Domenica 12 novembre. Don Gianfranco commenta il Vangelo: “La nostra vita è un’attesa prolungata dello Sposo, nella notte del mondo”

don Mariconti
Don Gianfranco Mariconti

Dal Vangelo secondo Matteo 25, 1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Don Gianfranco commenta il Vangelo

Al termine dell’anno liturgico, la parabola delle dieci vergini ci invita a volgere lo sguardo verso gli avvenimenti finali, le “realtà ultime”. La vita è l’attesa non del nulla, ma di un pranzo di nozze con lo sposo Gesù che tarda a venire e noi siamo invitati ad andargli incontro con la lampada della fede accesa, attraverso l’olio della carità (cfr Galati 5,6), se vogliamo partecipare alla festa celeste.
La differenza tra sagge e stolte non passa attraverso il sonno, ma la prudenza con la provvista di olio. Tale riserva non può essere condivisa, senza per questo essere egoisti, perché l’impegno è personale e nessuno può sostituirci, neppure lo zio monsignore o la nonna che dice sempre il rosario. Invece di soffermarci su quello che noi dobbiamo fare per Dio, concentriamoci innanzitutto su quello che Dio prepara, per ciascuno di noi, alla fine della vita.

Il banchetto nuziale

Tra le diverse immagini con cui si rappresenta il paradiso, quella del banchetto nuziale è una delle più suggestive. Come non ricordare l’estasi di Ostia in cui sant’Agostino e la madre Monica, per un istante, lambiscono la dolcezza della vita eterna “che occhio mai vide, che orecchio non udì, né mai entrò in cuore d’uomo” (1 Corinti 2,9) (cfr Confessioni X, 10). Gesù è il paradiso (H.U. von Balthasar).
La liturgia ripropone questa parabola, durante l’anno, quando si celebra la memoria delle grandi sante, dottori della Chiesa (come Caterina da Siena o Benedetta della Croce), perché nell’amore ardente di Cristo, lo sposo, c’è il segreto di tutta una vita fatta di opere grandiose.
Sagge sono state queste vergini dedicando l’intera loro esistenza all’attesa dell’incontro con il loro unico grande amore che le manteneva sempre pronte, fedeli e vigili a ogni evenienza, anche nel caso in cui il Signore risorto tardasse a venire. Hanno fatto propria l’espressione stupenda e inarrivabile della sposa innamorata del Cantico dei Cantici: anche se io dormo il mio cuore veglia.
Il biografo di santa Teresa racconta che, al rintocco dell’ora dell’orologio, la grande mistica sobbalzava di gioia pensando di avere un’ora in meno all’incontro con Cristo. Perciò si dava da fare, senza risparmio, per non essere trovata a mani vuote nel momento della morte con cui termina il tempo di meritare.

Lo sposo e la sposa

Prima di insistere su ciò che distingue le fanciulle, è decisivo evidenziare ciò che le accomuna: tutte stanno andando incontro allo sposo. Il cristiano è pellegrino e forestiero (cfr 1 Pietro 2,11). Oggi invece si trascorre il tempo come se ci fosse solo questa vita e non si dovesse mai morire perché si è smarrito l’interesse dell’attesa dello Sposo con il desiderio del cuore per la patria vera. Conseguentemente, invece di prepararsi all’incontro ultimo e definitivo con il Signore risorto, attraverso i piccoli incontri di ogni giorno nell’umiltà dei segni (il creato, il fratello l’eucaristia), convertendosi subito senza rimandare all’ultimo momento, si attende solo di sistemarsi, maggiore benessere e tranquillità.
La festa è qui, ora. Ma in questo modo, quando alla fine della nostra vita giungerà improvvisamente lo Sposo, saremo sorpresi impreparati perché privi della riserva di olio delle buone opere e perciò esclusi. L’amore, come una fiamma, illumina e riscalda. A furia di parlare della fedeltà alla terra, in risposta a chi aveva accusato la religione di evadere dall’impegno per migliorare il mondo, si è finito per non pensare più alle cose di lassù che, tra l’altro, è uno stimolo a essere luce nella costruzione della città terrena. E si può essere stolti, come le ragazze della parabola, anche senza compiere cose malvagie, basta non prepararsi alle cose grandi (professione, matrimonio, paternità) per dare il meglio di sè.
La luce di una fede oziosa, inattiva, oppure accomodata nei propri interessi e banalità, è spenta e quindi inutile.

Che cos’è dunque la vita?

La nostra vita è un’attesa prolungata dello Sposo, nella notte del mondo, per questo si raccomanda la vigilanza. La morte non è infatti la fine di tutto, ma l’incontro con il Signore risorto e ogni giornata, ogni ora, ogni istante si illuminano di questo pensiero.
E’ come un’innamorata che, anche se lo Sposo ritarda, attende con desiderio l’amore della sua vita preparandosi, facendosi bella, intessendo l’abito di nozze. Dalla riuscita di quell’incontro dipende infatti il proprio destino eterno.
Occorre fedeltà e vigilanza nel raddoppiare le energie, come se ogni giorno fosse l’ultimo, perché sappiamo che dobbiamo morire, ma non sappiamo quando. S. Francesco, nell’imminenza della sua fine, aveva il coraggio di dire ai presenti: “Fratelli cominciamo a fare il bene, perché finora abbiamo fatto poco. L’acclamazione al Vangelo è un monito: “Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita” (Apocalisse 2,10).
Essere fedeli significa riempire i piccoli vasi dell’olio delle opportunità quotidiane, anche quando l’attesa è prolungata e l’impegno si fa esigente. Invece di lasciarci assorbire dalla frenesia del presente, con le sue distrazioni e dissipazioni, si tratta di costruire, nell’oggi, l’eternità. Altrimenti ci troveremo drammaticamente davanti la porta chiusa perché amiamo altro più dello Sposo. Gesù è anche giudice che si limita a constatare tristemente chi si autoesclude liberamente dalla comunione con lui.

don Gianfranco Mariconti