Madre Amelia Marchesini: una lettera per raccontare la sua esperienza in Brasile

Amelia Marchesini
Nella lettera a seguire, madre Amelia Marchesini – canossiana e da oltre 40 anni missionaria in Brasile, racconta la sua nuova esperienza nel nord di questo Paese. Descrive l’urgenza di un centro di aggregazione per giovani – per la quale per altro si è impegnata la nostra diocesi in questa Quaresima – e conclude con un interessante appello ai nostri giovani coraggiosi.
Carissime amiche, carissimi amici cremaschi,
         dico subito la verità: non sono molto amica della penna e infatti tutti mi rimproverano di non scrivere abbastanza. Però, di fronte alle forti insistenze di Enrico e alla vostra generosità quaresimale, ho ceduto. Ed eccomi a parlarvi di Imperatriz, la mia nuova missione al nord di questo continente che si chiama Brasile… Cercherò quindi di descrivervi la realtà in cui vivo da due anni e che mi ha profondamente sorpreso, nonostante i 42 anni di Brasile, che mi facevano considerare una “esperta”.
Imperatriz è una città di circa 250.000 abitanti, situata nella parte occidentale dello stato del Maranhão, sulle rive del fiume Tocantins, che fa da confine tra gli stati del Maranhão e Tocantins appunto. Deve il suo nome alla moglie dell’ultimo imperatore del Brasile, Pedro II. Era italiana, Teresa di Borbone, e si fece molto amare dai sudditi brasiliani.
Il clima è molto caldo tutto l’anno, ed è pressoché impossibile uscire nelle ore diurne quando il sole è più alto, anche per problemi legati alla pelle, e la gente del posto è costretta a utilizzare l’ombrello. Ci sono due stagioni, quella secca e quella delle piogge. Un clima che ha costretto il mio fisico a un lento adattamento.
La cultura cambia molto rispetto alle mie vecchie esperienze del Brasile meridionale, tanto che da quando sono qui ho ricominciato da capo: ascoltare, osservare, conoscere… per poi poter agire.
Le differenze vanno da cose molto pratiche come l’accento o la cucina (diversa come gusto, ma anche meno nutriente), fino al modo di porsi delle persone. Ad esempio la gente, anche a causa della maggiore povertà, è più accogliente, riconoscente e si sa accontentare.
Quando si parla di maggiore povertà s’intende una quasi totale assenza di servizi e infrastrutture. Le case sono più umili, le strade mancano o spesso non sono asfaltate, la sanità non funziona, le “fognature” consistono in semplici canaletti a lato delle abitazioni diretti verso luoghi di deposito, così, quando piove, questi straripano nelle strade. In questo
modo si formano luoghi favorevoli per lo sviluppo di zanzare portatrici di malattie molto pericolose.
Un grave problema è quello della sicurezza. Delinquenza, furti, spaccio di droga, violenza… sono all’ordine del giorno.
Perlomeno in genere le religiose godono di un certo rispetto. Questa situazione così incerta è dovuta anche alla mancanza di lavoro. Le occasioni di riscatto per i giovani sono poche, così i pezzi grossi della malavita, adescandoli con quattro soldi, li sfruttano per i loro traffici, specialmente lo spaccio.
A proposito di lavoro, la maggioranza delle possibilità d’impiego della gente comune si appoggiano sui grandi proprietari terrieri, impegnati nell’agricoltura e soprattutto nel pascolo di bestiame. Le abitazioni e i campi generano occupazioni specialmente come domestiche per le donne e guardiani per gli uomini.
Le famiglie non sono in genere molto unite e il livello d’istruzione è basso. È vero che a oggi la scuola è abbastanza frequentata, in quanto incentivata dalla “borsa-famiglia”, una sovvenzione pubblica alle famiglie che però, in caso di mancata frequenza scolastica dei figli, viene meno.
La Chiesa è anch’essa molto povera, ma c’è una fede forte, espressa nelle Messe e nelle celebrazioni con uno stile particolare, diverso rispetto al sud. I sacerdoti non sono molti e inoltre, dovendo mantenersi, occupano parte delle loro giornate nell’insegnamento. Così le
diverse parrocchie/comunità sono a loro volta ripartite in “cappelle”: in sostanza ciascun quartiere dispone di una propria cappella dove si riunisce per le celebrazioni. Celebrazioni che molto spesso non sono presiedute da un prete, ma dai ministri della Parola, cioè le suore stesse o più comunemente laici impegnati; anche se in mancanza del sacerdote ovviamente non ci può essere una vera e propria Messa. Tutto ciò favorisce una presa di coscienza dei comuni fedeli che sono formati a livello diocesano. Tra di loro si organizzano anche in gruppi missionari, che hanno il compito, una domenica al mese, di far visita a tutte le case.
Infine, sono presenti molti evangelici e molte sette cristiane. Queste ultime attirano molto promettendo denaro. Gli evangelici invece riescono a richiamare i giovani con gite, momenti di uscita dalla routine… sfruttando bene la decima, di cui anche loro sono beneficiari. Forse anche la Chiesa Cattolica dovrebbe prendere spunto da questo tipo di pastorale.
La comunità religiosa nella quale vivo è composta da sei suore, ciascuna con un’attività pastorale differente dove opera secondo le sue propensioni e i suoi metodi. Il mio campo d’azione sono: bambini, giovani e coppie, con i quali m’impegno soprattutto in una “pastorale dell’amicizia”: ascoltare, parlare e compiere piccoli gesti quotidiani sono cose molto apprezzate da tutti. Naturalmente vengono poi dedicati a essi corsi di vario genere: religiosi, di supplemento alla scuola, di sensibilizzazione su temi sociali. Per i più grandi si organizzano anche incontri catechetici, svolti da noi o da catechisti laici. A tutti, infine, si cerca di garantire un apporto di medicinali adeguato, in quanto, come già detto, il sistema sanitario non è all’altezza.
Tuttavia quello che mi preme di più, e per il quale ho chiesto un aiuto alla cara diocesi di Crema durante il periodo quaresimale, è fare in modo che bambini e ragazzi siano tenuti il più possibile lontani dalla strada, dove altrimenti sono vittime del sistema corrotto. Per fare questo è indispensabile rimettere in funzione un vecchio oratorio, da molto tempo in disuso, ma si può trasformare in una di quelle poche occasioni di riscatto per giovani, di cui parlavo all’inizio.
Il primo lavoro da fare è sistemare un terreno, stendendo un fondo di cemento in modo da non rischiare d’impantanarsi a causa delle abbondanti piogge. In un secondo momento si potrebbe pensare a un campo da calcio in erba sintetica, in modo da poter giocare senza farsi male.
Certo le cose da fare sono tante e credo che, come dice il proverbio, “camminando si apre cammino”, altre idee e altri progetti si faranno avanti col tempo.
Contemporaneamente non dimentico l’importanza della formazione dei giovani che possano aiutare tutti coloro che frequentano il nostro “Centro di aggregazione giovanile”. Senza di questi le nostre strutture non servono a niente.
A questo proposito sento di dover chiedere un aiuto anche ai giovani di Crema: se volete fare un’esperienza educativa significativa, vi aspetto nel mese di agosto per quello che noi chiamiamo Agosto feliz, una sorta di Grest alla brasiliana. Ho sempre creduto alla collaborazione e alla convivenza tra giovani italiani e giovani brasiliani per aiutare bambini e ragazzi che altrimenti non hanno altra scuola se non la strada. Coraggio… vi aspetto numerosi!
Con grande riconoscenza madre Amelia Marchesini