Il commento al Vangelo di domani, domenica 8 settembre

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Di seguito proponiamo il passo del Vangelo di domani, domenica 8 settembre e il relativo commento.

VANGELO: Lc 14, 25-33

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

IL COMMENTO AL VANGELO

La Parola del Signore di oggi può sembrare molto dura, molto esigente, ma chi ama veramente Gesù la fa sua e non può fare diversamente. Il 4 settembre del 2016 papa Francesco ha proclamato santa Madre Teresa di Calcutta, una donna che ha potuto dire: “Non ho mai detto di no a Gesù. Non tanto sulle questioni personali, sulla vocazione, su quello che la vocazione mi chiedeva; ma tutti i giorni, quello che il Signore mi metteva davanti io lo prendevo dalle sue mani: che fossero gioie o croci, tutto prendevo dalle mani di Dio.”
Proviamo dunque addentrarci nel Vangelo di Luca che oggi la liturgia ci propone. Gesù è seguito da una folla numerosa, poteva essere contento: finalmente qualcuno che cominciava a capire il suo valore! Invece si volta, guarda in volto coloro che lo seguono e dice: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e perfino la propria vita non può essere mio discepolo.” Parole molto forti, ma che puntano in alto. Il Signore ci chiede un di più, non dice: “Dovete amarmi, ma lasciando perdere vostra madre, vostro fratello, vostro padre”; dice: “Dovete amarmi più di…”; quindi: amate, ma – come dice S. Benedetto – senza nulla anteporre all’amore per Cristo. Perché in lui poi tutti vengono amati di conseguenza.
La sottolineatura importante nell’affermazione di Gesù è questa: “Se uno viene a me”. Cioè: se tu desideri la mia persona, io non ti propongo carriere, non ti propongo proposte alternative, ma ti offro me stesso. Allora andare a lui è prima di tutto rompere quella crosta di egoismo che abbiamo dentro di noi e che ci mette sempre al centro di tutto. Noi accentriamo tutto su di noi! Gesù Cristo ci dice: cercate di riorientare la vostra vita su di me, non sul vostro ombelico… se venite a me, la vostra vita prenderà un altro sapore, un altro colore.
È difficile staccarsi dal nostro io, dalle nostre croci, dalle nostre sofferenze perché almeno in quelle possiamo essere compatiti. Gesù invece ci dice: “Vieni a me! Vieni a me con quello che ti grava sulle spalle, vieni a me con quello che ti soffoca, vieni a me con la tua tentazione, ma anche con la tua gioia, la tua bellezza, vieni a me; io mi offro a te stesso”. Allora facciamoci questa domanda: Sono disposto davvero ad andare a lui? Perché andare a lui significa dimenticare un po’ me, passare in secondo piano.
Se uno capisce questo, mette la sua vita in mano a Dio e queste parole invece di essere crocifiggenti diventano parole liberanti. Lui sa come condurmi, lui sa dove portarmi, lui sa quanto chiedermi e quanto togliermi. Sono parole liberanti che, giorno dopo giorno, ci trasformano e ci liberano dall’uomo vecchio per divenire un uomo nuovo. Se noi siamo convinti che Gesù Cristo è persona, è Dio e uomo, e che la grazia opera in noi nella misura in cui lo lasciamo fare, allora la nostra vita davvero viene trasformata.
Ne abbiamo un esempio in madre Teresa di Calcutta, ma anche in san Paolo. Ve lo ricordate? Un uomo, un persecutore, un violento, un orgoglioso, un uomo che sapeva tutto lui. Ecco, oggi, noi ascoltiamo dalla lettera a Filèmone, Paolo che scrive di se stesso: “Io, Paolo così come sono, vecchio, prigioniero di Cristo, ti rimando Onèsimo, figlio mio, generato nelle catene; non ho voluto fare nulla senza il tuo parere perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Sono in catene per il Vangelo.” Paolo, grande apostolo delle genti, che ora finisce la sua vita dicendo: io sono vecchio, prigioniero, in catene, ti chiedo un favore, mi sta a cuore quello che pensi tu; quindi un uomo che cerca la relazione, la riconciliazione. Di fronte a un Paolo che diventa così, come si fa a dire che la grazia non c’è? Come si fa a dire che la grazia non opera nelle persone? La grazia opera ed è dilagante in coloro che si rimettono a Gesù Cristo. La grazia è operante e dilagante in coloro che vanno a lui e lo amano al di sopra di tutto il resto (resto che non scompare, ma viene trasformato da lui). Come non vedere la grazia operante e dilagante in certi nostri fratelli infermi che accolgono la malattia e le sciagure con il sorriso, con la pace. Come fai a dire che Dio non esiste, che Dio non opera dentro al cuore degli uomini?
Allora in realtà non è che dobbiamo liberarci della croce, di nostro padre, di nostra madre, di tutto il resto e degli affetti; il Signore ci chiede prima di tutto di liberarci dalla scorza del nostro io che accentra tutto e che diventa soffocante. Se uno viene a me – ci dice – diventa libero, esce da se stesso e si libera dal proprio egoismo e dal proprio io. Il mondo in realtà sceglie altro, non Gesù Cristo, e ne vediamo le conseguenze. E allora cerchiamo di andare davvero alla scuola di Paolo, dei Santi che ci dimostrano che, per chi la accoglie, la grazia è operante e liberante, è fonte di vita.
Se oggi il Signore si volta e ci guarda, noi come lo guardiamo? Sottraiamo lo sguardo? Ci voltiamo da un’altra parte? Siamo capaci di guardarlo negli occhi? Siamo disposti ad andare a lui senza condizioni? Madre Teresa di Calcutta si è lasciata guardare. Ha visto negli occhi di Gesù la sete per gli uomini, ha visto la sua sete di salvezza per tutti gli uomini e ha lasciato tutto, quel tutto che Dio stesso gli aveva dato: una congregazione, una scuola, delle persone, delle sorelle, ha lasciato tutto ciò che amava per un di più che Egli le chiedeva. E il miracolo è davanti ai nostri occhi. Allora non possiamo dire che non c’è la grazia, che Dio non opera. Dipende dal nostro cuore!
Termino con una preghiera di Madre Teresa di Calcutta: Signore tu sei la vita che voglio vivere, la luce che voglio riflettere, l’amore che voglio amare, la gioia che voglio condividere. Gesù tu sei tutto per me, senza te non posso nulla, tu sei il pane di vita che la Chiesa mi dà; è per te, in te, con te che io posso vivere. Allora questo è un Vangelo per la vita, non per schiacciarci. Amen

Madre Maria Emmanuel Corradini, OSB
Badessa Monastero Benedettino San Raimondo – Piacenza