Sabato 7 ottobre 2023 nelle scuderie di Palazzo Terni de’ Gregorj si è tenuto il trentacinquesimo appuntamento della rassegna ‘Storici dell’arte in libreria’, organizzata dalla Libreria Cremasca. Ospiti sono state Lisa Basilico e Cristina Chiesura che hanno presentato il volume: Comunque nude. La rappresentazione femminile nei monumenti pubblici italiani, a cura di Ester Lunardon, Ludovica Piazzi, (Eterotopie, 879) Mimesis, Sesto San Giovanni 2023.
Le abbiamo intervistate in esclusiva per “Il Nuovo Torrazzo”.
Dott.ssa Basilico, qual è stato il suo percorso di studi e come è arrivata a occuparsi di storia dell’arte?
LB: La storia dell’arte è una disciplina che mi ha sempre affascinata, anche per i suoi legami con la storia e la letteratura, quindi iscrivermi alla laurea triennale di Scienze dei Beni Culturali a Milano è stata una decisione quasi scontata, così come pressoché scontata è stata la prosecuzione con la magistrale in Storia e Critica dell’arte, dopo che la mia passione di bambina e adolescente è stata solo rafforzata da un insegnamento, finalmente, adeguato alla complessità della disciplina. Purtroppo non lavoro strettamente in un ambito legato al mio titolo di studio, date le grosse difficoltà nel settore, ma cerco di “reinventarmi” facendo divulgazione sui social.
Dott.ssa Chiesura, la stessa domanda anche per lei.
CC: Il mio avvicinamento alla storia dell’arte parte da lontano. Avendo passato praticamente tutta l’infanzia a disegnare è stato spontaneo per me iscrivermi a un Istituto d’Arte, dove ho conseguito la qualifica di Maestro d’Arte in Arti della Stampa. Al termine di questo percorso però ho sentito che l’Accademia non mi avrebbe dato più di quello che avevo già trovato alle scuole superiori. Così ho deciso di indirizzarmi verso “l’arte degli altri” iscrivendomi alla laurea triennale di Storia e Tutela dei Beni Culturali a Padova, dove ho trovato conferma che il percorso storico-artistico fosse quello giusto per me. Dopo questa c’è stata la magistrale a Venezia in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali e un master in Educazione Museale a Napoli. Attualmente le professioni di storica dell’arte ed educatrice museale sono complementari per me.
Dott.ssa Basilico, può spiegare in breve, cos’è ‘Mi Riconosci’?
LB: ‘Mi Riconosci’ è oggi un’associazione, nata nel 2015 come campagna dal titolo “Mi Riconosci? Sono un professionista dai beni culturali”, che mirava proprio al riconoscimento delle professioni del settore culturale, oggi ottenuto solo in parte. Nel corso degli anni ci siamo occupate di raccontare la situazione del settore culturale, anche con raccolte dati sulle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici; ma abbiamo anche avanzato proposte su come migliorare tutto questo, con una legge per la regolamentazione del volontariato nei beni culturali, presentata in sala stampa alla Camera nel 2018, e, soprattutto, la nostra proposta per un ‘Sistema Culturale Nazionale’. Tutte queste riflessioni sono confluite nel 2020 nel nostro primo libro Oltre la grande bellezza. Il lavoro nel patrimonio culturale italiano, a cura di L. Bison e M. Minniti, Deriveapprodi, Roma 2021, ma chiaramente non ci siamo fermate.
Dott.ssa Chiesura, come nasce questo libro?
CC: Il libro nasce da un censimento condotto a partire dal 2021 dal Gruppo Genere di ‘Mi Riconosci’. Da poco era emerso il famoso caso della “Spigolatrice” di Sapri, una statua realizzata a nostro avviso (e non solo nostro) non tanto per celebrare la letteratura e la storia a cui si riferisce il personaggio, ma per prestarsi allo sguardo del turista, in particolare quello maschile. Il tema della statuaria pubblica non era nuovo nelle nostre riflessioni, unendo in sé molte delle prospettive di cui si occupa ‘Mi Riconosci’: la partecipazione della cittadinanza alle decisioni che riguardano lo spazio pubblico, la marginalizzazione dei professionisti della cultura, le questioni di genere nel nostro settore, lo sfruttamento del patrimonio culturale per fini che non gli sono consoni. Da qui è nata l’esigenza di censire la statuaria pubblica femminile in Italia, con risultati che, se anche prevedibili, potevano a loro volta diventare strumento di riflessione e di lavoro per istituzioni, amministrazioni, comunità e professionisti.
Il volume è un’opera collettiva. Nell’indice leggiamo i nomi di otto autrici dei saggi, tra cui la dott.ssa Chiesura,
LB: Le autrici sono otto, tutte attiviste di ‘Mi Riconosci’ e professioniste del settore culturale, alle quali è stato chiesto di analizzare i dati del censimento sotto varie prospettive a seconda delle proprie competenze personali. Ci teniamo però sempre a precisare che dietro al volume c’è il lavoro non solo del Gruppo Genere, che si occupa direttamente della tematica, ma dell’insieme delle attiviste e degli attivisti dell’associazione e delle loro riflessioni condivise nel corso degli anni.
Nella prefazione si afferma che questo libro è rivolto in modo particolare alle amministrazioni comunali. Per quale motivo?
CC: Perché i monumenti che abbiamo censito e analizzato sono su suolo pubblico, e quindi sono voluti o per lo meno approvati dalle amministrazioni locali. Il nostro desiderio è che questi risultati aiutino a rivedere i tanti, troppi esempi negativi nell’esistente e a evitare d’incappare di nuovo negli stessi errori e nelle stesse leggerezze, che potremmo riassumere così: una rappresentazione sessualizzata e stereotipata della donna, la mancanza di professionalità nei vari passaggi che portano alla realizzazione di una statua, l’esclusione della cittadinanza nei processi decisionali (che riguardano i soggetti da rappresentare importanti per la collettività, come realizzare i manufatti e dove collocarli nel tessuto urbano).
Come si è svolta l’indagine di ‘Mi Riconosci’ e quali sono stati i parametri per la scelta dei monumenti?
LB: Il censimento del 2021 si è svolto sotto forma di un questionario somministrato attraverso le nostre pagine social, in cui invitammo chiunque lo volesse a segnalarci statue di figure femminili sparse per il territorio italiano; e le segnalazioni non si sono fermate alla chiusura del questionario. Abbiamo scelto di limitare l’indagine a figure a tutto tondo, statue o busti, che rappresentassero donne realmente vissute, personaggi letterari o leggendari, figure anonime collettive, posizionati in spazi pubblici come piazze, giardini e strade, escludendo quindi figure mitologiche, allegoriche, le Madonne e le semplici targhe. Sono stati inclusi anche i gruppi di figure anonime collettive e statue pubbliche che rappresentano specifiche tematiche femminili, per un totale di 289 statue al momento della pubblicazione del libro. Queste sono poi confluite in una mappa consultabile sul nostro sito e in continuo aggiornamento.
Da una vostra campionatura risulta che su 115 monumenti inaugurati in sei mesi nel 2022, 4 su 5 sono donazioni di privati che quindi hanno scelto cosa rappresentare nello spazio pubblico.
CC: Quando il privato occupa uno spazio pubblico la fa quasi sempre per ragioni di propaganda, pubblicità o perfino in ottica turistica, talvolta con opere di bassa qualità (che implica costi minori), dando vita a un fenomeno che abbiamo definito come monumental washing, realizzazione o finanziamento di opere con intento celebrativo o simbolico al fine di promuovere messaggi sociali di cui non si fa carico con le proprie politiche, anche attraverso strumentalizzazione o manipolazione di ciò che si sceglie di rappresentare.
In questo periodo abbiamo censito ben 34 monumenti alle forze armate, spesso poco più di blocchi di pietra, un nuovo monumento schiettamente autocelebrativo del Rotary Club a Cittanova, una scultura con la sciatrice Marta Bassino per “promuovere” le valli del Cuneese di cui è originaria, ma non solo. A Perugia è stata inaugurata la “prima” statua a Maria Montessori, ignorando le due già esistenti, di cui una nella nativa (e non troppo distante) Chiaravalle. Ad Alba il Comune ha sostanzialmente concesso un’intera piazza in pieno centro alla famiglia Ferrero perché vi realizzasse un monumento a Michele Ferrero, addirittura rimuovendo una statua risorgimentale già presente, piazzando una colossale struttura che rappresenta una bambina con lo sguardo rivolto verso il basso. Infine, c’è il caso della statua a Margherita Hack di Milano, partito nel 2019 come un progetto pubblico, collettivo, per valorizzare una periferia milanese, ma che è finito col diventare un’occasione per la Fondazione Deloitte per pubblicizzare il proprio programma di promozione e studio delle materie STEM dedicato alle donne. Piazzando una statua di fronte alla sede centrale dell’Università degli studi di Milano, dove trovano posto soprattutto facoltà umanistiche.
Perché, riguardo ai monumenti pubblici femminili, è corretto parlare di sessismo istituzionalizzato?
LB: Proprio perché si tratta di figure femminili sessualizzate volute o anche solo accettate dalle istituzioni nel caso di donazioni. Citiamo dal libro: «la statuaria pubblica ha una caratteristica speciale: in quanto pubblica, essa è direttamente legata alle istituzioni, che rappresentano la fonte del potere che la esprime e di cui essa ha inoltre l’autorevolezza. Per questo è in senso letterale che, riguardo alla statuaria pubblica, si può parlare di sessismo istituzionalizzato». Mi viene in mente un esempio: a Moriago della Battaglia negli anni ‘90 è stata accettata in donazione una statua di una emigrante rappresentata con addosso solo un cappotto (che pare un accappatoio) e con sotto evidentemente null’altro. Già questo sarebbe sufficiente per riscontrare dei problemi nella raffigurazione, ma la cosa peggiore è che si è deciso di collocarla fuori da una scuola pubblica, dove chiaramente questo deve essere per l’amministrazione l’immagine “dolorosa” della migrazione femminile per i ragazzi che ne devono fare memoria. Questo per me è istituzionalizzare il sessismo tramite le statue.
Il caso forse più sconcertante è il monumento a Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli ad Acquapendente (VT).
CC: Per contestualizzare: si tratta di due giornaliste, assassinate sul lavoro rispettivamente nel 1994 e nel 2001, cui nel 2003 si è dedicata una fontana in cui sarebbero state effigiate come due ninfe dell’acqua. Nude. E, ovviamente, rispettando il più possibile i canoni estetici contemporanei, al punto che la discutibile resa anatomica (una delle due non ha neppure i piedi!) passa in secondo piano di fronte alla sessualizzazione gratuita di due donne morte mentre svolgevano il proprio lavoro in territori di guerra. Il tutto con l’avallo dell’amministrazione comunale, che non ha trovato niente di male nel “celebrare” in questa maniera le due professioniste. Non esiste un corrispettivo maschile di questo fenomeno: nessuno si sognerebbe di rappresentare un giornalista (o un qualsiasi professionista) uomo nudo in mezzo ad una vasca!
Potete fare qualche altro esempio di monumenti rappresentanti donne?
LB: Uno degli esempi secondo noi peggiori è la Violata di Ancona, monumento che dovrebbe ricordare le vittime di violenza ma che invece questa violenza la perpetua. La figura femminile è presentata con le vesti lacerate in corrispondenza di seno, ventre e sedere, tant’è che tra le azioni di protesta per la sua presenza c’è stato anche il gesto di rivestirla, di coprirla.
Oppure la Lavandaia di Bologna, rappresentata nuda e accovacciata in un catino, esposta allo sguardo dei passanti. L’artista, una donna (!), ha giustificato la scelta dicendo di voler proprio far immedesimare le persone mettendole nei panni di chi molestava queste lavoratrici chine sui lavatoi. A noi pare che anche questo, invece, sia perpetuare violenza…
E in realtà sarebbero molte le lavandaie (e le spigolatrici) di cui parlare, perché tra le iconografie più frequenti nella statuaria femminile ci sono proprio questi lavori faticosi, umili, riservati alle donne più povere, un pretesto per mettere in scena donne seminude ammantato da una sorta di “nostalgia” o di ricordo d’infanzia, come ha esplicitato l’autore della Lavandaia di Massa, detta “La Puppona” per evidenti ragioni compositive e regolarmente vandalizzata.
O ancora la statua a Francesco Crispi a Ribera, dove insieme al protagonista del monumento viene rappresentata Rose Montmasson, moglie ripudiata e unica donna partecipante alla Spedizione dei Mille. Se lui è opportunamente vestito e comodamente seduto, lei è coperta solo da una sorta di sottoveste, in piedi e più in basso di lui. Una donna che meriterebbe un monumento da sola, era proprio necessario accostarla come un’ancella svestita ai piedi del marito che l’ha abbandonata?
Forse vale la pena di citare anche la statua a Cecilia Faragò, l’ultima donna processata per fattucchieria nel Regno di Napoli, rappresentata in ginocchio, con le catene ai polsi e la veste strategicamente aderente sul seno, la cui tragica vicenda è diventata uno dei “Marcatori Identitari Distintivi” della Regione Calabria; insomma, un marchio turistico.
Dott.ssa Chiesura, lei si è occupata della rappresentazione di soggetti sacri, cosa è emerso dalla sua ricerca?
CC: Uno scenario piuttosto triste. Abbiamo molte statue di sante sparse per il suolo pubblico italiano, ma sono una più anonima dell’altra. Si tratta di figure portatrici di messaggi importanti e con qualità eccezionali per le varie epoche nelle quali sono vissute. Eppure spesso è possibile identificarle solo guardando le targhette sotto di loro e non c’è traccia dei loro caratteri. Sono state intellettuali, in qualche caso vere e proprie femministe ante litteram, ma oltre al ruolo di cura (che comunque condividono con il resto del genere femminile rappresentato nella statuaria) non emerge altro di loro. Finiscono spesso per essere feticci, come per esempio Santa Barbara, posizionata accanto a obici e piccoli carri armati perché patrona di militari e vigili del fuoco, presente solo in quanto “simbolo di qualcun altro”. A Montebelluna, addirittura, abbiamo anche un caso di Santa Barbara a seno scoperto.
La prevalente mancanza di qualità nei nuovi monumenti pubblici in che modo si lega al mancato riconoscimento delle professioni dei beni culturali?
LB: I professionisti della cultura non vengono interpellati in questi processi. In qualsiasi altro ambito dell’amministrazione pubblica è necessario indire concorsi e impiegare figure qualificate, ma questo non accade per il mondo culturale e men che meno per la statuaria. Accompagnare la cittadinanza a capire i propri bisogni, coinvolgere le associazioni, dare un parere sui materiali con un occhio alla sostenibilità, indagare il contesto e la storia nelle quali il monumento si inserirebbe… questo e molto altro è parte dei processi fondamentali alla base della collocazione di un nuovo monumento su suolo pubblico. Perché l’arte, la cultura e i loro professionisti vengono sempre così sminuiti? Quando ci renderemo conto che in questa maniera a perderci è la comunità tutta? Anche per questo abbiamo scritto il libro e speriamo che sia un buon momento di riflessione per molti.