PADRE ALFREDO CREMONESI: Santa Messa nel 65° del martirio

Il vescovo Gianotti celebra la Messa per Alfredo Cremonesi
L'intervento della dott. Consolini al termine della Messa presieduta dal vescovo Daniele Gianotti

Celebrato questa sera in cattedrale il 65° anniversario del martirio di padre Alfredo Cremonesi, il missionario cremasco ucciso in Birmania il 7 febbraio 1953. Il vescovo Daniele ha celebrato l’Eucarestia, affiancato da don Elio Costi, parroco di Ripalta Guerina, paese natale di padre Alfredo, e dal vicario don Maurizio Vailati. Nell’occasione – come ha ricordato Enrico Fantoni all’inizio della celebrazione – è stato ricordato anche padre Piero Gheddo che ha promosso il processo di beatificazione del missionario cremasco e ne ha scritto la biografia.

L’OMELIA DEL VESCOVO

Nell’omelia il vescovo Daniele, riferendosi al brano del libro dei Re che narra della regina di Saba, ha presentato la misteriosa donna come profezia dei popoli pagani che avrebbero accolto il Vangelo.

“Cremonesi – ha detto – ha incarnato nella sua situazione quello che è l’impegno della Chiesa: testimoniare e predicare a tutti la gioia del Vangelo. Ha citato inoltre la frase di una sua lettera nella quale afferma che “non potendo fare altro mi sono sfogato a fare quanto più adorazione fosse possibile. Questa la grande sapienza di padre Alfredo che stava alla base della sua missione!”
All’offertorio è stato consegnato il testo della positio (la raccolta di documenti utili per la beatificazione) e la parrocchia di Ripalta Guerina ha offerto un omaggio floreale.

L’INTERVENTO DELLA DOTT.SSA CONSOLINI

Al termine della Messa la dott. Consolini, postulatrice della causa di beatificazione ha fatto il punto della situazione in merito. Domani (8 febbraio) sarà un giorno chiave perché i nove teologi delle cause dei santi, dopo aver letto e studiato la positio, dovranno esprimere il loro parere in merito al martirio del missionario cremasco: fondamentale per la promozione della causa di beatificazione, è infatti la presentazione della sua uccisione, configurata come vero martirio, cioè in “odium fidei” (in odio della fede cristiana).

Tre le condizioni per riconoscere il martirio, ha spiegato la Consolini: l’esistenza di un ambiente di persecuzione dichiarata, la volontà dell’uccisore di uccidere per contrastare la fede cristiana; la disposizione al martirio della vittima. Se i teologi valuteranno l’esistenza di queste tre condizioni, la strada per la beatificazione sarà in discesa… “potremo già prepararne la festa” ha detto la postulatrice.

E ha spiegato che, secondo il suo punto di vista, dopo aver studiato tutti i documenti e le testimonianze, l’atmosfera di persecuzione c’era in quel tempo in Birmania. Il Paese asiatico era un momento difficile e i missionari del PIME non erano ben visti. Erano infatti missionari di prima evangelizzazione e andavano dove nessuno era ancora arrivato. Si rivolgevano cioè alle etnie dei poveri e davano a queste persone il senso della loro dignità umana. Ciò dava fastidio agli strati più alti della società che non accettavano il loro riscatto. Tali gruppi etnici erano parte di un buddismo nazionalista che si identificava con lo Stato e i missionari promotori del Cristianesimo davano fastidio e li perseguitavano.

Questa la situazione quando arrivò in Birmania p. Cremonesi. La sua missione era grande come il Lombardo-Veneto, disseminata di villaggi che andava a visitare, magari una volta all’anno. Ogni missionario in Birmania era solo, aiutato soltanto dai catechisti.

La Birmania era una colonia inglese. Divenne indipendente nel ’48, ispirandosi al socialismo tramite il buddismo. Per i missionari la situazione peggiorò. Nel 1961 il buddismo divenne religione di Stato. Tutte le scuole furono requisite dallo Stato e ai missionari venne sempre più limitato il campo di azione. Nel 1966 (dopo il martirio di padre Cremonesi) saranno tutti cacciati.

IL MARTIRIO

Quando, dopo l’indipendenza, scoppiò anche la guerra civile, aumentò il clima di odio alla fede. Padre Cremonesi si trovò fra due fuochi: i soldati dello Stato e i ribelli. Fece da pacere tra le due parti, riuscendo anche ad ottenere qualche successo nel dialogo tra le parti. Avrebbe ottenuto anche dei risultati se non fosse successo l’irreparabile.

L’irreparabile avvenne quando prese in mano l’esercito un generale senza scrupoli (che poi sarebbe diventato il primo dittatore), coadiuvato da un luogotenente anch’egli senza scrupoli (il futuro secondo dittatore). Sono loro che decisero di di togliere di mezzo padre Cremonesi, troppo stimato dal popolo.

Arrivarono con un drappello di soldati al suo villaggio. Padre Cremonesi, assieme al catechista, andò loro incontro per parlare: i soldati spararono e li ferirono. In un promo momento se ne andarono, ma poi tornarono per verificare se i due erano morti. Il luogotenente del generale  vedendo che padre Cremonesi non era morto e aveva aperto il libro di preghiere, diede ordine di ucciderlo, sparandogli tra l’occhio e la tempia come si faceva con le bestie. Oltre alla violenza, anche il disprezzo! Poi si accanirono contro tutto quello che c’era religioso distruggendo suppellettili di ogni tipo, ma non toccarono niente altro.

Quando se ne andarono, senza ferire nessun altro, la gente capì che il loro scopo era quello di uccidere solo il sacerdote, colui che portava il Vangelo. Ne lavano il corpo e fecero una veglia di 24 ore. Scattarono anche alcune fotografie preziosissime per noi oggi. 


Padre Cremonesi, da parte sua, era disposto al martirio: i missionari del PIME a quel tempo facevano il giuramento di portare il Vangelo fino al sacrificio supremo. Padre Cremonesi sapeva di dover essere ucciso e lo scrisse più volte nelle sue lettere.

Ci sono dunque tutti gli elementi per dichiarare padre Alfredo martire!

Domani la commissione teologica si pronuncerà. Il vescovo Daniele ha invitato tutti a pregare per un esito positivo. La Messa si è infatti conclusa con la recita di una preghiera composta proprio dal vescovo e distribuita a tutti sull’immaginetta del grande missionario cremasco.