Proponiamo la significativa testimonianza di una coordinatrice infermieristica impegnata in un reparto Covid dell’Ospedale Maggiore di Crema.
Domenica 29 novembre è iniziato l’Avvento, il tempo forte che ci prepara al Natale, ma quest’anno sarà un Natale diverso, più povero, poiché in molte famiglie ci saranno posti vuoti a tavola e tanto dolore da condividere.
Sono stata ottimista – come molti di noi sanitari – e speravo che la seconda ondata non sarebbe arrivata o sarebbe passata inosservata nel nostro Paese, ma mi sbagliavo.
Pensavo di aver visto tutto e troppo in primavera e invece questo virus ci sta mettendo a dura prova anche oggi. È tornato aggressivo e veloce nei contagi, colpendo su più fronti: bambini, adulti e anziani e facendoci nuovamente stravolgere l’organizzazione ospedaliera che, in pochi giorni, ha riaperto i reparti Covid e modificato il nostro lavoro e la nostra quotidianità. Una routine già vista, dinamica, rumorosa, stancante, con pazienti che peggiorano in brevissimo tempo, che vengono spostati da un reparto all’altro in base alla gravità delle condizioni, ma una routine ancora più dolorosa perché la maggior parte dei pazienti potrebbero essere mariti, mogli, fratelli e sorelle di molti di noi. I pazienti sono più forti, più autonomi, più consapevoli, più tecnologici, ma comunque si aggrappano alle nostre parole, ai nostri sguardi e ai nostri gesti. I pazienti vogliono sapere, vogliono capire; chiedono, anche se spesso parlare è uno sforzo atroce, vogliono dare notizie a casa, speranza e quando suona il loro telefono ti chiedono di rispondere perché per loro è difficile trattenere le emozioni e contemporaneamente respirare… e tu, che non vorresti rispondere perché l’emozione la fa da padrona, lo fai e cerchi di rassicurare e raccontare anche il minimo miglioramento del familiare.
Ci sarebbero libri da scrivere per ognuno di loro, per le battaglie che hanno combattuto nelle nostre Unità operative, per descrivere le loro sofferenze e le loro emozioni e per far capire, a chi non vuole capire, gli sforzi che pazienti e operatori compiono nei nostri ospedali.
Enrico, un nostro paziente, una mattina mentre cercava di bere un succo inserendo la cannuccia sotto la mascherina dell’ossigeno mi ha detto: “Mi sembra di essere San Tommaso, fin quando non ho toccato con mano e visto ciò che succede in questi reparti non credevo, voi dovete raccontare quello che vedete e anche noi dobbiamo farlo”.
Ci sono poi giornate in cui ti senti lo spettatore di un film drammatico o il lettore di un romanzo perché assisti a certi avvenimenti e ascolti storie che hanno del surreale…
Vi racconto di Francesco, un nostro paziente, che viene ricoverato per polmonite da Covid e, dopo qualche giorno, nella fase più acuta della malattia, perde in ospedale la zia e dopo due giorni la mamma. È Francesco che resta solo nel suo dolore, che lo deve condividere con noi estranei o con il compagno di stanza; è Francesco che grazie alla tecnologia e a un parroco direi “2.0” riesce ad assistere al funerale della mamma dal letto dell’ospedale. Un funerale a cui nessun figlio ha potuto partecipare perché positivi e a cui il papà partecipa dal balcone di casa che è vicina alla chiesa. Grazie a un messaggio di condoglianze scopre che il suo migliore amico e collega è ricoverato nel suo stesso reparto: son bastati pochi minuti dalla notizia e con una serie di spostamenti Francesco e Maurizio si ritrovano vicini di letto. La gioia dopo giorni di grande dolore è una emozione troppo forte per tutti, da non riuscire a rimanere in camera, ma una grande soddisfazione.
Ci sono poi Maria e Franco, che avrebbero festeggiato i 50 anni di matrimonio il mese prossimo, ma purtroppo Franco se ne è andato in fretta lasciando Maria incredula e sola nel suo dolore.
C’è Carla, che nella prima ondata aveva perso la mamma per Covid e ora è lei a toccare e provare la gravità della malattia. Una mattina Carla si fa staccare la maschera cpap perché deve parlarci: il papà è in Pronto Soccorso, è positivo anche lui e lei ci implora di ricoverarlo da noi, vicino a lei; noi non siamo d’accordo, potrebbe essere un dolore grande da sopportare, ma lei insiste e ci convince. Papà e figlia sono nella stessa camera, avviciniamo i letti e si stringono la mano, ma purtroppo il papà si aggrava e viene trasferito.
C’è la signora Mirella che dopo la fase acuta sta meglio e deve essere trasferita per la riabilitazione, ma la mamma è ricoverata in un altro reparto e vorrebbe salutarla prima di partire; le infermiere si accordano e dopo il turno di notte organizzano carrozzina e bombola per l’ossigeno e accompagnano Mirella a salutare la mamma.
Potrei continuare a scrivere, riga dopo riga, raccontando altre storie di vita quotidiana al tempo del Covid, ma anche noi operatori abbiamo bisogno di metabolizzare queste emozioni e quando sono molteplici e così ravvicinate non è semplice.
E.S.