25 dicembre, Santo Natale. Don Gianfranco commenta il Vangelo: “Facciamo tesoro delle parole udite dai pastori”

don Mariconti
Don Gianfranco Mariconti

Dal Vangelo secondo Luca 2, 15-20

Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senz’indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

Don Gianfranco commenta il Vangelo

Luca prima racconta l’avvenimento (2,1-7), poi il suo annuncio (2,8-14) e infine l’accoglienza (2,15-20). “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. “In piedi, pastori. Qualcuno è nato anche per voi stanotte, a interrompere i vostri bivacchi, a scacciarvi dal regno prelibato dell’attesa” (Luigi Santucci).
I pastori sono maestri perché fanno tesoro della parola udita dagli angeli e a quella buona notizia, che capovolge tutte le loro prospettive, affidano senza indugio il loro cammino: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”.
Le parole udite dai pastori hanno bisogno di un cammino, lo autorizzano e insieme lo prescrivono, perché si possa verificare la verità della nascita. Giunti a Betlemme i pastori, invece di chiedersi come possa essere il Salvatore atteso un bambino umile e povero, riconoscono il Messia in un esserino che ha bisogno lui, prima di altri, di essere salvato e passano dallo scandalo allo stupore.
La meraviglia del Natale è nell’assenza di ogni tratto meraviglioso. Che Dio ami l’uomo non è in fondo un’assoluta novità. C’è in quasi tutte le religioni. Ma che Dio ami l’uomo fino al punto di farsi uomo e, facendosi uomo, non si umanizzi nel figlio di uno dei grandi e potenti della terra che tutti ammiriamo, ma in un bambino di povera gente bisognoso di tutto, è una assoluta novità.
Il Natale deve tornare a essere uno scandalo. Per noi che siamo ancora oggi tentati di separare Dio e l’uomo, la ricchezza e la povertà, l’onnipotenza e la debolezza per cercare la salvezza nelle conquiste della tecnica, nel progresso economico, nel benessere sociale, la meraviglia del Natale richiede conversione.

La verità dell’uomo

Altezze vertiginose si aprono sulla verità di Dio e dell’uomo. Il bambino di Betlemme ci dice che Dio non è colui che domina, giudica e incute timore ma è colui che, per condividere il nostro destino e salvarci, si fa vicino, assume l’umana debolezza, diventa vulnerabile, inizia a soffrire il freddo e provare la fame. Dio è così grande che può farsi piccolo, è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come un bambino indifeso e bisognoso per essere più amato che temuto (Papa Benedetto XVI).
Il neonato di Maria non ci dice solo chi è Dio per l’uomo, ma anche qual è l’uomo vero per Dio. Per noi uno vale quando è ricco, raggiunge il successo, conquista posti di potere, appare grande agli occhi degli altri mentre per Dio l’uomo si realizza servendo invece di dominare sugli altri, donando e non accumulando, perdonando al posto di farsi valere. Se Dio assume la povertà dell’uomo per essere con noi significa che la verità dell’uomo consiste nell’essere solidale. Dio ha voluto confondersi con tutti i diseredati e oppressi perché se lo vogliamo trovare dobbiamo cercarlo tra di loro.
Da quando l’uomo ha il volto di Dio l’unico modo per amare Dio è amare l’uomo, ogni uomo, quanto più è piccolo, debole, povero come il bimbo di Betlemme. Condividere il sogno di Dio ci impegna a costruire dei rapporti nuovi tra di noi basati sulla fraternità invece della rivalità, della competizione, della sopraffazione, della violenza. Natale non ci invita solo ad amare l’uomo, ma a fare nostro questo progetto di uomo, apparentemente perdente, diventando anche noi poveri con i poveri, sofferenti con chi soffre… Il suo modo di essere Dio mette in crisi il nostro modo di essere uomini.
Se lui è povero non abbiamo bisogno di diventare ricchi, se lui è umile ci libera dall’ossessione di diventare famosi… In Gesù Dio assume i limiti dell’uomo per riconciliarci con i nostri limiti, le nostre debolezze, le nostre miserie così che non dobbiamo sforzarci di essere superuomini, forti, perfetti, potenti. Se Dio mi accoglie così come sono allora vuol dire che è bene che io ci sia, allora mi devo accettare anch’io così come sono e imparare ad amare nello stesso modo gli altri.

Vivere il Natale

Quello che i pastori vedono autorizza la loro parola; riferiscono dunque tutto ciò che del bambino era stato detto loro. Gli angeli portano l’annuncio dell’avvenimento non ai potenti e ai sapienti, ma proprio a questi uomini considerati impuri, senza fissa dimora, ladri perciò disprezzati, emarginati, eppure semplici e con il cuore in attesa.
Gli ultimi (senza titoli, dignità, potenza e denaro) per Dio invece sono i primi cristiani, i missionari, che riconoscono con fede e annunciano con entusiasmo la buona notizia perché hanno fatto esperienza della salvezza. L’unico modo con cui è possibile vivere il Natale è dunque quello di essere poveri di spirito (anawim), essere persone non piene di se stesse e autosufficienti, ma disponibili a riconoscere la novità sconvolgente di Dio che sorpassa ogni attesa e speranza. Solo chi è umile sa apprezzare un Dio fattosi per amore bambino umile e povero. Solo chi è vuoto di sé e pone la sua fiducia unicamente in Dio ha il cuore libero per lasciarsi salvare. Solo chi ha fatto esperienza può trasmetterla.

Facciamo tesoro delle parole udite dai pastori

Luca anima il racconto con una cascata di verbi: “Andarono senza indugio… trovarono… videro… riferirono… udirono… si stupirono… tornarono lodando e glorificando Dio per le sue meraviglie”.
La parola dei pastori accende stupore in tutti coloro che li ascoltano. Lo stupore è la risposta della fede. Mentre la lode esprime gratitudine per le meraviglie operate da Dio. Merita attenzione questa circostanza singolare: la Madre è istruita a proposito del Figlio dai pastori e fa tesoro delle loro parole. La memoria fedele di parole udite e non intese è la condizione perché possa comprendere eventi vissuti ma gravidi e densi di un significato ancora nascosto. Attraverso la sua custodia e la sua meditazione la notizia di quelle cose è così giunta fino a noi oggi.
“Siamo venuti qui all’aurora perché anche noi abbiamo accolto l’annuncio da brivido del Vangelo sulla grande gioia fiorita dalla nascita del Salvatore e ci siamo detti come i pastori: “Andiamo fino alla chiesa…”.
Il Natale non è un ricordo del passato, ma riaccade ancora oggi e noi sapremo riconoscere il Salvatore negli umili segni della liturgia solo se rifaremo interiormente il cammino dei pastori.
“Non abbiamo nessun segno così grande ed evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all’altare: ogni giorno vediamo immolarsi Colui che una volta sola nacque per noi dalla Vergine Maria” (S. Elredo).
Tutte le volte che ascoltiamo il Vangelo e partecipiamo all’eucaristia Dio torna a nascere nel nostro cuore. L’augurio sincero è che noi tutti facciamo tesoro delle parole udite dai pastori così da diventare a nostra volta testimoni della pace e della gioia di Dio che ci ha fatto conoscere la sua benevolenza senza pentimenti.

don Gianfranco Mariconti