ABBIAMO UN MARTIRE. Così titolava la lettera ufficiale, pubblicata su Il Nuovo Torrazzo del 14 febbraio 1953, dal vescovo di Crema mons. Piazzi, nella quale annunciava l’uccisione in nome della fede, di padre Alfredo Cremonesi, missionario cremasco in Birmania, avvenuta il 7 febbraio precedente. Questa la convinzione del vescovo. Ma, non vi era la certezza. L’uccisione poteva essere stata casuale nell’ambito di una rappresaglia dei soldati governativi, o i motivi potevano essere solo politici. Il “cuore” del processo di beatificazione di Padre Cremonesi è dunque stato proprio questo: verificare se l’uccisione del missionario cremasco è avvenuta in odium fidei (in odio della fede cristiana) o no.
L’UCCISIONE DI P. ALFREDO
Per arrivare a una risposta certa, sono stati ascoltati alcuni testimoni presenti al momento dell’omicidio. In particolare Carlo Thu Reh e Antonio Tho Reh: sulla base dei loro racconti è possibile farsi un’idea chiara della dinamica dei fatti.
La mattina del 7 febbraio si trovavano al villaggio di Donokou assieme a padre Cremonesi. La Birmania era in piena guerra civile e si respirava un’aria di tensione. I ribelli oppositori del governo, il giorno precedente, avevano fatto una razzia nella vicina cittadina di Tantanbin. Per rappresaglia, il giorno dopo, le truppe governative andarono al villaggio di Donokou e chiesero a padre Cremonesi di consegnare nelle loro mani il capo del villaggio (responsabile dell’Azione Cattolica). Il missionario si rifiutò attestando che era innocente. I soldati governativi presero la via del ritorno, ma per strada furono vittime di un’imboscata nella quale cadde uno di loro. Tornarono al villaggio furiosi. Padre Alfredo cercò di placarli di
nuovo sventolando un fazzoletto bianco in segno di pace a protezione del suo catechista Victor Maung Thu affermando che non era un ribelle, nonostante fosse un cariano (l’etnìa birmana identificata dal governo come ribelle), ma senza risultato. I soldati cominciarono a sparare a padre Alfredo e al catechista che vennero feriti alle gambe. Due bambine presenti furono coinvolte per caso e rimasero uccise. I soldati si allontanarono verso la chiesa per darle fuoco. In seguito tornarono e si diressero verso padre Alfredo con l’intento di finirlo: egli era a terra e tentava di risollevarsi con le braccia, aveva tolto dalla tasca il libro delle preghiere e guardava i soldati. Questi, con disprezzo, gli spararono in maniera crudele e intenzionale sul volto, colpendolo nell’occhio e nello zigomo, come si faceva con gli animali. Il missionario morì pregando.
Nulla fecero al catechista che sopravvisse. Padre Cremonesi era morto per salvarlo.
nuovo sventolando un fazzoletto bianco in segno di pace a protezione del suo catechista Victor Maung Thu affermando che non era un ribelle, nonostante fosse un cariano (l’etnìa birmana identificata dal governo come ribelle), ma senza risultato. I soldati cominciarono a sparare a padre Alfredo e al catechista che vennero feriti alle gambe. Due bambine presenti furono coinvolte per caso e rimasero uccise. I soldati si allontanarono verso la chiesa per darle fuoco. In seguito tornarono e si diressero verso padre Alfredo con l’intento di finirlo: egli era a terra e tentava di risollevarsi con le braccia, aveva tolto dalla tasca il libro delle preghiere e guardava i soldati. Questi, con disprezzo, gli spararono in maniera crudele e intenzionale sul volto, colpendolo nell’occhio e nello zigomo, come si faceva con gli animali. Il missionario morì pregando.
Nulla fecero al catechista che sopravvisse. Padre Cremonesi era morto per salvarlo.
UCCISO IN ODIUM FIDEI
A di là del racconto dell’uccisione, già di per sé eloquente, durante il processo di beatificazione sono stati affrontati altri aspetti per certificare il martirio di p. Cremonesi. In particolare la situazione politica di quel tempo. La Birmania aveva ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra il 4 gennaio 1948. Fu l’occasione per lo scoppiare di odii e risentimenti tra le etnie del Paese che portarono a una devastante guerra civile. Il governo centrale non mantenne le promesse fatte alle minoranze, privilegiò il buddismo, scatenando le dure reazioni delle tribù cristianizzate, innanzitutto dei cariani che durante la dominazione inglese si erano maggiormente evoluti e occidentalizzati.
Tra i cristiani cariani, i protestanti si erano schierati per la lotta armata contro il governo, mentre i cattolici privilegiavano il dialogo. Proprio per questo i cattolici erano invisi sia ai ribelli battisti che all’esercito buddista. Padre Alfredo, da parte sua, si sentiva odiato dai ribelli perché i cariani, affidati alle sue cure, non avevano voluto unirsi alla rivolta.
Una religiosa della congregazione delle Suore della Riparazione, chiamata a testimoniare, affermava: “Sia i ribelli buddisti, sia le truppe governative, che erano buddiste, odiavano nel senso più forte della parola i cristiani e desideravano cancellare la nostra religione e, dunque, odiavano ancor più i missionari.” Ne furono uccisi molti, assieme a suore, catechisti proprio perché cristiani; furono distrutti chiese e centri pastorali. La guerriglia aveva quindi risvolti non solo politici, ma anche religiosi e vigeva l’equazione: cristiano = ribelle.
I missionari erano ritenuti colpevoli dello sviluppo della Chiesa e quindi erano particolarmente odiati. Con questo spirito dunque i soldati affrontarono quel 7 febbraio padre Cremonesi e il comandante tornò su di lui, a terra ferito, per finirlo in modo barbaro.
“Dunque – questa è la conclusione del processo di beatificazione – come risulta in maniera inequivocabile dalle testimonianze di quanti hanno assistito alla sua morte, egli venne ucciso proprio per la sua qualità di sacerdote cattolico”. Quindi in odio alla fede. Quindi s’è trattato di martirio.
A quanto fin qui detto, s’aggiunge il fatto che padre Alfredo aveva espresso più volte, anche per iscritto, il desiderio di coronare la vita con la morte per il Vangelo, molte le testimonianze in tal senso. In particolare quella di una donna presente quel giorno a Donokou che – sentiti i primi spari – disse a padre Cremonesi di nascondersi. Egli rispose: “Perché? Nel caso morirò io per primo!” Così avvenne.
Una religiosa della congregazione delle Suore della Riparazione, chiamata a testimoniare, affermava: “Sia i ribelli buddisti, sia le truppe governative, che erano buddiste, odiavano nel senso più forte della parola i cristiani e desideravano cancellare la nostra religione e, dunque, odiavano ancor più i missionari.” Ne furono uccisi molti, assieme a suore, catechisti proprio perché cristiani; furono distrutti chiese e centri pastorali. La guerriglia aveva quindi risvolti non solo politici, ma anche religiosi e vigeva l’equazione: cristiano = ribelle.
I missionari erano ritenuti colpevoli dello sviluppo della Chiesa e quindi erano particolarmente odiati. Con questo spirito dunque i soldati affrontarono quel 7 febbraio padre Cremonesi e il comandante tornò su di lui, a terra ferito, per finirlo in modo barbaro.
“Dunque – questa è la conclusione del processo di beatificazione – come risulta in maniera inequivocabile dalle testimonianze di quanti hanno assistito alla sua morte, egli venne ucciso proprio per la sua qualità di sacerdote cattolico”. Quindi in odio alla fede. Quindi s’è trattato di martirio.
A quanto fin qui detto, s’aggiunge il fatto che padre Alfredo aveva espresso più volte, anche per iscritto, il desiderio di coronare la vita con la morte per il Vangelo, molte le testimonianze in tal senso. In particolare quella di una donna presente quel giorno a Donokou che – sentiti i primi spari – disse a padre Cremonesi di nascondersi. Egli rispose: “Perché? Nel caso morirò io per primo!” Così avvenne.