Papa a Lesbo: “Fermiamo questo naufragio di civiltà”

(Foro Vatican Media/SIR

“Se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro”. Dall’isola di Lesbo, dove è voluto tornare dopo cinque anni, il Papa visitando i rifugiati ospitati nel “Reception and Indentification Center” di Mytilene ha chiesto all’Europa e al mondo di non voltarsi dall’altra parte e di riconoscere il dramma dei migranti, che è “un problema del mondo”. Occhi negli occhi, perché il programma cristiano è “un cuore che vede”, come ha scritto Benedetto XVI. Occhi che “interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: ‘Quale mondo volete darci?”. “Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge”, il riferimento che evoca l’immagine del piccolo Aylan, il bambino siriano morto sulle spiagge turche.

Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi”, ha denunciato ancora una volta Francesco: “Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo ‘mare dei ricordi’ si trasformi nel ‘mare della dimenticanza’”.

All’inizio del suo discorso, il Papa si è rivolto direttamente ai circa 200 rifugiati presenti, salutati uno per uno al suo arrivo, lungo le transenne: “Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime”. Prima di congedarsi, ha visitato alcune abitazioni del Campo di Kara Tepe, camminando a piedi tra i container bianchi che ospitano più di duemila persone. La visita del Papa in questo angolo di Grecia in cui continuano gli sbarchi dei migranti, nell’indifferenza del resto d’Europa, è dunque iniziata con i volti dei migranti ed è finita nello stesso modo, con Bergoglio che ha fatto in prima persona quello che ha chiesto a gran voce alla comunità internazionale.

“Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!”, l’appello sotto forma di preghiera: “Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo. E invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani”.

Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose”, il monito del Papa: “La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace”. “Non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro”, l’indicazione di rotta, in primo luogo per l’Europa: “Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!”.

“I vostri volti, i vostri occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le vostre storie e di non dimenticare i vostri drammi”. Nell’esortare a fare nostro il dramma dei migranti, il Papa cita Elie Wiesel, “testimone della più grande tragedia del secolo passato” e chiede di superare “la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini!”.

In cinque anni, il bilancio di Francesco, “sulla questione migratoria poco è cambiato”: “Questo Paese, come altri, è ancora alle strette e in Europa c’è chi persiste nel trattare il problema come un affare che non lo riguarda”, il grido d’allarme del Papa: “E quante condizioni indegne dell’uomo! Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte! Eppure il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto!”.

“È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri”, la denuncia. “In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza.

È invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo”.

 

“È facile trascinare l’opinione pubblica istillando la paura dell’altro”, la provocazione di Francesco: “Perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio?”. “Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica!”, l’appello: “non si possono solo tamponare le emergenze”, bisogna “superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione”.

Nella Messa alla Megaron Concert Hall di Atene, davanti alla piccola comunità cattolica che rappresenta circa l’1% della popolazione, il Papa si è soffermato sul “paradosso del deserto” e ha esortato ad “andare oltre il modo abituale di pensare, al di là dei nostri soliti schemi mentali”: “Perché è di speranza che i deserti del mondo sono assetati oggi”.