Domenica 20 ottobre. Don Giorgio commenta il Vangelo: “Dobbiamo essere servi gli uni degli altri”

Dal Vangelo secondo Marco 10, 35-45

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Don Giorgio commenta il Vangelo: fiducia in Gesù risorto

La Parola di Dio di oggi ci presenta, nelle prime due letture, Gesù come un sommo sacerdote che sa prendere parte alle nostre debolezze perché, uomo come noi, messo alla prova in ogni cosa (eccetto il peccato) ha dato la propria vita in riscatto per molti. Il servizio della croce.
Il profeta Isaia afferma che tramite questo sacrificio “giustificherà molti”, salverà cioè tutti coloro che lo seguono. Non solo: che “dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”, profezia evidente della risurrezione di Gesù.
La lettera agli Ebrei fa il paragone con il sacerdozio ebraico. Il sommo sacerdote entrava nel tempio una vola all’anno al di là del grande velo che chiudeva l’arca: l’autore della lettera paragona questo velo ai cieli attraverso i quali passa Gesù risorto. Dobbiamo quindi avere piena fiducia in Lui per ricevere misericordia e trovare la grazia della salvezza.

Un sacerdote è al servizio dei propri fedeli

Oggi ci fermiamo sulla parte conclusiva del Vangelo, introdotta dalla poco esemplare vicenda dei due fratelli Giacomo e Giovanni.
Gesù parla ai dodici e definisce colui che ha una responsabilità e un comando come un “servitore”, proponendo come esempio se stesso.
Questo lo spirito di coloro che il Signore ha chiamato a guidare la comunità umana (fa l’esempio dei dittatori del suo tempo), ma soprattutto di coloro che ha chiamato a guidare la comunità cristiana. Parlando ai dodici apostoli è ovvio che si riferisca innanzitutto a questi ultimi.
Il Papa si definisce “servo dei servi di Dio”, proprio in continuità con questo Vangelo. Così un sacerdote, un parroco è al servizio dei propri fedeli: non fa il comandante, ma il servo.
La lettera inviata da papa Francesco a ciascuno dei 21 futuri cardinali, nominati recentemente, che riceveranno la berretta nel Concistoro del prossimo 8 dicembre, si chiude con le parole: “Prego per te affinché il titolo di ‘servo’ (diacono) offuschi sempre più quello di ’eminenza’”.
“Il compito importante di evangelizzare, lo si esercita – afferma sempre il pontefice – in primo luogo dando testimonianza, facendosi appunto servitori, senza scavalcare, senza arrampicarsi, scegliendo piuttosto l’ultimo posto. Servire, infatti – prosegue – non è un’espressione di cortesia, non lo si fa per gentilezza: ‘È fare come Gesù’, il quale, riassumendo in poche parole la sua vita, ha detto di essere venuto ‘non per farsi servire, ma per servire’. Dunque, per seguire Cristo, è necessario percorrere la via che Lui stesso ha tracciato, la strada del servizio e dell’umiltà, contraria allo spirito del mondo.
Questo spesso, lo sappiamo, costa, perché ‘sa di croce’. Ma, mentre crescono la cura e la disponibilità verso gli altri, diventiamo più liberi dentro, più simili a Gesù. Più serviamo, più avvertiamo la presenza di Dio. Soprattutto quando serviamo chi non ha da restituirci, i poveri, abbracciandone le difficoltà e i bisogni con tenera compassione: lì scopriamo di essere a nostra volta amati e abbracciati da Dio.”

Testimoniare il Vangelo nel servizio, con la vita dell’amore e ai più poveri

Proviamo a considerare dove si basa il “potere” dei responsabili nella Chiesa.
Si basa sul diaconato che sta all’inizio del percorso dell’ordine sacerdotale, formato appunto da tre gradi: il diacono, il presbitero e il vescovo.
La specificità del diacono (parola che deriva da diakonia, cioè servizio) è testimoniare il Vangelo annunciato con la vita dell’amore, nel servizio, in particolare ai più poveri. I diaconi attestano che una fede professata che non si fa carità vissuta è inutile e contraddittoria. Sono i testimoni di una Chiesa serva a immagine del Cristo servo.
I due successivi passi dell’ordine sono il sacerdozio e l’episcopato. Coloro che li ricevono non cancellano il diaconato, ma poggiano gli ulteriori ministeri proprio sopra il diaconato, non perdendo, anzi approfondendo, la vocazione a essere servi.
Quindi nella parrocchia il sacerdote e nella diocesi il vescovo non sono coloro che amministrano i sacramenti, soprattutto quello dell’Eucarestia, e basta, ma sono coloro che si mettono al servizio della propria comunità.
Tutti comunque dobbiamo essere servi gli uni degli altri come è stato Gesù per tutti noi.

don Giorgio Zucchelli