I numeri circolano già da giorni, ma vederli messi nero su bianco nel Documento di economia e finanza – approvato oggi dal Consiglio dei ministri – fa comunque impressione. Il Pil, che misura la ricchezza prodotta dal Paese, è previsto in calo di 8 punti percentuali, che potrebbero oltrepassare i 10 in caso di recrudescenza della pandemia. Il deficit è stimato al 10,4% del Pil, un livello che non si vedeva dal 1992, il debito al 155,7%. Di positivo almeno c’è che verranno cancellate le “clausole di salvaguardia”, quelle che dal 2011 zavorrano ogni manovra economica annuale sotto la spada di Damocle di un aumento dell’Iva.
Non c’è bisogno di essere degli specialisti per intuire che si tratta di cifre enormi, non arbitrariamente paragonabili a quelle di un’economia di guerra. È una ben magra consolazione sapere che senza il coronavirus il Paese avrebbe registrato una crescita, sia pur modesta (0,6%). Ora è cambiato tutto e il confronto con le battaglie su pochi decimali di debito pubblico in più o in meno sembrano appartenere a un altro secolo. Senza ricorrere a un massiccio deficit aggiuntivo, del resto, è impossibile far fronte alle conseguenze della pandemia e questo lo riconoscono praticamente tutti, a ogni latitudine. Il Governo italiano ha adottato e adotterà misure economiche di grande impatto e si appresta a chiedere al Parlamento l’autorizzazione a un ulteriore e assai più corposo scostamento di bilancio rispetto ai 25 miliardi già attivati con il decreto Cura Italia: ne servono altri 55 per coprire il provvedimento monstre atteso entro la fine del mese e per questo ribattezzato “decreto aprile”.
È del tutto evidente a chiunque guardi alla realtà senza le lenti deformanti dell’ideologia che questa mole di debito è sostenibile soltanto in virtù dell’aiuto della Ue. Tra il già deciso e quello che sarà messo a punto a breve, a livello europeo si è finalmente messo in moto un processo all’altezza della sfida, anche se ci sono aspetti importanti e tempi ancora da definire. Ma già da settimane è solo grazie ai massicci interventi della Bce – ormai attiva con margini di movimento inediti – che l’Italia riesce a finanziarsi sui mercati internazionali senza franare sotto i colpi di una speculazione finanziaria potenzialmente devastante.
Bisognerà comunque passare attraverso un voto del Parlamento a maggioranza assoluta per derogare al vincolo costituzionale del pareggio di bilancio. E anche qui si fa sentire il peso di una situazione politica interna scossa da continue tensioni, complicata a livello parlamentare dalle inevitabili misure anti-contagio.
Non essendo stata accolta l’ipotesi del voto a distanza (praticato per la prima volta nei giorni scorsi anche al Parlamento europeo), i diversi gruppi si devono accordare su un contingentamento delle presenze che assicuri allo stesso tempo il rispetto delle regole sul distanziamento e quelle della proporzione della rappresentanza delle singole forze. L’equilibrio ha retto per alcune settimane, ma l’episodio dell’ordine del giorno di Fratelli d’Italia, presentato alla Camera contro il Mes, il fondo europeo salva Stati, ha fatto scattare un campanello d’allarme: FdI non ha di fatto aderito all’autoriduzione delle presenze e in risposta anche le forze di maggioranza hanno portato in Aula un gran numero di deputati. L’ordine del giorno è stato respinto ma il segnale è chiaro. Vedremo che cosa accadrà la settimana prossima quanto si tratterà di votare l’autorizzazione allo scostamento di bilancio, che richiede la maggioranza assoluta dei membri di ciascun ramo del Parlamento. Alla Camera la maggioranza di governo non ha problemi numerici, come ha dimostrato il voto di fiducia e l’approvazione definitiva del decreto Cura Italia, ma al Senato i margini sono ristretti e il problema delle presenze fisiche dei parlamentari diventa una questione sostanziale.
Il punto è che senza uno spirito unitario, volto a salvaguardare il corretto funzionamento delle istituzioni al di là dei ruoli di maggioranza e opposizione, il sistema rischia d’incepparsi a danno di tutto il Paese. Per giunta i delicati passaggi politici europei hanno avuto ripercussioni anche sugli assetti politici interni. Sempre più il rapporto con l’Europa è questione dirimente per la collocazione dei partiti e per la formazione degli schieramenti. Lo stesso governo in carica è nato, dopo il noto smarcamento agostano di Salvini, proprio intorno a una linea di rapporto costruttivo con la Ue. E per fortuna, verrebbe da dire con il senno del poi, visti gli scenari che si sono verificati. Ma in questa fase la storica pregiudiziale ideologica contro il Mes ha messo in subbuglio il Movimento 5 Stelle producendo fibrillazioni nella maggioranza, mentre nel campo dell’opposizione proprio l’appoggio al Mes (modificato in chiave di lotta alla pandemia con l’eliminazione delle severe condizionalità previste in origine) ha portato Forza Italia a disallinearsi dal fronte sovranista che con Lega e FdI continua senza soste la sua guerra retorica anti-europea.
Discorsi analoghi, pur con implicazioni istituzionali ben diverse, si potrebbero estendere al problema del comportamento centrifugo delle Regioni, che coincide in parte ma non del tutto con la contrapposizione ideologica nazionale. Il principio di “leale collaborazione”, che tante sentenze della Corte costituzionale hanno enucleato dagli articoli della Carta, diventa un pilastro fondamentale della ripartenza che impegnerà a breve tutto il Paese. E il rinvio all’autunno delle elezioni regionali appare come ispirato dal buon senso, anche se i governatori in corsa per la rielezione hanno protestato.
In un momento in cui si fanno continui confronti, talvolta a sproposito, con quanto si sta realizzando in altri Stati contro la pandemia, avrebbe meritato maggiore attenzione il discorso tenuto dal capo dell’opposizione di centro-destra, Rui Rio, nell’assemblea parlamentare del Portogallo, che è guidato da un governo socialista. Vale la lunga citazione: “La minaccia che dobbiamo combattere esige unità, solidarietà, senso di responsabilità. Per me, in questo momento, il governo non è l’espressione di un partito avversario, ma la guida dell’intera nazione che tutti abbiamo il dovere di aiutare. Non parliamo più di opposizione, ma di collaborazione. Signor primo ministro Antonio Costa conti sul nostro aiuto. Le auguriamo coraggio, nervi d’acciaio e buona fortuna perché la sua fortuna è la nostra fortuna”. Forse abbiamo qualcosa da imparare anche dalla giovane democrazia portoghese che, come noi, festeggia il 25 aprile come “giorno della libertà” dopo decenni di regime.