Erano le ore 11 quando stamattina, giorno di Pasqua, il vescovo Daniele ha celebrato il pontificale in Duomo, dopo la solenne veglia pasquale di questa notte.
Una celebrazione eucaristica che, all’inizio, ha previsto l’aspersione da parte del celebrante di tutta l’assemblea a ricordo del Battesimo. Arspersione che è stata seguita – dopo l’omelia – dal rinnovo delle promesse battesimali.
Molti i fedeli in cattedrale a vivere la Messa di Pasqua, bellissima la giornata di sole, palpabile la gioia per la risurrezione del Signore.
Nell’omelia il vescovo, rifacendosi al Vangelo appena proclamato dove si racconta delle perplessità della Maddalena davanti al sepolcro vuoto e della corsa dei due apostoli, Pietro e Giovanni, che vedendo i teli disposti in ordine all’interno del sepolcro credono nella risurrezione, ha detto che a volte abbiamo “il timore che Gesù sia stato ormai irrimediabilmente messo da parte, che non si sappia più dove trovarlo, in un mondo in cui i criteri di orientamento ci appaiono lontanissimi dal Vangelo che egli ha annunciato e della proposta di vita che egli ha incarnato fino all’estremo dono di sé sulla croce; il timore, come recita un celebre testo del filosofo Nietzsche, che persino le chiese non siano altro che le ‘fosse e i sepolcri di Dio’”.
In realtà il Signore rivela i segni la sua risurrezione nelle Scritture e oggi, in particolare, con gli uomini e le donne che vivono una vita pasquale. E ha ricordato il poliziotto francese che alcuni giorni fa ha dato la vita per salvare una donna sequestraqta dai terroristi: ““È stato il gesto di un poliziotto e di un cristiano, ha detto la moglie. Dettato dall’amore di patria e dall’amore per il prossimo. Due ispirazioni impossibile da separare”.
IL TESTO INTEGRALE DELL’OMELIA DEL VESCOVO
“Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” Le parole di Maria Maddalena dopo la scoperta che la tomba di Gesù era aperta, esprimono una preoccupazione, una paura che è ancora più forte di quella sperimentata con la morte di Gesù. Perché la presenza di un sepolcro e sapere che esso racchiude il corpo di una persona amata, è in qualche modo rassicurante: c’è il dolore del lutto, ma c’è un segno che ancora ci lega alla persona scomparsa.
Se invece la tomba è profanata, se il corpo del Signore è stato portato via, come Maria sospetta senza darsi neppure la pena di verificare, allora non ci resta davvero nulla. E mi chiedo se le parole di Maria Maddalena non diano voce al timore forse più grande, per un credente che si guarda attorno nel mondo di oggi: e cioè, precisamente, il timore che il Signore, con tutto ciò che la sua persona implica per chi si è affidato a lui, sia stato portato via, sia stato cancellato da questo mondo, in modo forse più sottile ma non meno devastante, rispetto a chi duemila anni fa lo ha condotto sulla croce.
La fede pasquale è insidiata da questo timore, che è quello della dimenticanza, della rimozione, il timore che Gesù sia stato ormai irrimediabilmente messo da parte, che non si sappia più dove trovarlo, in un mondo in cui i criteri di orientamento ci appaiono lontanissimi dal Vangelo che egli ha annunciato e della proposta di vita che egli ha incarnato fino all’estremo dono di sé sulla croce; il timore, come recita un celebre testo del filosofo Nietzsche, che persino le chiese non siano altro che le “fosse e i sepolcri di Dio” (Cf F. Nietzsche, la gaia scienza, 125).
È bene che ci misuriamo anche con questa vertigine, nel giorno più importante della fede e della vita dei cristiani, per ricordare che cosa è in gioco, nelle fede pasquale che oggi professiamo. Ed è bene anche che non ci fermiamo alla prima impressione superficiale, quale sembra essere il gesto di Maria di Magdala, che poi arriverà in altro modo alla fede pasquale, della quale sarà anzi la prima testimone, con quel bel titolo di “apostola degli apostoli” che la tradizione le ha riconosciuto.
È bene che seguiamo il cammino, anzi la corsa, dei due discepoli, che vanno alla tomba e guardano anche all’interno; e con loro, dunque, incominciamo ad approfondire la fede pasquale, che viene proclamata in questo giorno santo. Perché certo è anzitutto la fede che respinge l’idea – la paura anzi – che il Signore sia stato portato via da questo mondo, e che non ci sia più posto per lui. E la fede respinge questa paura aiutata dai segni (la tomba vuota, ma in ordine: non sembrano esserci tracce di saccheggio, di una violazione brutale…) ma, soprattutto, aiutata dal ricordo delle Scritture, che avevano preannunciato che “egli doveva risorgere dai morti” (Gv 19,9).
Comprendere le Scritture ispirate da Dio, significa comprendere nella fede il progetto di Dio, e riuscire a leggere in questo orizzonte tutta la vicenda di Gesù: vicenda segnata dalla morte, ma orientata alla vita in pienezza; vicenda che si misura fino in fondo con il peccato, con il no dell’uomo a Dio, ma si volge al perdono e alla riconciliazione; vicenda che appare come la sconfitta di Gesù, ed è invece la sua vittoria; vicenda che ha cercato appunto di estrometterlo, di buttarlo fuori dal mondo – come la pietra scartata dai costruttori secondo le parole del salmo – ma che invece lo fa scoprire, proprio grazie alla fede pasquale, come la pietra d’angolo, scelta e preziosa per Dio.
Meditando le Scritture, ritornando alla preghiera e nella contemplazione, con la luce dello Spirito, a tutta la vicenda di Gesù letta nell’orizzonte del disegno di Dio (quel disegno che abbiamo meditato nel corso della Veglia pasquale), i cristiani si rinnovano così nella fede pasquale che oggi celebriamo: “Sì, ne siamo certi: Cristo davvero è risorto!”, come abbiamo cantato poco fa nella Sequenza della Pasqua.
Ne siamo certi, anche perché Dio ci dà delle tracce, dei segni concreti della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Ce li dà continuando a suscitare uomini e donne della Pasqua, uomini e donne che si sono messi sulla vita di Cristo e con i fatti, con le scelte della loro vita, mostrano la forza delle risurrezione anche nel mondo di oggi.
Mi ha colpito leggere, proprio su un giornale stamattina, un richiamo al gesto di quel poliziotto francese, di origine italiana – Arnaud Beltrame – che, qualche giorno fa, nel corso di un attentato, ha offerto la sua vita in cambio di quella di una donna presa in ostaggio da un terrorista. E mi ha colpito leggere la rivendicazione, chiamiamola così, quell’ispirazione cristiana di questo gesto, che ne ha fatto la moglie: “È stato il gesto di un poliziotto e di un cristiano. Dettato dall’amore di patria e dall’amore per il prossimo. Due ispirazioni impossibile da separare”.
Non tutti i comportamenti degli uomini e delle donne della Pasqua, che lasciano trasparire in sé la novità della risurrezione, finiscono sulla prima pagina dei giornali: non importa, l’importante è, invece, sapere che questi comportamenti ci sono, più numerosi di quanto non pensiamo; e sapere che essi lasciano intravedere la gloria del Risorto, presente nel nostro mondo; e ancora sapere che, attraverso di essi, lo Spirito di Cristo trasfigura il nostro mondo e lo porta progressivamente verso il compimento della Pasqua eterna.
La questione ultima è poi, in definitiva, se anche noi vogliamo diventare ciò che, a partire dal nostro Battesimo, già siamo in Cristo, e cioè appunto uomini e donne della Pasqua. È più facile fermarsi alla prima reazione di Maria di Magdala, lamentarsi perché abbiamo l’impressione che il Signore sia stato irrimediabilmente portato via dal nostro mondo; ma la sfida è di avventurarsi verso l’incontro con il Risorto nella fede, e di lasciarsi trasformare dallo Spirito, perché faccia anche di noi quegli uomini e quelle donne che rendono visibile la Pasqua del Signore.
Così l’augurio pasquale che ci scambiamo non resterà un semplice gesto di cortesia, ma sarà espressione di una fede autentica e della nostra disponibilità a diventare testimoni del Cristo risorto in mezzo al mondo.