Stefano Sangalli è un giovane trentenne, originario di Crema, che il 22 febbraio è volato alla volta di Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, dove lavorerà per un anno presso un’Associazione, Foyer Ek’abana, impegnata nel recupero di ragazzi abbandonati. Lo abbiamo incontrato pochi giorni prima della partenza per porgli qualche domanda.
Come è nata questa tua decisione di partire per l’Africa?
“È stato un processo abbastanza lungo e la decisione è maturata dopo vari viaggi, alcuni puramente turistici, come quello fatto in India nel 2009, altri più motivati, come quando nel settembre 2014 mi recai per un mese in Sudan, presso un college di padri Comboniani, dove lavorava un amico. Trovai la cosa molto interessante e per questo decisi di mettermi in gioco, sfruttando questa volta l’opportunità che mi offriva il Servizio Civile Internazionale”.
Qual è stata la tua destinazione e per quanto tempo ti sei fermato?
“La destinazione è stata ancora il Sudan, in particolare un Centro di fisioterapia e logoterapia, dove per un anno, dal settembre 2015 al settembre 2016, ho avuto il compito di coordinare dei corsi di formazione per ragazzi disabili al fine di imparare un mestiere”.
Hai svolto attività di formazione?
“Certamente. E ricordo perfettamente due raccomandazioni che poi si sono rivelate utilissime: la prima di non pensare che avremmo salvato il mondo e la seconda di non parlare nei primi mesi, ma di ascoltare. Ascoltare tutto in particolare i bisogni e le difficoltà che emergevano”.
Non saranno stati mesi facili.
“Sono stati mesi molto difficili. Poi conoscendo la cultura, ho capito cosa serviva a mettermi in gioco, superando le difficoltà. Così dopo cinque, sei mesi ero diventato pienamente operativo. Ho anche insegnato Italiano a giovani che volevano andare in Italia e ho avuto l’opportunità di fare qualche viaggio in Paesi africani, quali il Madagascar e l’Etiopia”.
Poi sei tornato in Italia?
“Un ritorno devastante. Qualcosa era cambiato in me e l’ho capito fin da subito, quando per la prima volta in Italia sono andato a bere un caffè. In Sudan bere un caffè era l’occasione per parlare, scambiarsi opinioni, sensazioni, pensieri. Qui mi hanno guardato come se venissi da un altro pianeta e ho capito subito di aver perso quella differenza di relazione, sia nell’accoglienza che nell’attenzione, alle persone”.
Una volta tornato dove hai lavorato?
“Ho lavorato alla Caritas diocesana a stretto contatto con i richiedenti asilo africani. Parlando con loro ho continuato a rivivere la mia storia, scoprendo ogni volta che ricevevo più di quanto potessi fare per loro. Tuttavia mi sono reso conto che questo non bastava. La diversità è davvero un arricchimento e così ho deciso di ripartire”.
Nuova destinazione?
“Sì, questa volta è la Repubblica Democratica del Congo e sarò inviato, per conto della onlus Helpcode di Genova, nella città di Bukavu, dove lavorerò in un Centro per minori abbandonati in quanto accusati di stregoneria e gestito dalla Caritas locale. 30 sono i bambini ospitati nella struttura, mentre altri 50 vengono regolarmente seguiti fuori dal centro. Tuttavia il loro numero è in aumento”.
Stregoneria? Ma come è possibile che dei bambini siano segnati per sempre da un’accusa così infamante?
“Purtroppo sono fatti molto comuni in Africa. Quando qualcosa va male nella vita di una famiglia, si cerca un colpevole e spesso la colpa ricade su bambini o bambine che vengono immediatamente rifiutate e allontanate dalla famiglia. Il loro destino sarebbe la strada se non ci fossero strutture come il Foyer Ek’abana che lavorano affinché i bambini recuperino fiducia in se stessi e le famiglie perdano ogni diffidenza verso di loro, facendoli così rientrare al loro interno”.
La situazione familiare allora è alquanto drammatica!
“No, non tutte le famiglie sono superstiziose. Anzi ci sono casi interessanti di famiglie molto generose che vogliono adottare questi bambini”.
Qualcosa ancora da aggiungere prima di partire?
“Voglio esprimere un grazie riconoscente e speciale a Caritas diocesana, perché mi ha offerto la possibilità di lavorare in due strutture di accoglienza per richiedenti asilo. Un’esperienza, come detto, indimenticabile”.
Grazie a te Stefano, per il bell’esempio che ci dai e continua a tenerci informati su questa coraggiosa esperienza.