La seconda giornata del viaggio del Papa a Cipro è cominciata, oggi, con la visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrisostomos II, arcivescovo ortodosso di Cipro, che lo ha accolto nel suo palazzo arcivescovile. Dopo la presentazione delle rispettive delegazioni e l’incontro in privato e, dopo aver firmato il Libro d’Onore, papa Francesco si è recato nella cattedrale ortodossa per incontrare il Santo Sinodo.
“Discendiamo dal medesimo ardore apostolico – ha detto il Pontefice nel suo discorso riferendosi all’apostolo Barnaba nativivo appunto di Cipro – e un’unica via ci collega, quella del Vangelo. Mi piace così vederci in cammino sulla stessa strada, in cerca di una sempre maggiore fraternità e della piena unità”.
“Certo – ha ammesso – nel campo delle nostre relazioni la storia ha aperto ampi solchi tra di noi, ma lo Spirito Santo desidera che con umiltà e rispetto ci riavviciniamo. Egli ci invita a non rassegnarci di fronte alle divisioni del passato e a coltivare insieme il campo del Regno, con pazienza, assiduità e concretezza. Perché se lasciamo da parte teorie astratte e lavoriamo insieme fianco a fianco, ad esempio nella carità, nell’educazione, nella promozione della dignità umana, riscopriremo il fratello e la comunione maturerà da sé, a lode di Dio”.
Nello scambio di doni, il Papa ha detto a Sua Beatitudine Chrysostomos II: “Io le dono il Codex Pauli, perché lo abbia in segno di comunione. Figli della stessa Chiesa madre”.
Al termine dell’incontro con il Santo Sinodo, Francesco si è trasferito allo GSP Stadium, per la Messa con i cattolici ciprioti. Ha fatto il suo ingresso con un pastorale in legno; l’altare ornato di fiori gialli era posto al centro e rivolto alla tribuna gremita da circa 10 mila persone. Da lì i fedeli potevano vedere un grande Crocifisso e ai due lati i simboli del viaggio apostolico: l’apostolo Barnaba e l’isola di Cipro. Il Pontefice ha commentato il Vangelo dove i due protagonisti “sono ciechi, eppure vedono ciò che più conta: riconoscono Gesù come Messia venuto nel mondo”, si fidano di lui “e lo seguono in cerca di luce per i loro occhi. Anche noi oggi “portiamo nel cuore delle cecit à” e “come i due ciechi, siamo viandanti spesso immersi nelle oscurità della vita”, e allora “la prima cosa da fare è andare da Gesù, accogliere il suo invito ad accostarsi a Lui, stanchi e oppressi, per avere ristoro.”
Alla fine Francesco ha evidenziato l’entusiasmo dei due ciechi “per essere stati risanati” e “la gioia per quanto hanno vissuto nell’incontro” con Gesù.
Al termine della Messa il Papa ha indirizzato un saluto di congedo alla Chiesa di Cipro, ringraziando di cuore per l’accoglienza e l’affetto dimostratogli. Poi il pensiero è andato ai migranti che avrebbe incontrato nel pomeriggio insieme ai fedeli di varie confessioni cristiane. E prima di lasciare l’altare, l’omaggio alla Vergine accompagnato da un canto mariano. Al suo rientro in Nunziatura, Francesco ha incontrato brevemente il rabbino capo di Cipro Arie Zeev Raskin.
Nel pomeriggio alle ore 16 (ora locale), il Santo Padre ha presieduto la Preghiera Ecumenica con i migranti presso la Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Nicosia. Fortissime sue parole di denuncia nel suo discorso: “Fili spinati per non lasciare entrare il rifugiato. Quello che viene a chiedere libertà, pane, aiuto, fratellanza, gioia e che sta fuggendo dall’odio si trova davanti un odio chiamato filo spinato. Che il Signore risvegli la coscienza di tutti noi davanti a queste cose. Non possiamo tacere e guardare dall’altra parte in questa cultura dell’indifferenza”. Quattro giovani migranti hanno raccontato la loro storia e subito dopo, il Papa ha preso la parola. “Ascoltando voi, guardano voi in faccia, la memoria va oltre, va alle sofferenze. Voi siete arrivati qui, ma quanti dei vostri fratelli e delle vostre sorelle sono rimasti in strada. Quanti disperati iniziano il cammino in condizioni molto difficili e precarie e non sono potuto arrivare. Possiamo parlare di questo Mare che è diventato un grande cimitero. Guardando voi, guardo le sofferenze del cammino, tanti che sono stati rapiti, venduti, sfruttati, ancora in cammino e non sappiamo dove. E la storia di una schiavitù universale. Noi guardiamo cosa succede e il peggio è che ci stiamo abituando”. Il Papa ha poi fatto riferimento ai barconi affondati al lago delle nostre coste: “Questo abituarsi è una malattia grave, una malattia molto grave e non c’è antibiotico contro questa malattia. Dobbiamo andare contro questo vizio dell’abituarsi a leggere queste tragedie nei giornali o sentirle nei media. Guardando voi, penso a tanti che sono dovuti tornare indietro perché li hanno respinti e sono finiti nei lager, veri lager, dove le donne sono vendute, gli uomini torturati e schiavizzati”. Non sono storie del secolo scorso: “Sta succedendo oggi”, ha incalzato il Papa. “Ho guardato testimonianze filmate di questo. Posti di tortura, di vendita di gente. Lo dico perché è responsabilità mia aiutare ad aprire gli occhi: la migrazione forzata non è una abitudine quasi turistica. Il peccato che abbiamo dentro ci spinge a pensarla così. Povera gente, povera gente… ma poi cancelliamo tutto. È la guerra di questo momento, è la sofferenza di fratelli e sorelle, che noi non possiamo tacere. Coloro che hanno dato tutto quello che avevano, per salire su un barcone di notte, senza sapere se arriveranno. E poi tanti respinti per finire nei lager, veri posti di confinamento, di tortura e di schiavitù. Questa è la storia di questa civiltà sviluppata che chiamiamo Occidente”.
“Dio ci parla attraverso i vostri sogni, ha aggiunto Francesco. Il pericolo è che tante volte, non lasciamo entrare i sogni in noi e preferiamo dormire e non sognare. È tanto facile guardare dall’altra parte. In questo mondo ci siamo abituati a quella cultura dell’indifferenza, quella cultura di guardare dall’altra parte e addormentarci tranquilli. Ma per quella strada mai si può sognare. È duro. Dio parla attraverso i vostri sogni, non parla attraverso le persone che non possono sognare niente perché hanno tutto o perché il loro cuore si è indurito”.
“Dio ci parla attraverso i vostri sogni. Chiama anche noi a non rassegnarci a un mondo diviso, a comunità cristiane divise, ma a camminare nella storia attratti dal sogno di Dio e cioè di un’umanità senza muri di separazione, liberata dall’inimicizia, senza più stranieri ma solo concittadini. Diversi, certo, e fieri delle nostre peculiarità, che sono dono di Dio, ma concittadini riconciliati”. Nel suo discorso il Papa ha ripercorso le storie raccontate dai quattro migranti. A Mariamie, che viene dalla Repubblica democratica del Congo e si è definita “piena di sogni”, ha detto: “Come te, Dio sogna un mondo di pace, in cui i suoi figli vivono come fratelli e sorelle”. A Thamara, che viene dallo Sri Lanka, ha ricordato di nuovo che i migranti non sono “numeri” né “individui da catalogare” ma “fratelli”, “amici”, “credenti”, “prossimi” gli uni degli altri”. “Ma quando gli interessi di gruppo o gli interessi politici, anche delle Nazioni” – ha aggiunto lasciando il testo e andando a braccio – prendono il sopravvento, si rimane “senza volerlo, schiavi, perché l’interessa sempre schiavizza sempre, crea schiavi. L’amore che è contrario dell’odio, ci fa liberi”. Maccolins, del Camerun, ha raccontato di essere stato nella vita “ferito dall’odio”. A lui, il Papa ha confidato: “Ci ricordi che l’odio ha inquinato anche le nostre relazioni tra cristiani. E questo, come hai detto tu, lascia il segno, un segno profondo, che dura a lungo. È un veleno da cui è difficile disintossicarsi. È una mentalità distorta, che invece di farci riconoscere fratelli, ci fa vedere come avversari, come rivali”. E infine Rozh, iracheno che si è presentato al Papa come “una persona in viaggio”: “Ci ricordi che anche noi siamo comunità in viaggio, siamo in cammino dal conflitto alla comunione”, gli ha detto Francesco. “Su questa strada, che è lunga ed è fatta di salite e discese, non devono farci paura le differenze tra noi, ma piuttosto le nostre chiusure e i nostri pregiudizi, che ci impediscono di incontrarci veramente e di camminare insieme”. Francesco ha concluso il suo discorso chiedendo a tutti i presenti di vincere “chiusure e pregiudizi” e abbattere “tra noi quel muro di separazione” che è “l’inimicizia”.
Concluso l’ultimo appuntamento prima di ripartire per Atene, seconda tappa del viaggio apostolico, il Papa lascia Cipro con un augurio: “Possa quest’isola, segnata da una dolorosa divisione, diventare con la grazia di Dio laboratorio di fraternità”.