. A quella fonte si recarono allora alcuni malati che se ne tornavano liberati dalle infermità di cui soffrivano, per l’intercessione e i meriti della Madre di Dio ”.
Numerosi furono i miracoli e si venne nell’idea di costruire una chiesa con ospedale annesso. Diede il suo contributo anche il duca Filippo Maria Visconti e venne consacrata il 20 dicembre 1451 (diversamente da Crema, il territorio di Caravaggio faceva infatti parte del ducato milanese: lungo la strada tra Capralba e Misano è ancora indicato l’antico confine con la Serenissima).
Dopo oltre un secolo, negli ultimi decenni del Cinquecento la chiesa era già ammalorata e venne sostituita con l’attuale grande santuario. Ne fu promotore san Carlo Borromeo che affidò l’incarico del disegno al celebre architetto Pellegrino Tibaldi che si rifà allo stile “gigante” michelangiolesco. I lavori durarono un secolo e mezzo, dal 1571 al 1722. La grande struttura dell’altare maggiore fu costruita dal 1736 al 1750 su disegno di Carlo Merlo.
Il santuario ha una pianta a croce latina, con l’abside rivolta a est e l’ingresso principale a ponente.
Attorno al santuario, venne costruito uno splendido porticato (e numerose abitazioni di servizio) che l’abbraccia e racchiude un’ampia zona riservata ai pellegrini; nel 1710 venne inaugurato il lungo viale che collega la basilica con Caravaggio.
Sia sul piazzale a nord del santuario che su quello a sud, si aprono due grandi vasche alimentate dall’acqua dei fontanili, dove un tempo (soprattutto in quella a sud che è gradinata) i fedeli venivano a bagnarsi.
Ma l’acqua sgorga, da una “fonte” nella cappella sottostante il santuario, dove (proprio in corrispondenza all’altare maggiore della basilica) si visita il luogo esatto dell’apparizione della Madonna: la ricorda un mosaico moderno con la scritta: “Stanno aperti i miei occhi e il mio cuore su quanti mi invocano in questo luogo che io ho eletto e santificato”.
In questo suggestivo “corridoio sotterraneo” che corre da una parte all’altra del santuario, troviamo anche due ricordi di miracoli compiuti dalla Madonna: una ghigliottina che s’inceppò durante un’esecuzione proprio il 26 maggio, salvando il condannato e il catenaccio che si spezzò per accogliere in santuario un pellegrino minacciato da un malavitoso.
Ma nella cappella sotterranea troviamo anche un’antica immagine della Madonna con la celebre epigrafe che costituisce la prima testimonianza dell’apparizione e – soprattutto – il sacro fonte a disposizione dei pellegrini che possono bere o attingere acqua: sulla facciata della vasca sono rappresentanti cervi alla fonte che ci invitano a pregare con il salmo 41:
Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te,
o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?
Troviamo qui il significato peculiare del santuario di Caravaggio, quello del segno dell’acqua lasciato da Maria. Il simbolo dell’“acqua viva” è stato usato da Gesù nel dialogo con la Samaritana: “Chiunque beve dell’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,13-15). Lo stesso evangelista precisa che Gesù “disse questo dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (7,39), cioè quello Spirito Santo che il Risorto invierà come dono ai suoi fedeli nei secoli.
Quando beviamo l’acqua dalla fonte di Caravaggio, quando scendiamo nelle vasche del piazzale come in un battistero (oggi purtroppo una è vuota e un’altra contiene grossi pesci!) ricordiamo e riviviamo, per l’intercessione di Maria, il nostro Battesimo e la grazia dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto.
Arricchiti da questa grazia, lasciando il santuario, diventiamo a nostra volta “sorgenti d’acqua che zampilla” per i nostri fratelli.
LA VISITA
Il santuario della Madonna del Fonte è veramente imponente, sia all’esterno (un recente restauro ha messo in luce le nervature in cotto), sia all’interno, completamente affrescato dai caravaggini Giovanni Moriggia e Luigi Cavenaghi, il primo ha lavorato nell’Ottocento, il secondo nel Novecento.
La grande navata conta quattro cappelle per parte, e – nel mezzo – due ingressi, sopra i quali il maestoso apparato dell’organo (originariamente un Serassi) e delle cantorie. I preziosi lavori di intaglio sono del caravaggino Giacomo Carminati (1747).
In senso antiorario (iniziando da destra) troviamo le cappelle: di San’Antonio abate (tela di Giambattista Secco, sec. XVII); della Deposizione (tela di Giacomo Cavedoni, 1577-1660); della Madonna con i santi Filippo e Giacomo Apostoli (tela di G.B. Secco); della Madonna del rosario (tela di G.B. Secco).
Si arriva così all’altare maggiore elevato su una bella scalinata e inserito in un tempietto circolare di otto colonne intercalate da statue del Melloni (La Fede, La Carità, L’Amore, L’Umiltà). Sulla trabeazione circolare poggia un fastoso baldacchino con angioletti che reggono una corona di stelle. Il tutto di tipico gusto settecentesco, costruito da Carlo Merlo tra il 1736 e il 1750. Uno sguardo alla cupola per ammirare Il Paradiso e, nei pennacchi, le figure di Rut, Abigail, Ester e Giuditta, eseguite nell’Ottocento da Giovanni Moriggia. Nelle volte del transetto sono di quest’ultimo: Cacciata di Adamo ed Eva, Natività della Vergine, Presentazione al tempio, Gesù tra i dottori. Nei lunettoni dei due bracci maggiori: Annunciazione, Sposalizio della Vergine, Visitazione e Nascita di Cristo. Il Cavenaghi, da parte sua, all’inizio del Novecento ha dipinto tutti gli affreschi delle volte delle navate, con scene intonate ai Dottori della chiesa, fanciulli, angeli, putti e sibille.
Ritornando sul lato sinistro della navata, nella quinta cappella: Educazione della Vergine (del Moriggia, 1825); nella sesta cappella Pesca miracolosa (di Giacomo Trécourt, 1812-82); nella settima cappella, Madonna che mostra il Bambino a S. Antonio da Padova e a S. Lucia (di Carlo Preda 1710); nell’ottava cappella una copia dell’Arcangelo Gabriele di Guido Reni, eseguita da Paolo Gallinoni.
Comunque il luogo artisticamente più prezioso è la sacrestia, il cui ingresso è nel braccio nord del transetto, realizzata tra Seicento e Settecento. Si tratta di un’opera unitaria: vicino all’ingresso una tavola con una Deposizione, attribuita al Bergognone (1481-1522). Nel soffitto un’Assunzione della Vergine, affresco di Giuseppe Procaccini (1698). Suoi sono anche gli Episodi Evangelici e gli Apostoli affrescati tra le mensole del soffitto. Di Giacomo Carminati i grandi armadi intagliati nei quali veniva custodito il “tesoro” del santuario (1730), depredato poi durante la dominazione dei Francesi. In fondo alla sagrestia, una Deposizione del Legnanino, una tela proveniente dal convento dei Cappuccini di Caravaggio, che era stato soppresso.
Nella navata posteriore, ai lati del portale orientale troviamo due grandi statue lignee raffiguranti S. Pietro e S. Paolo, di Giambattista Carminati (1750). Alle pareti due dipinti raffiguranti l’Apparizione della Madonna: quello di destra è opera di Camillo Procaccini (1551-1629), quello di sinistra di Giovanni Stefano Danedi, detto il Montalto (1609-1690).
IL SACRO SPECO
Non ci resta che scendere nello Speco, il luogo più sacro del santuario che si trova sotto l’altare maggiore e sopra il luogo esatto dell’apparizione, rivolto alla navata orientale da dove si accede con due scalinate.
Sul palco le statue lignee della Madonna in piedi, benedicente (con abito azzurro e velo bianco, secondo il racconto dell’apparizione) e di Giannetta inginocchiata davanti a lei. Tra di loro l’acqua che sgorga dal terreno e un ramo fiorito. Sullo sfondo è dipinta forse la prima chiesa costruita nel prato Mazzolengo dove avvenne l’apparizione. La Madonna tiene in mano un rosario donato da san Giovanni Paolo II quando visitò il santuario nel giugno 1992.
Davanti alla scena, un inginocchiatoio e uno spazio semicircolare per la preghiera. Il tutto chiuso da una cancellata settecentesca in ferro e bronzo dorato. Nel periodo estivo, le statue del gruppo dell’Apparizione vengono trasportate nella navata di levante.
Nel complesso del santuario si trova anche il Centro di Spiritualità la cui cappella contiene sculture di Mario Toffetti (1992). Non manca la cancelleria.