XIV domenica del tempo ordinario – Romano Dasti commenta il Vangelo di oggi

diocesi di Crema
Foto di repertorio

DAL VANGELO SECONDO MATTEO 11,25-30

Io sono mite e umile di cuore

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

IL COMMENTO

Il cap. 11 di Matteo costituisce uno snodo tra la prima e seconda parte del vangelo. Introdotto dalla domanda dei discepoli di Giovanni circa l’identità di Gesù («Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»), prosegue con la testimonianza di Gesù su Giovanni, con l’amara constatazione che entrambi non sono stati riconosciuti dal popolo. Questo non riconoscimento è particolarmente grave per quelle città dove Gesù ha compiuto i suoi principali segni di potenza, i miracoli. Ciò porta lo stesso Gesù ad inveire nei loro confronti. Il capitolo si conclude con il brano di questa domenica, considerato una “perla” del vangelo di Matteo, composto di tre parti: l’autorivelazione di Gesù come figlio in profonda relazione con il Padre, il ringraziamento per la fede dei piccoli e la rassicurazione che la sequela di lui non è gravosa. Si tratta di un brano denso di spunti, veramente ricco di tante “parole” che stanno al centro del messaggio evangelico, ciascuna delle quali meriterebbe di essere assaporata: la preghiera di lode, i piccoli/bambini, la relazione Padre-figlio, la rivelazione, l’essere stanchi e affaticati ed il ristoro, la mitezza e l’umiltà di Gesù, la dolcezza e la leggerezza della sequela del Maestro.

Rispetto al capitolo precedente, parzialmente letto le domeniche scorse, si nota da un lato una sintonia circa il tema del credere/non credere, riconoscere/non riconoscere Gesù, dall’altro quasi un ribaltamento circa la condizione della sequela: là radicalità, gravosità, drammaticità, asprezza, qui leggerezza, dolcezza, serenità, «riposo/ristoro». Le differenze di tono potrebbero essere ricondotte al fatto che là i destinatari delle parole di Gesù erano i discepoli mandati in missione, qui sono semplicemente i discepoli in quanto credenti.
C’è una parola forte in questo capitolo, qualche versetto prima del brano di oggi: «Beato chi non si scandalizza di me» (v. 6). Essa ci testimonia come lo stesso Gesù (ma anche le prime comunità di credenti in lui) percepisse una radicata non comprensione di lui e del suo messaggio, non comprensione che spesso diveniva aperta contestazione e ostilità. Questo ci mette in guardia da una fede “a buon mercato”: non è mai stato semplice e naturale credere in Gesù. Non lo è stato nemmeno per quel drappello di persone che per tre anni lo hanno seguito ed accompagnato sulle strade polverose della Palestina. Anche da parte loro ci fu tanta incomprensione. Per questo l’invito di Gesù nella parte finale del brano di oggi non va letto come se l’adesione al vangelo fosse cosa facile, semplice, immediata, poco impegnativa, quasi naturale. Il nostro dirci, spesso un po’ troppo comodamente, cristiani rischia di nascondere un misconoscimento, una sottovalutazione, un annacquamento, una semplificazione.

I brani di queste domeniche mostrano le due facce della vita cristiana: impegno serio ma anche dolce, radicalità ma anche leggerezza, disponibilità a stare nel conflitto ma anche serenità e pace. È in fondo la logica delle beatitudini, il discorso “programmatico” di Gesù che Matteo pone giustamente all’inizio del suo racconto: «Beati coloro che sono nel pianto… quando vi insultano…».
Fatica e oppressione (v. 28) vengono interpretati in riferimento al legalismo ebraico, a quella precettistica che Gesù denuncia come inutile fardello caricato sulle spalle dei credenti (Mt. 23,4). Che Gesù dica di volerci liberare di questi fardelli, in alcuni casi impostici da altri, in altri che noi stessi ci imponiamo, è la “buona notizia” che vogliamo accogliere questa domenica: seguire Gesù è un percorso non facile, non a “buon mercato” ma nemmeno fatto di lacci e precetti. È un percorso liberante, che da ristoro e riposo alla nostra vita, che la predispone ad una dimensione di serenità e pace, accoglibile nella misura in cui ci facciamo bambini, e gustabile in modo particolare la domenica, giorno del Signore e insieme giorno del riposo (shabbat).

Romano Dasti