Un “accordo provvisorio” sulla nomina dei vescovi, la riammissione di sette vescovi “ufficiali” nominati dalla Chiesa cinese ma senza il consenso della Santa Sede e l’erezione di una nuova diocesi. Sono questi gli storici passi di riavvicinamento – annunciati il 22 settembre, mentre il Papa era da poco giunto a Vilnius (Lituania) – tra la Chiesa di Roma e milioni di cattolici del Paese del Sol Levante, da ora in piena comunione con il Successore di Pietro. Le notizie sono state diffuse in contemporanea con Pechino.
Accordo provvisorio. “Nel quadro dei contatti tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, che sono in corso da tempo per trattare questioni ecclesiali di comune interesse e per promuovere ulteriori rapporti di intesa” – si legge nel primo comunicato diffuso dalla sala stampa vaticana – si è svolta a Pechino una riunione tra mons. Antoine Camilleri, sottosegretario per i rapporti della Santa Sede con gli Stati, e il viceministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Wang Chao, durante il quale i due rappresentanti hanno firmato un “accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi”. “Tale accordo provvisorio, frutto di un graduale e reciproco avvicinamento, viene stipulato dopo un lungo percorso di ponderata trattativa e prevede valutazioni periodiche circa la sua attuazione”, si precisa nella nota. L’accordo firmato, nel dettaglio, “tratta della nomina dei vescovi, questione di grande rilievo per la vita della Chiesa, e crea le condizioni per una più ampia collaborazione a livello bilaterale”. L’auspicio, si legge infine nel comunicato, è che “tale intesa favorisca un fecondo e lungimirante percorso di dialogo istituzionale e contribuisca positivamente alla vita della Chiesa cattolica in Cina, al bene del popolo cinese e alla pace nel mondo”.
Inizio di un processo. “Non è la fine di un processo, è l’inizio”, ha dichiarato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Greg Burke: “Si è trattato di dialogo, di ascolto paziente da entrambe le parti, anche quando i popoli in questione partivano da punti di vista molto differenti”. “L’obiettivo dell’accordo – ha precisato il portavoce vaticano – non è politico ma pastorale, in modo da consentire ai fedeli di avere vescovi che siano in comunione con Roma ma nello stesso tempo riconosciuti dalle autorità cinesi”.
Obiettivo pastorale. “La firma di un accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi riveste una grande importanza, specialmente per la vita della Chiesa cattolica in Cina e per il dialogo tra la Santa Sede e le Autorità civili di quel Paese, ma anche per il consolidamento di un orizzonte internazionale di pace, in questo momento in cui stiamo sperimentando tante tensioni a livello mondiale”. Così il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. “L’obiettivo della Santa Sede – spiega il cardinale – è un obiettivo pastorale, cioè aiutare le Chiese locali affinché godano condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione, in modo tale che possano dedicarsi alla missione di annunciare il Vangelo e di contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società”.
“Per la prima volta dopo tanti decenni, oggi tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il vescovo di Roma”, fa notare Parolin:
“Papa Francesco, come i suoi immediati predecessori, guarda e si rivolge con particolare attenzione e con particolare cura al popolo cinese. C’è bisogno di unità, c’è bisogno di fiducia e di un nuovo slancio; c’è bisogno di avere Pastori buoni, che siano riconosciuti dal Successore di Pietro e dalle legittime autorità civili del loro Paese. E l’accordo si pone proprio in questo orizzonte: è uno strumento che speriamo possa aiutare in questo processo, con la collaborazione di tutti”.
“Al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina”, il Papa ha deciso di riammettere nella piena comunione ecclesiale i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio. È quanto si legge nel secondo comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, che ne rende noto l’elenco: mons. Giuseppe Guo Jincai, mons. Giuseppe Huang Bingzhang, mons. Paolo Lei Shiyin, mons. Giuseppe Liu Xinhong, mons. Giuseppe Ma Yinglin, mons. Giuseppe Yue Fusheng, mons. Vincenzo Zhan Silu e mons. Antonio Tu Shihua, deceduto il 4 gennaio 2017, che prima di morire aveva espresso il desiderio di essere riconciliato con la Sede Apostolica. Papa Francesco auspica che, “con le decisioni prese, si possa avviare un nuovo percorso, che consenta di superare le ferite del passato realizzando la piena comunione di tutti i cattolici cinesi”.
Un nuova diocesi. In concomitanza con l’accordo provvisorio tra Santa Sede e Cina sulla nomina dei vescovi, il Papa ha deciso infine di costituire nella Cina Continentale la diocesi di Chengde, suffraganea di Beijing, con sede episcopale nella chiesa cattedrale di Gesù Buon Pastore, sita nella Divisione amministrativa di Shuangluan, “Città di Chengde”. Nell’area, una parte della quale è appartenuta anticamente al vicariato apostolico della Mongolia Orientale, vivono quasi 4 milioni di abitanti, di cui 25mila cattolici, distribuiti in 12 parrocchie.
“Pechino ha aperto le porte”. l’accordo firmato con la Santa Sede è una “concessione che gli imperatori ai tempi dei gesuiti non avevano fatto”. Francesco Sisci è uno dei maggiori sinologi, autori ed esperti di Cina. Attualmente è professore all’Università del popolo della Cina. In questi giorni è difficile parlare con lui, travolto dalle notizie che arrivano dalla Cina e dalle richieste d’interviste e commenti. D’altronde è uno dei massimi esperti della storia dei rapporti tra Santa Sede e Cina. Nel 2016, Papa Francesco gli rilascia un’intervista, proprio sulla Cina, che uscì sul quotidiano on-line di Hong Kong, “Asia Times”. “Per me la Cina – disse il Papa in quella occasione – è sempre stata un punto di riferimento di grandezza. Un grande Paese. Ma più che un Paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile”.
“Da bambino, quando leggevo qualcosa sulla Cina, questo fatto aveva la capacità di ispirarmi ammirazione. Provo ammirazione per la Cina”.
L’accordo “provvisorio” firmato a Pechino nel corso di un incontro tra monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario per i rapporti della Santa Sede con gli Stati, e Wang Chao, viceministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, punta dritto su una questione che da moltissimo tempo era al centro di faticose e sofferte trattative: la nomina dei vescovi, nel difficile rapporto tra Chiesa “ufficiale” e Chiesa “clandestina”. L’obiettivo della Santa Sede è chiaro: “Sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina”. Francesco decide di riammettere nella piena comunione ecclesiale i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio. Nella lista c’è anche un vescovo deceduto il 4 gennaio 2017, che prima di morire aveva espresso il desiderio di essere riconciliato con la Sede Apostolica.
È un annuncio storico. Un accordo che fino a pochi anni fa sembrava impossibile
ma che oggi è diventato realtà grazie – così recita il bollettino della sala stampa vaticana – ad “un graduale e reciproco avvicinamento” tra le due parti. È il frutto di una storia lunga avviata nel 2007 da Benedetto XVI che preoccupato per la sorte dei cattolici cinesi inviò loro una “Lettera” esortando la piena comunione e il superamento attraverso “perdono e riconciliazione” delle divisioni. Con l’elezione di Papa Francesco, gesuita come Matteo Ricci e la mediazione del cardinale Pietro Parolin, i contatti si riattivano in maniera vivace e inaspettata. La Cina diventa per Francesco una priorità del suo Pontificato, spinto unicamente dal suo amore per i cattolici cinesi. È il Papa stesso a spiegare a Francesco Sisci come intende il processo di dialogo con la Cina: “Il dialogo non significa che finiamo con un compromesso, metà della torta per te e l’altra metà per me. Questo è quello che è accaduto a Yalta e abbiamo visto i risultati. No, il dialogo vuol dire: guarda, siamo arrivati a questo punto, posso o non posso essere d’accordo, ma camminiamo insieme; questo è quello che vuol dire costruire. E la torta rimane intera, se si cammina insieme”.
Professor Sisci, perché adesso? L’obiettivo pastorale della Santa Sede è chiaro. Ma cosa ha spinto la Cina ad un accordo con Roma?
Perché anche con Papa Francesco, la Cina si è resa conto che la Santa Sede è la super potenza soffice globale, quindi se Pechino ha ambizioni nel mondo, non può ignorare Roma.
Come rispondere alle critiche di chi dice che questo accordo consegna la Chiesa al potere politico e disconosce il martirio di tanti cattolici cinesi fedeli a Roma?
Che non è vero. L’essenza dell’accordo è una questione di principio su cui Pechino ha aperto le porte. Pechino ha ammesso l’ambito religioso del Papa in Cina. È una concessione che gli imperatori ai tempi dei gesuiti non avevano fatto, quindi è importantissima.
La Cina è un Paese fortemente messo sotto accusa dalle organizzazioni internazionali per le violazioni della libertà religiosa. Quali prospettive apre l’accordo per la libertà religiosa in Cina?
Questo apre a una maggiore libertà religiosa in Cina,
naturalmente le sfide sono molte, le difficoltà pure. Dovremo vedere.