CREMA – Intervista alle relatrici del primo incontro della rassegna Storici dell’arte in Palazzo Vescovile

Intervistiamo in esclusiva Giulia Benati, Camilla Anselmi e Francesca Bianchi Janetti che oggi pomeriggio (ore 16,30) saranno presenti nel Palazzo Vescovile di Crema per il primo appuntamento del ciclo di conferenze organizzato dalla Libreria Cremasca in collaborazione con la Diocesi di Crema intitolato Storici dell’arte in Palazzo Vescovile. In particolare le tre studiose presenteranno il volume Milano. Museo e tesoro del Duomo. Catalogo generale, a cura di G. Benati, Silvana, Milano 2017.

GB, quale è stato il suo percorso di studi e come è arrivata a lavorare al Museo della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano?

GB: Sono entrata in Fabbrica, o meglio al Museo del Duomo, non ancora laureata, per un’esperienza sostenuta dalla cattedra di Storia dell’Arte, a quel tempo non si chiamavano stage, nell’allora pionieristica Sezione didattica. La mia formazione è continuata poi per anni, in una collaborazione, costante e in crescita, nelle attività del Museo, che allora era il motore culturale dell’ente e che quindi comprendevano non solo la didattica, ma mostre, convegni, corsi, … Una formazione all’interno dell’Istituzione, severa, fatta di tanto studio e compiti concreti con verifiche continue, diciamo, sul campo, e aperta ad ogni ambito di attività della multiforme realtà della Fabbrica. L’investimento fatto su di me era volto a creare la figura che doveva raccogliere la memoria storica e l’eredità culturale dell’Istituzione perchè potesse essere trasmessa al futuro in un quell’ottica di continuità, le cui radici sono nello spirito delle Fabbricerie, così come lo concepivano, lo facevano vivere e lo ritenevano necessario i miei maestri: l’arch. Ernesto Brivio e l’ing. Ferrari da Passano.

CA: Il percorso che mi ha portato in Fabbrica del Duomo è cominciato dall’Università. Ho frequentato la facoltà di Lettere moderne, indirizzo storico critico delle arti e mi sono laureata con una tesi in Museologia e museografia. La dott.ssa Giulia Benati, allora direttore del museo, mi chiamò a seguito dell’invio del mio curriculum e lì iniziò nel 2007 la mia avventura in Fabbrica del Duomo. Contemporaneamente sono entrata alla Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte e fondamentale fu la tesi di diploma dedicata al Museo del Duomo (Il Museo della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano: storia e progetti). Dal 2009 al 2013 sono stata, insieme alla dott.ssa Francesca Bianchi Janetti, responsabile dei Servizi educativi e conservatore del museo. Devo la mia formazione culturale, umana e di fabbriceria alla dott.ssa Giulia Benati e al prof. Ulderico De Piazzi, dai quali ho appreso la grande responsabilità che ci è concessa, cioè lavorare per la cattedrale milanese.

FBJ: Il mio percorso di studi è diventato via via nel tempo proprio il Duomo. Sono arrivata al Museo dopo la laurea in storia dell’arte, e qui ho cominciato una ricerca scientifica che nel tempo si è integrata con le conoscenze universitarie e ha arricchito il mio curriculum di studi.
Il fascino del momento e dei molteplici aspetti che lo studio del Duomo poteva offrimi hanno catturato da subito non solo il mio interesse intellettuale, ma anche un sincero entusiasmo che si rinnova a ogni scoperta.
Ho portato il Duomo anche fuori dai confini di Milano alla Fondazione Longhi, dove ho perfezionato gli studi post laurea, integrando l’esperienza diretta delle opere e della loro conservazione con le ricerche d’archivio e bibliografiche.

L’attuale Duomo di Milano fu fondato nel 1387, mentre il Museo nasce relativamente tardi, nel 1953, per rispondere a quali esigenze e con quali criteri espositivi?
L’idea di costituire un museo che adempisse alla necessità di raccogliere e rendere accessibili al pubblico le opere che giacevano nei depositi della cattedrale e nel cantiere a seguito dei primi grandi restauri del Duomo, nacque alla fine del XIX secolo. L’idea si concretizzò nel secondo dopoguerra, quando vennero resi disponibili dieci locali in Palazzo Reale idonei ad accogliere finalmente quelle opere alle quali, nel frattempo, se ne erano aggiunte molte altre, tolte dalla loro sede originaria a causa dei danni bellici. Le opere furono ordinate per nuclei tematici e secondo l’impostazione museografica degli anni ‘50 del ‘900 che vide il riallestimento di molti musei italiani. L’idea che guidò Ugo Nebbia, ordinatore del nascente museo, fu quella di creare con esso non solo un luogo espositivo ma anche il centro degli studi sulla cattedrale.

Negli anni ’70 del ‘900 il museo fu ampliato. Vennero mantenuti gli stessi criteri di ordinamento?
Il museo inaugurato nel 1953 si rivelò ben presto insufficiente per il costante aumento delle opere di statuaria che venivano sostituite a causa delle loro condizioni conservative compromesse dall’inquinamento atmosferico. Vennero concesse alla Fabbrica del Duomo altre 10 sale che permisero di ampliare la raccolta che fu riordinata dall’arch. Ernesto Brivio secondo un criterio cronologico con una forte finalità divulgativa alla quale affiancò nella nuova concezione museale internazionale delle funzioni del museo, l’innovativa sezione didattica per permettere a tutti di conoscere il patrimonio storico artistico della cattedrale e i suoi valori.

Dal 2005 al 2013 il Museo è rimasto chiuso per realizzare il riallestimento. Quali sono stati i criteri che hanno ispirato il nuovo ordinamento?
La nuova esposizione è stata la sintesi di due istanze: da un lato il rigore cronologico della successione delle opere e dei nuclei tematici, in riferimento stretto alla storia della costruzione del Duomo, tessuto connettivo della raccolta, studiato dal direttore e dai due conservatori del museo, dall’altro l’esigenza di mostrare le opere sottolineandone i valori formali in un percorso ricco di suggestione ed emotivamente coinvolgente così come lo ha concepito l’arch. Guido Canali.

Finora gli studiosi che si occupano del Duomo avevano a disposizione il catalogo realizzato da R. Bossaglia e M. Cinotti nel 1978. Nuovo allestimento, nuovo catalogo: come è nata l’idea di questo volume?
L’idea di una nuova catalogazione è nata in funzione del riallestimento del Museo. Gli studi, dal 1978 in poi, erano proseguiti: dovevano essere raccolti e riletti in un ulteriore cammino critico, inoltre vi erano stati nuovi ingressi di opere inedite da studiare. Dunque le nuove acquisizioni e i dati emersi dai restauri compiuti in occasione del riallestimento, hanno portato alla necessità di editare un nuovo catalogo, corredo e supporto scientifico indispensabile di ogni museo, che rimane un punto di arrivo del percorso storico-critico più recente ma soprattutto un punto di partenza per nuovi studi.

Al catalogo hanno contribuito 37 (!) studiosi: come siete riuscite a coordinare il lavoro di così tante persone?
L’entusiasmo degli autori per questa gigantesca impresa è stato di grande aiuto. Le operazioni di disallestimento del Museo del Duomo hanno permesso la collocazione delle opere non facilmente movimentabili per nuclei omogenei cronologicamente e per provenienza. Questo ha consentito di poter gestire i numerosi, quanto necessari, sopralluoghi con le “squadre” di studiosi grazie ai quali quei momenti di osservazione divenivano veri e propri seminari di discussione e coordinamento. Inoltre il restauro di numerose opere ha portato alla scoperta di nuovi e preziosi dettagli.

I Cremaschi conoscono le statue di Carlo Francesco Mellone e di Giovanni Battista Dominione che ornano la facciata di palazzo Bondenti Terni de’ Gregory a Crema e quelle di Angelo Maria Beretta sulla facciata della parrocchiale di Vaiano Cremasco . Come mai questi scultori attivi presso la Veneranda Fabbrica, prestavano la loro opera anche in una città della Repubblica di Venezia?
Rispetto alla pittura o ad altre forme d’arte, la scultura lapidea ha costi molto più alti dovuti alle difficoltà di trasporto del materiale. Questo impediva che ci fosse una richiesta di manufatti sufficiente per garantire l’esistenza di botteghe di scultori in ogni città. Per secoli la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano ha svolto il ruolo di serbatoio da cui attingere operai specializzati (lapicidi, scultori, architetti) che venivano chiamati a lavorare anche negli stati limitrofi.

(A cura della Libreria Cremasca)