In occasione della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato ieri, domenica 14 gennaio, la comunità di San Bernardino fuori le mura ha ospitato la Messa internazionale presieduta dal vescovo Daniele Gianotti. La celebrazione, ben animata dalla comunità africana di Crema e dal coro multietnico diretto da padre Arnold Mukoso (composto da persone di diverse parrocchie del territorio), ha visto l’introduzione di Enrico Fantoni, direttore dell’Ufficio pastorale dei Migranti diocesano.
Sull’altare col Vescovo il parroco don Lorenzo Roncali, davanti a una chiesa gremita: s’è pregato per allargare lo sguardo e il cuore verso il prossimo, tra letture in diverse lingue e gioiosi canti accompagnati dal suono dei tamburi e delle maracas.
Monsignor Gianotti nell’omelia ha riflettuto sul verbo “cercare”, molto importante nel Vangelo di Giovanni. “Come i discepoli – ha detto – dobbiamo comprendere che se cerchiamo qualcosa, è perché noi stessi siamo stati cercati, amati e desiderati. Vivere da cristiani è riconoscere il primato di ciò che Dio ha fatto per noi”. L’invito ai fedeli è stato quello di “declinare in questa logica le quattro azioni (accogliere, proteggere, promuovere e integrare) che papa Francesco ha usato per rispondere alla sfida delle migrazioni” nel suo messaggio per questa Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. “Comportarci in linea con queste azioni significa testimoniare non solo a parole l’accoglienza”.
Articolo completo su Il nuovo Torrazzo di sabato prossimo.
Giornata dei migranti
Parrocchia di S. Bernardino, 14 gen. 2018
L’omelia del vescovo Daniele
Non è sufficiente il gesto, pure molto significativo, con il quale i due discepoli di Giovanni il Battista si mettono a seguire Gesù (cf. Gv 1, 25-42). I gesti, i comportamenti, come si dice a volte, sono eloquenti, cioè «parlano» da sé; ma è anche vero che i gesti possono essere ambigui, poco chiari, anche per chi li compie, non solo per chi li osserva dall’esterno.
Succede così che addirittura la prima parola che sentiamo in bocca a Gesù, nel vangelo di Giovanni, sia una domanda; appunto la domanda con la quale Gesù chiede a quei due di guardare dentro a ciò che stanno facendo, nel momento in cui incominciano a seguirlo: «Che cosa cercate?».
Questo verbo, «cercare», è importante, nel quarto vangelo: basti dire che a un certo punto ha persino Dio come soggetto: Dio stesso «cerca»; cerca – dirà Gesù alla Samaritana – adoratori «in spirito e verità» (cf. Gv 4, 23). Potremmo dire anche: Egli cerca veri credenti, cerca uomini e donne che non si accontentino di una religiosità superficiale o di comodo, ma siano disposti a correre il rischio di un vero incontro con il Dio che manifesta il suo volto in Gesù Cristo.
Dio «cerca», dunque: e noi, che cosa cerchiamo? I due discepoli non rispondono direttamente alla domanda. Forse, neppure loro sanno esattamente che cosa cercano. Però, sono disposti a lasciarselo dire, poco alla volta, da Gesù stesso. Perciò intuiscono che la cosa fondamentale da fare, in questo momento, non è neppure tentare di rispondere, ma è, semplicemente, rimanere con Gesù, «dimorare» dove Lui abita (e poi il vangelo chiarirà poco alla volta che la «dimora», l’abitazione vera di Gesù, è Dio stesso, è il Padre).
Rimanendo con Gesù, ascoltandolo, guardandolo, forse anche interrogandolo, i discepoli – questi due, ma poi anche gli altri che si aggiungeranno – incominceranno a capire qualcosa; soprattutto, capiranno sempre meglio che se loro «cercano» qualcosa, o Qualcuno, prima di tutto, però, loro stessi sono stati cercati. Perché appunto in Gesù è Dio stesso che si è messo alla loro ricerca; hanno ascoltato Giovanni, il loro primo maestro, che li indirizzava a Gesù; ma capiranno che Dio stesso parlava al loro cuore, per condurli verso il suo Figlio; si mettono in cammino, ma dovranno capire che il cammino è già stato preparato per loro, e che su questo cammino Qualcuno da sempre li sta aspettando e li chiama.
Proviamo a portare via, tra i molti insegnamenti che possiamo raccogliere da questa pagina del vangelo, questa rinnovata convinzione: anche noi siamo stati cercati, chiamati, desiderati. E vivere da credenti significa riconoscere sempre il primato di ciò che Dio ha fatto e fa per noi: prima di ogni tua scelta, di ogni tuo impegno, di ogni tua risposta, Qualcuno ti cerca da sempre per farti dono della sua vita. Prima di chiamare, di pregare, sei chiamato e invocato; prima di cercare, sei cercato; prima di amare, sei amato.
Se si entra in questa logica veramente evangelica, si capisce bene anche che cosa significa la testimonianza e l’annuncio. Perché è interessante in questo testo (ed è preannunciato anche dal racconto della chiamata di Samuele) che tutti arrivano a Gesù – e, in lui, a Dio – grazie al fatto che qualcuno «si mette in mezzo»: il Battista per i primi due discepoli, Andrea per Pietro, e così via.
Perché chi si scopre cercato e amato, può offrire agli altri la testimonianza di un amore e di una ricerca che li precedono, e che sono sempre più grandi di noi. Propongo a me e a voi di guardare in questa prospettiva la 104ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebra oggi in tutta la Chiesa, e per noi qui, in modo particolare, attraverso questa Eucaristia internazionale, animata dalla comunità africana.
E vi propongo di declinare in questo senso i quattro verbi, le quattro azioni, nelle quali papa Francesco riassume il modo attento e lungimirante di rispondere alla sfida sollevata oggi dalla realtà delle migrazioni e dal dramma dei rifugiati: accogliere, proteggere, promuovere e integrare (cf. il Messaggio del Papa per questa Giornata, anticipato anche in quello per la Giornata per la pace del 1° gennaio).
Ci sono scelte e comportamenti sociali e politici, nei quali tradurre questi verbi: il papa li ricorda nei suoi messaggi, e ad essi dobbiamo e dovremo fare attenzione ed essere vigilanti. Nel contesto di questa Messa, ci basti ricordare – e ce ne sarebbe d’avanzo – che comportarci in linea con queste azioni significa testimoniare, non a parole ma con i fatti, ciò che abbiamo sperimentato, nell’incontro con il Dio di Gesù Cristo:
– accogliamo, perché siamo stati e siamo accolti dalla benevolenza gratuita e perdonante di Dio;
– proteggiamo, perché sperimentiamo la cura amorevole con la quale Dio custodisce e protegge la nostra vita;
– promuoviamo, consapevoli dal fatto che la misericordia di Dio ci ha fatto passare dall’essere schiavi all’essere figli, dalla servitù del peccato all’amicizia con lui, dalla disperazione alla speranza;
– integriamo, perché Dio ha aperto per noi la sua abitazione, ci ha fatto dimorare insieme con il suo Figlio, ha fatto di noi il suo popolo santo e ci ha dato la sua pace, togliendo i muri di divisione che ci separavano gli uni dagli altri.
Ritorniamo alla provocazione iniziale di Gesù: «che cosa cercate?». Bisogna che ci lasciamo raggiungere da questa domanda, soprattutto quando diciamo parole o compiamo azioni che hanno a che fare con il nostro rapporto con Dio.
Che cosa cerchiamo, venendo in chiesa alla domenica? Se cerchiamo ciò che Dio cerca per noi, in Cristo, le conseguenze sono chiare, perché «Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1Gv 3, 16-18); e allora saremo sicuri di aver cercato davvero ciò che Dio, per primo, cerca e vuole per noi.