Home Crema Oggi è il “Giorno del ricordo”, memoria delle vittime delle Foibe

Oggi è il “Giorno del ricordo”, memoria delle vittime delle Foibe

foibe
Il 10 febbraio di ogni anni si celebra il “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle Foibe, dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. La giornata istituzionale è stata indetta dal 2004, appunto per ricordare le vittime dei massacri delle Foibe e l’esodo giuliano-dalmata.
Accanto al Giorno della Memoria dedicato alle vittime dell’Olocausto, il Giorno del Ricordo si lega alle violenze e uccisioni avvenute tra il 1943 e il 1947.
Anche la città Crema con una sobria cerimonia, alle ore 11, in piazza Istria e Dalmazia farà memoria delle vittime: sarà deposta una corona d’alloro e si terranno i discorsi delle autorità, sindaco Stefania Bonaldi in testa. Non mancherà una rappresentanza delle scuole della città.

Cosa sono le Foibe

Sono insenature naturali formate da grandi caverne verticali presenti in Istria e Friuli Venezia Giulia. Veri e propri inghiottitoi naturali, molto diffusi nelle zone carsiche: la cavità si restringe scendendo in profondità per poi chiudersi e riallargarsi in un bacino, una forma che rende difficile la risalita e i soccorsi. Gli eccidi delle Foibe commessi dai partigiani jugoslavi vedevano le vittime spesso gettate vive in queste cavità.

La testimonianza di un sopravvissuto

“Fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 kg.
Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c’impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me.
La cavità aveva una larghezza di circa 10 metri e una profondità di 15 sino la superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole “un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo”, pronunciate da uno degli assassini.
Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo”.
Tratto dal volume di Roberto Spazzali e Raoul Pupo, “Foibe”.