Celebrata nella serata di ieri, in Cattedrale a Crema, la festa di San Pantaleone, patrono della città e della diocesi. Celebrata, come ha rilevato il vescovo Daniele – “in un momento come questo, dopo cento giorni difficilissimi e mentre cerchiamo di aprirci a una situazione auspicabilmente un po’ più leggera e sopportabile”. Le limitazioni causa Coronavirus sono purtroppo ancora evidenti: celebranti con la mascherina e posti in Cattedrale distanziati, nel rispetto delle normative.
Presenti alla Messa, invitati da monsignor Gianotti, i sindaci dell’Area Omogenea – quindi non solo quelli del territorio diocesano – i rappresentanti delle Forze dell’Ordine, di gruppi e associazioni e i dirigenti dell’Azienda Ospedaliera di Crema. Per tutti loro, insieme alla preghiera, il ringraziamento per la vicinanza e la cura nei confronti della popolazione e per la “bontà dell’azione comune portata avanti nell’affrontare una prova enorme” quale è stata la lotta alla pandemia.
Nell’omelia il Vescovo ha riflettuto partendo da tre parole: colpa, speranza e fecondità.
La “colpa” – citata anche nella prima lettura di fronte alla peste che aveva colpito il popolo d’Israele – o, meglio, “cercare di chi è la colpa”, è stata anche la tentazione di molti in questi terribili. Ma l’importante è camminare avanti e, seppur nelle tenebre, tentare di fare del bene. “Ed è proprio ciò – ha rilevato monsignor Gianotti – che abbiamo visto in tanti modi, nei mesi scorsi: tanti uomini e donne che non hanno perso tempo a discutere della colpa, e hanno tentato, invece, di fare del bene. Dio renda merito”.
La “speranza”, parola sentita nel passo della Prima lettera di Pietro. “Esistono tanti modi – ha detto il vescovo Daniele – di manifestare la speranza. ‘Andrà tutto bene’: l’avevamo espressa anche così, la speranza, specialmente per sostenere e incoraggiare i nostri bambini. Guardando all’indietro – ma anche nella consapevolezza delle difficoltà ancora presenti – si potrebbe dire, da un lato, che era una frase un po’ troppo leggera. Tante cose non sono andate e non stanno andando bene. Non c’è bisogno di rifarvi l’elenco di ciò che ben ricordate, dei mali che abbiamo vissuto, delle fatiche nelle quali ancora ci stiamo dibattendo e di altre che probabilmente ci accompagneranno per un po’. Non tutto, certamente, è andato bene, e non tutto andrà bene neppure nel futuro”.
E ha aggiunto: “La speranza, di cui il cristiano vorrebbe essere testimone nel mondo è quella che si fonda sulla Pasqua di Gesù: quella Pasqua che nei mesi scorsi abbiamo celebrato in un modo così fuori dall’ordinario. La speranza del cristiano ha il coraggio di germogliare lì dove tutto sembra perduto: non soltanto dove ci sono fatiche e tribolazioni, limitazioni e confinamenti, sofferenze e lutti come quelli che abbiamo vissuto. La speranza, alla quale il cristiano vuole rendere testimonianza a favore di tutti, è la speranza che guarda alla novità di Dio per il mondo; è la speranza che non si augura semplicemente al ‘ritorno alla normalità’, ma crede alla nuova creazione, e si affida al Dio che ‘fa nuove tutte le cose’ (cf. Ap 21,5). Per questo è una speranza esigente, che domanda, anche da parte nostra, creatività e immaginazione. Non ci assicura, certo, che il nostro futuro saranno già i “cieli nuovi e nuova terra”: però ci dice che è possibile incominciare a seminare questo futuro, che riceveremo come dono da Dio”.
Dalla semina, ecco quindi il passaggio all’ultima parola: “fecondità”. Tutte le situazioni di prova, come quella che abbiamo vissuto, “ci mettono davanti a questa scelta: sterilità o fecondità, difesa a oltranza di un nostro possesso, oppure offerta lieta e generosa di ciò che siamo e di ciò che sappiamo fare, poco o tanto che sia. Abbiamo visto – ha concluso il Vescovo – non pochi esempi di questa seconda strada. San Pantaleone, che non ha avuto paura di donare la vita (prima come medico, poi come testimone di Cristo fino al martirio), sia per noi di incoraggiamento e di esempio, perché anche la nostra vita possa partecipare della fecondità che ci è promessa nella Pasqua di Gesù”.
Dopo la preghiera dei fedeli, il tradizionale rito del doni della cera votiva: stavolta il gesto, nel rispetto delle direttive, è stato affidato solo al sindaco di Crema Stefania Bonaldi e al presidente dell’Area Omogenea Aldo Casorati.
Al termine della celebrazione, prima della benedizione solenne, il vescovo Daniele ha donato ai sindaci, ai rappresentanti dell’Asst Ospedale Maggiore e della Fondazione Benefattori Cremaschi un libretto con alcuni significativi testi e spunti di riflessione.