STRAZIANTE VICENDA DEL PICCOLO CHARLIe

La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo “ha espropriato il papà e la mamma di Charlie della loro potestà, approvando la decisione con cui i tribunali britannici hanno negato ai genitori il diritto di curare il proprio figlio come essi desiderano. Anche se dal punto di vista clinico non vi fosse alcuna speranza, non si tratta certo di una violenza portata sul corpo del piccolo Charlie, ma di uno smisurato amore”: è ferma la reazione di Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita italiano (Mpv).
L'intervento di Gigli commenta la sentenza odierna dei giudici di Strasburgo con i quali si approvano le decisioni dei tribunali del Regno Unito sul caso del piccolo Charlie Gard, affetto da una rarissima malattia che lo obbliga, ricoverato in ospedale da ottobre scorso, a restare attaccato a un respiratore artificiale per poter vivere. La giustizia britannica si era espressa sulla base del fatto che non vi fossero cure possibili, e indicando di staccare il respiratore, portando alla morte Charlie. Tutto questo nonostante i genitori, Chris Gard e Connie Yates, continuino a essere fortemente contrari all'eutanasia, mentre stanno facendo di tutto per poter portare il loro figlio negli Stati Uniti per una cura sperimentale. A tal fine, viste le spese ingenti, hanno avviato una raccolta fondi che ha permesso di raccogliere finora il corrispettivo di 1,5 milioni di euro. Oggi dunque la Corte di Strasburgo (che dipende dal Consiglio d'Europa non dalla Ue) ha emesso la sentenza definitiva.
Gigli aggiunge: “La società dei diritti individuali, invocati e pretesi quando si tratta di scegliere la morte, arriva a negarli quando si sceglie di lottare contro la morte, fors'anche inevitabile”. La Corte europea, “nel rendere inevitabile la morte di un bambino innocente, ha tolto ogni speranza a chi gli vuole bene”. Infine: “Ci stringiamo attorno ai genitori di Charlie, già straziati dalla sofferenza della loro creatura, non senza esprimere sgomento per una sentenza irrevocabile, peraltro da applicare in un Paese che dall'Europa ha voluto uscire”.
“Straziante”, soprattutto “per i suoi genitori, per la famiglia”. Usano questo aggettivo i vescovi inglesi nel definire la decisione adottata ieri dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che stabilisce quanto già approvato dai tribunali britannici e, cioè, che si possono sospendere le cure a cui finora è stato sottoposto il piccolo Charlie Gard per mantenerlo in vita. “In questo difficile caso – si legge in una nota diffusa questa mattina dalla Conferenza episcopale inglese – tutte le parti hanno cercato di agire con integrità e per il bene di Charlie, ciascuno secondo la sua visione. Comprensibilmente, i genitori di Charlie desiderano fare di tutto pur di salvare e migliorare la sua vita. Speriamo e preghiamo che, in seguito a questa decisione, possano trovare pace nei giorni e nelle settimane a venire. Incoraggiamo anche la comunità cattolica a pregare per Charlie, per i suoi genitori e per tutti coloro che si sono occupati di lui”.
Purtroppo, si legge ancora nella nota, “la malattia terminale prolungata fa parte della condizione umana: non dovremmo mai agire con la deliberata intenzione di porre fine alla vita umana, compresa la rimozione dell'alimentazione e dell'idratazione che potrebbe provocare la morte. Dobbiamo, tuttavia qualche volta riconoscere i limiti di ciò che può essere fatto, mentre si agisce sempre umilmente al servizio del malato fino al momento della morte naturale”.
“La vita del piccolo Charlie, in Inghilterra, non è sospesa all'uso delle macchine che lo aiutano a vivere ma all'uso delle sentenze e delle parole con cui si cerca di stabilire che cosa sia meglio fare per lui”. Lo afferma in una nota Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, secondo il quale “non è facile capire la sentenza con cui la Corte europea dei diritti umani ha reso legittima la sospensione dei trattamenti sanitari nei confronti di Charlie”. A prima vista sembra che al centro della decisione ci sia il convincimento “che in questo momento sia stata superata la soglia della cura proporzionata e adeguata alla condizione patologica del bambino e si sia aperta una fase che solitamente viene definita di 'accanimento clinico'”, ma può una Corte “esprimere una simile valutazione attraverso la lettura di motivazioni e di controdeduzioni?”. Secondo Pessina, “la scelta dei genitori non può essere liquidata semplicemente come ostinazione e merita ancora prudente ascolto”.
Da osservatori esterni “non è possibile esprimere una valutazione ponderata e adeguata sulla situazione clinica, ma c'è da augurarsi che le istituzioni che si sono espresse sulla base dei pareri medici inglesi non siano state influenzate da teorie aprioristiche sulla qualità della vita che sono sempre l'anticamera della discriminazione nei confronti delle persone con gravi disabilità”. “Impedire ai genitori di ricorrere a una possibile prassi sperimentale lascia perplessi in un'epoca in cui la migliore medicina sembra essere sempre aperta alla sperimentazione e alla speranza della cura”. “Charlie – afferma Pessina – non è un caso giuridico su cui sperimentare nuove interpretazioni delle carte dei diritti e la tenuta delle competenze scientifiche: è un bambino che prima di tutto deve essere custodito nella sua fragilità e in ogni caso, fosse davvero bene sospendere i trattamenti, ha diritto a un accompagnamento alla morte che coinvolga anche i suoi genitori. La foga mediatica non aiuta certo alla comprensione”.
“La scelta della Corte europea è mortifera e risponde solo alle richieste di una società necrofila. Non si tratta di accanimento terapeutico ma di permettere ai genitori di accompagnare il loro bimbo a concludere con dignità la sua breve vita terrena”: è il commento di Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, in merito al verdetto della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) sulla vicenda di Charlie Gard, il bimbo inglese di 10 mesi per il quale l'Alta corte inglese aveva decretato di sospendere le cure. “Nel caso di Eluana Englaro fu tenuta in considerazione la scelta del padre – continua Ramonda – mentre in questo caso no. Chiediamo sia garantito sia il diritto di sostenere una vita fragile e crocifissa, sia il diritto dei genitori di tenere in vita il figlio”. “Nelle nostre case famiglia accogliamo tanti bimbi come il piccolo Charlie. Dalla nostra esperienza quotidiana al loro fianco possiamo dire che la sofferenza non è data dall'handicap o dalla malattia ma dalla solitudine che si crea a causa di queste condizioni”.