XVI domenica del tempo ordinario, anno A – Romano Dasti commenta il Vangelo di oggi

diocesi di Crema
Foto di repertorio

DAL VANGELO SECONDO MATTEO 13,24-35 (forma breve)

“Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo”

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?. Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo!. E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla?. No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

 

COMMENTO

Le sette parabole del cap. 13 di Matteo riprendono e ricalcano quelle del cap. 4 di Marco. Con una variante curiosa ed intrigante: la seconda, che in Marco è quella del seme che cresce da solo, all’insaputa e senza l’apporto del seminatore, in Matteo diventa quella della zizzania che cresce insieme al “buon seme”. Quella della zizzania è una parabola tipica di Matteo, che non si trova negli altri vangeli, e sembra proprio una rilettura originale di quella di Marco. Essa rispecchia dunque, almeno in parte, il vissuto della comunità che l’ha conservata e tramandata. Ci troviamo di fronte a due visioni, in parte divergenti: quella più positiva, ottimistica tramandata da Marco col seme (il regno) che cresce e si fa strada senza che l’uomo offra necessariamente il suo apporto, si dia da fare, in quanto la fecondità del seme prescinde dall’operosità dell’uomo; quella tendenzialmente più negativa, pessimista di Matteo che all’insaputa del seminatore non scorge il crescere inesorabile del regno ma quello del “seme cattivo”, la zizzania, appunto.

È una rilettura figlia di tempi difficili, in cui probabilmente le prime comunità dei credenti in Gesù erano alle prese con dolorose divisioni interne, con travisamenti del messaggio del Maestro, con un clima di ostilità che rischiava di soffocare la piccola e fragile Chiesa nascente. Sembra una comunità un po’ spaventata, che vede un «nemico» aggirarsi infido, silenzioso e nascosto.
Immediatamente, la nostra simpatia potrebbe andare alla visione più ottimistica espressa da Marco che sembra più in linea con il messaggio positivo e fiducioso contenuto in queste parabole. Ma c’è verità anche nel pessimismo di Matteo, in questo sentimento molto umano che nasce da un contesto difficile (molto difficile), da un vissuto realmente drammatico.

A ben vedere, spesso la Chiesa e i cristiani, nella lettura dei tempi – anche di tempi non particolarmente drammatici – tendono ad avere uno sguardo di questo genere, portato a cogliere il negativo, il nemico che si aggira, il prevalere del male su bene. Il messaggio della parabola, sotto questo profilo, è quello di “governare” il pessimismo che ci viene quasi spontaneo e di tenere a freno la tendenza a individuare con nettezza bene e male, buoni e cattivi, così da estirpare i secondi. Il tempo che viviamo – qualsiasi tempo, quello apparentemente più drammatico e difficile come quello più sereno e promettente – è sempre un tempo di chiaroscuri, di cose buone e meno buone mescolate insieme, difficili da distinguere e districare. È sempre un tempo intermedio nel quale dobbiamo disporci ad assumere la fiduciosa pazienza di Gesù: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme» (v. 30).

Non per una superficiale indifferenza ma per una sana accettazione del fatto che non tutto è sempre chiaro e definito, dai contorni netti. All’impaurita comunità di Matteo Gesù sembra dire: abbi fiducia, attendi con pazienza, perché non tutto adesso – nel tempo della storia – è così chiaro! Al tempo della mietitura – che non è il nostro – si vedrà con chiarezza e si agirà di conseguenza.
E questo messaggio di fiducia è il filo conduttore delle due successive, brevissime parabole: il granellino di senape ed il lievito nella pasta. “La parabola del granello di senape indica i piccoli inizi del regno che non fanno colpo nel ministero di Gesù anche se è un regno che già agisce in modo potente – per coloro che hanno occhi per vedere – nella sua predicazione e nelle sue guarigioni. Ma la pienezza e la gloria di questo regno sarà visibile a tutti solo in futuro, quando le dodici tribù d’Israele saranno riunite e la signoria di Dio non sarà più parziale, nascosta e apparentemente assente. Il contrasto tra la fine e l’inizio sfida quasi la fede ma la progressiva affermazione del regno è già presente e garantita nei suoi piccoli inizi” (Meier). Il regno è ancora piccolo, è nascosto, fatica ad affermarsi ma c’è, è all’opera. Le parole e le azioni di Gesù rappresentano questo inesorabile inizio: “già” e “non ancora”.

Romano Dasti