CREMA – Storici dell’arte a Palazzo Vescovile. Intervista a Giorgio Milanesi

Sabato 12 gennaio 2019 alle ore 16,30 riprende la rassegna Storici dell’arte in Palazzo Vescovile organizzata dalla Libreria Cremasca. Il primo ospite dell’anno sarà lo storico dell’arte Giorgio Milanesi, autore del volume Romanico Cremonese. Le chiese dell’antica diocesi di Cremona, SAP, Mantova 2018 che intervistiamo in esclusiva.

Qual è stato il suo percorso di studi e come è arrivato a occuparsi di storia dell’arte medievale?

Il mio interesse per la storia dell’arte medievale precede l’iscrizione al corso di Conservazione dei Beni Culturali dell’ateneo di Parma. Ricordo con assoluta lucidità l’interesse sfrenato che dimostravo durante gli anni del Liceo Scientifico frequentato a Viadana, nel Mantovano, per i castelli, le cattedrali gotiche, i mosaici bizantini, le miniature carolingie. È facile dunque immaginare con quanto entusiasmo ho cominciato a frequentare le lezioni di importanti storici dell’arte medievale: da Arturo Carlo Quintavalle, a Giusy Zanichelli, da Maria Monica Donato ad Arturo Calzona, mio mentore, al quale devo, per la sua originaria formazione su Leon Battista Alberti, una quasi fanciullesca curiosità per tutto ciò che riguarda lo statuto dell’Immagine, dall’antico al contemporaneo. Dopo la laurea, durante i miei anni di dottorato ho completato la formazione studiando a Poitiers, sede di uno dei più importanti centri europei dedicati al Medioevo.

 Oltre che ricercatore universitario, lei è vicepresidente della Società Storica Viadanese e ha collaborato con la Società Storica Cremasca al convegno sulla pieve di Palazzo Pignano tenutosi nel 2016. Ritiene importante la collaborazione delle associazioni di volontariato presenti sul territorio con le Università e le Soprintendenze?

La collaborazione di Università e Soprintendenze con le realtà locali, che possono prendere la forma di Società, Circoli, Sodalizi, non è importante, è, e ne sono fermamente convinto, ineludibile. Devo dire che gli anni passati in Francia mi hanno aperto la focale: per i cugini d’Oltralpe, le Sociétés Savantes – e associazioni affini diffuse sin dalla prima metà dell’Ottocento nel territorio e anche nelle colonie – si sono costantemente e proficuamente confrontate con le Istituzioni statali. Non è esistito capoluogo di provincia che non abbia prodotto almeno due o tre enti votati alla repertoriazione del patrimonio locale, alla trascrizione pressoché integrale della documentazione storica disponibile e alla promozione del restauro, tenendo bene in conto le devastazioni iconoclaste della Rivoluzione. Ciò ha innescato una dinamica tendenzialmente positiva di cui ancora oggi la Ricerca francese gode. Non sto affatto parlando di qualità della Ricerca, sto semplicemente dicendo che in Italia (ma lo stesso dicasi, mutatis mutandis, per l’Europa germanofona), per molti decenni con rarissime eccezioni guarda caso romane e piemontesi, la ricerca locale è stata percepita dall’Accademia come erudizione localistica fine a se stessa più vicina al folklore che alla scienza; per contro, gli enti periferici, o come io preferisco dire, provinciali, hanno sempre mal digerito l’“espertone” di turno che partendo da qualsivoglia università piombava in un luogo a pontificare, esautorando l’erudito locale, il più delle volte il parroco, il maestro, un architetto factotum e via dicendo. Credo non sfugga a nessuno, naturalmente, che le diverse vicende che hanno portato alle singole Unità nazionali abbiano avuto un ruolo chiave. Se abbandoniamo in modo definitivo la storiograficamente morta antitesi tra centro e periferia, tracciamo un solco nella direzione giusta.

 La sua ricerca ha riguardato le emergenze romaniche realizzate tra gli anni a cavallo del Mille e i primi decenni del XIII secolo nell’antica diocesi di Cremona, esclusa la città capoluogo. Come mai la scelta di questi limiti cronologici e geografici?

I limiti cronologici sono, diciamo così, dettati da paletti disciplinari: è stata mia intenzione studiare, se possibile, tutte le sopravvivenze dell’epoca che accademicamente si definisce romanica, ovvero dai decenni ottoniani fino all’epoca di Federico II di Svevia, durante il cui lungo governo è avvenuto, sebbene con tempistiche diversi, il passaggio definitivo alla sensibilità gotica nelle terre dell’impero. Perché la diocesi di Cremona? Benché mantovano, da viadanese sono nato a ovest dell’Oglio, quindi ecclesiasticamente sono cremonese a tutti gli effetti. Inoltre, se la città ha avuto una fortuna critica abbondante, non esisteva, diversamente da tutte le diocesi lombarde e buona parte di quelle dell’Italia settentrionale, un libro che avesse osato mettere a sistema l’intero patrimonio romanico. Spero in futuro di potermi concentrare anche sulla città.

 Prima dell’istituzione della diocesi di Crema nel 1580, parte del Cremasco era soggetto alla diocesi di Cremona. In particolare a tre delle diciassette pievi in cui era ripartita appartenevano località ora in territorio cremasco dove rimangono edifici romanici: il Marzale a Ripalta Vecchia, Santa Maria della Mora a Castel Gabbiano e il Cantuello a Ricengo.

Delle tre località che ha ricordato, per l’ubicazione, per le testimonianze archeologiche e per lo status di santuario, il Marzale di Ripalta Vecchia è sicuramente l’emergenza più significativa. L’edificio è stato profondamente modificato in epoca moderna, ma l’absidiola sinistra e parte di quella centrale risalgono al principio del XIII secolo.

E a Castel Gabbiano e Ricengo?

La chiesa della Mora a Castel Gabbiano è un rudere. Il tempo di John Ruskin e della bellezza romantica dei ruderi è fortunatamente alle spalle, tuttavia proprio in questo lembo di terra ho colto un aspetto chiave del mio studio: le particolarità costruttive prescindono dagli aspetti ideologici, politici o ecclesiastici e dalle spiegazioni estetizzanti o storico-artistiche, ma vanno lette più prosaicamente anche nell’ottica di committenti differenti che si avvalevano delle medesime maestranze in un dato territorio. Ciò non significa appiattire la storia dell’arte al puro, frammentario regionalismo: significa tuttavia prendere consapevolezza dell’ineludibilità del dato materiale nell’analisi delle emergenze tanto architettoniche, quanto scultoree o pittoriche. Quel poco che sopravvive di medievale nella chiesa cimiteriale di Ricengo si collega nella pratica costruttiva alla Mora, ma anche al San Benedetto di Crema, a Palazzo Pignano, a Rivolta d’Adda. Nel medioevo erano località afferenti a diocesi diverse (Cremona e Piacenza), eppure collocabili, grosso modo anche cronologicamente, nella stessa cultura architettonica legata ai cantieri milanesi.

 Spesso gli storici dell’arte tendono a reinterpretare all’infinito gli stessi dati, lasciando prive di studi tantissime aree geografiche o tipologie di oggetti. La sua ricerca invece ha l’enorme merito di aver battuto palmo a palmo il territorio in esame scoprendo tante sopravvivenze romaniche ancora inedite. Quale è stata la scoperta più eclatante?

Per uno storico dell’arte medievale del XXI secolo la sola speranza di imbattersi in emergenze inedite può sembrare infinitamente ingenua. La ricognizione letteralmente palmo a palmo mi ha invece consentito di analizzare strutture sotto gli occhi di tutti, ma senza sapere che si trattasse di edifici che avessero 800/900 anni. Devo dire che su circa 40 chiese prese in esame, poco meno di 10 erano totalmente sconosciute alla storiografia, anche locale. Se da un lato sono evidentemente contento per le novità, da un altro, non lo nascondo, mi interrogo sulla natura stessa della disciplina chiedendomi come possa essere possibile che al centro di una delle regioni più ricche d’Europa ci siano ancora edifici romanici inediti. Il campanile di Voltido, quello di Pieve d’Olmi, quello di San Paolo Ripa d’Oglio, le absidi medievali della pieve di Casalmaggiore: tante sono le novità. Ma la più eclatante è, diciamo così, in negativo e dicendolo intendo non solo fare “pubblica ammenda”, ma anche essere da monito e al contempo stimolo per i giovani: un campanile della seconda metà del XII secolo quasi completamente intatto e altrettanto inedito sopravvive a poco più di un chilometro da dove ora abito nella frazione di Cappella di Casalmaggiore. Occorre aggiungere altro?