OGGI IL PAPA A GENOVA

(News.va) Il binomio inscindibile tra dignità e occupazione è stato rilanciato da Papa Francesco durante la visita pastorale di sabato 27 maggio a Genova. Nella città che rappresenta uno dei simboli dell'industrializzazione in Italia il Pontefice ha voluto iniziare gli incontri con la popolazione proprio in uno dei luoghi simbolo dell'operosità dei genovesi: lo stabilimento siderurgico Ilva di Cornigliano.
Rispondendo alle domande dei lavoratori, Francesco ha riproposto il valore della sana impresa e messo in guardia contro i rischi della speculazione e dell'idolatria del consumismo. Dopo aver ricordato commosso che il porto di Genova gli riporta alla mente la partenza di suo padre emigrato in Argentina, il Papa è entrato nel vivo del tema sottolineando che «il mondo del lavoro è una priorità umana». Purtroppo però, ha constatato, «una malattia dell'economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori», e di conseguenza – è stata la forte denuncia – si è arrivati alla situazione attuale di «ricatto sociale» in cui i lavoratori, specie quelli precari e a rischio licenziamento, stanno perdendo la loro dignità. «Perché quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale», ha chiarito Francesco richiamando l'articolo 1 della Costituzione italiana, in base al quale è possibile dire «che togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o come sia, è anticostituzionale». Da qui l'invito a «guardare senza paura, ma con responsabilità, alle trasformazioni tecnologiche dell'economia e della vita» e a «non rassegnarsi all'ideologia che sta prendendo piede ovunque, che immagina un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale». Infatti, ha concluso, «l'obiettivo vero da raggiungere non è il “reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti”. Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti».

INCONTRO CON IL CLERO
Successivamente nella cattedrale di San Lorenzo il Papa ha incontrato il clero genovese. Riprendendo l'invito del cardinale Bagnasco, ha chiesto ai presenti di unirsi alla sua preghiera per le vittime della strage di cristiani copti in Egitto del giorno precedente. Poi, interpellato dalle domande di quattro interlocutori, il Papa ha affrontato alcune questioni riguardanti l'attualità della vita sacerdotale e religiosa. Ai preti ha raccomandato di non essere statici, ma in cammino, di privilegiare «l'incontro con il Padre e l'incontro con le persone» e soprattutto la fraternità da contrapporre all'ideologia. «È tanto difficile, la fraternità, tra noi» ha commentato con una punta di amarezza, invitando a evitare il rischio «di creare quell'immagine del prete che sa tutto, non ha bisogno che gli dicano nient'altro: “Io so tutto, so tutto”. Oggi i bambini direbbero: “Questo è un prete google o wikipedia!”». Soprattutto, ha voluto dare un «consiglio ai formatori: se voi vedete un seminarista bravo, intelligente, che sembra bravo, ma è un chiacchierone, cacciatelo via. Perché dopo questa sarà un'ipoteca per la fraternità presbiterale». Riguardo alla vita religiosa e consacrata, infine Francesco ha esortato in particolare a curare «la formazione iniziale nel Paese» d'origine per evitare scandali come «la tratta delle novizie».

INCONTRO CON I GIOVANI
La mattinata del Pontefice si è conclusa tra i giovani radunati nel santuario mariano della Guardia. Vivere in missione, testardi nella speranza, con amore e coraggio, guardando la sofferenza e il dolore degli altri perché “Gesù è in ognuno di noi”. Questa l'esortazione di Papa Francesco ai giovani di Genova e delle altre diocesi liguri, nel Santuario della Madonna della Guardia, dove i ragazzi gli parlano della loro missione, quella dei giovani ai giovani, dal titolo “gioia piena”, nata dopo il Congresso eucaristico nazionale ospitato, come ricorda nel saluto il cardinale Angelo Bagnasco, l'anno scorso proprio a Genova. Si susseguono le domande, a partire da Chiara che saluta a suo modo il Pontefice: “Che bello, Santità, averla qui”.
La ragazza chiede un consiglio su come essere missionari verso i coetanei, specialmente quelli che sono vittime della droga, dell'alcool, della violenza, dell'inganno del maligno. Il Papa invita a provare la vera gioia che “nasce dal cuore”: andare in missione, dice usando il termine “missionare”, significa “lasciarsi trasformare dal Signore” e guardare con occhi nuovi, non turistici:
“È una tentazione, per i giovani, essere turisti; ma non dico fare una passeggiata là o dall'altra parte: quello è bello! No: guardare la vita con occhi di turisti, cioè superficialmente, e registrare fotografie per guardarle più avanti. Questo vuol dire che io non tocco la realtà, non guardo le cose che succedono. Non guardo le cose come sono. La prima cosa che io risponderei, per vostra trasformazione, lasciare questo atteggiamento di turisti per diventare giovani con un impegno serio con la vita”.
È la missione che ci purifica, aggiunge: “La missione ci coinvolge tutti, come popolo di Dio, ci trasforma: ci cambia lo sguardo, ci cambia il modo di andare per la vita, da turista a coinvolgersi, e ci toglie dalla testa quell'idea che ci sono gruppi, che ci sono nella Chiesa i puri e gli impuri: tutti siamo figli di Dio. Tutti peccatori e tutti con lo Spirito Santo dentro che ha la capacità di farci santi”.
Mai escludere, mai isolare, mai ignorare e anche mai aggettivare chi ci è accanto: la nostra società, spiega, tende a disprezzare l'altro, ma solo Dio può dare giudizi. Invita quindi a farsi prossimo, toccare con mano, il dolore degli ultimi: “Amare è avere la capacità di stringere la mano sporca e la capacità di guardare gli occhi di quelli che sono in situazione di degrado e dire: 'Per me, tu sei Gesù'”.
Questa, sottolinea, è la “pazzia” della fede, della Croce di Cristo, dell'annuncio del Vangelo. Esorta i giovani ad avere il coraggio dei navigatori liguri e a cercare la verità, stando attenti “a quello che ci vendono”, anche nei media: serve – prosegue – la capacità di guardare l'orizzonte, al di là dei “venditori di fumo”. Infine il pensiero, ancora una volta, ai migranti: “È normale che il Mediterraneo sia diventato un cimitero? È normale che tanti, tanti Paesi – e non lo dico dell'Italia, perché l'Italia è tanto generosa – chiudano le porte a questa gente che viene piagata e fugge dalla fame, dalla guerra, e questa è gente sfruttata e questa gente viene a cercare un po' di sicurezza? È normale? Se non è normale, io devo coinvolgermi perché questo non succeda”.

A PRANZO CON I POVERI
Dopo l'incontro con i giovani presso il Santuario della Madonna della Guardia, il Papa ha pranzato con 120 persone: tra di loro poveri, rifugiati, senza fissa dimora e detenuti. Ognuno con una storia difficile fatta di violenza ma anche di riscatto grazie alla fede come nel caso di Giovanni, uno slovacco che da anni dorme in strada.

ALL'OSPEDALE PEDIATRICO GASLINI
Come aveva promesso, parlando dai microfoni dell'emittente “Radio fra le note”, lo scorso mercoledì, Francesco porta la carezza di Gesù ai piccoli dell'Ospedale pediatrico Gaslini di Genova, che da 80 anni si dedica con passione e competenza all'assistenza dell'infanzia. Una tappa – dice il Papa – salutando medici, personale e famiglie dei pazienti, radunatisi sul piazzale che di certo non poteva mancare, perché la sofferenza dei piccoli è la più dura da accettare e in assenza di risposte alla domanda sul “perché soffrono i bambini?”, il Pontefice antepone, di nuovo, il messaggio della Croce, il fermarsi a guardare, ma soprattutto a toccare la sofferenza della carne.
“Il Signore mi chiama a stare, anche se brevemente, vicino a questi bambini e ragazzi e ai loro familiari. Tante volte mi faccio e mi rifaccio la domanda: perché soffrono i bambini? E non trovo spiegazione. Solo guardo il Crocifisso e mi fermo lì”. Ecco perché del personale di questa struttura il Papa loda la professionalità, la dedizione nelle cure specialistiche rivolte ai piccoli pazienti, ma non solo: “Loro infatti hanno bisogno anche dei vostri gesti di amicizia, della vostra comprensione, del vostro affetto e sostegno paterno e materno”.
Francesco rievoca la storia del nosocomio, nato come atto d'amore del Senatore Gaslini, che per onorare la figlia Giannina, morta in tenera età, decide di spogliarsi di tutti i suoi beni, e dar vita a questa struttura conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, stabilendo però nell'atto di fondazione che sempre fosse animata e ispirata dalla fede cattolica: “Noi sappiamo che la fede opera soprattutto attraverso la carità e senza di questa è morta. Perciò incoraggio tutti voi a svolgere la vostra delicata opera spinti dalla carità, pensando spesso al 'buon samaritano' del Vangelo: attenti alle necessità dei vostri piccoli pazienti, chinandovi con tenerezza sulle loro fragilità, e vedendo in loro il Signore. Chi serve i malati con amore serve Gesù che ci apre il Regno dei cieli”.
Da qui l'invito che il Gaslini possa continuare ad essere simbolo di generosità e solidarietà e proseguire, restando fedele alla sua missione, l'opera di cura e di ricerca mediante anche l'apporto e il contributo generoso e disinteressato di tutte le categorie e a tutti i livelli.
Prima del saluto pubblico, la visita privata, fuori dall'occhio delle telecamere nel reparto di rianimazione e terapia intensiva, cuore dell'ospedale. Il Papa si fa padre e madre in questo santuario di sofferenza e tenerezza andando subito a pregare per i piccoli pazienti, ricoverati nel reparto 16, che lottano tra la vita e la morte. Nel corridoio però oltre cento bimbi coi loro genitori hanno lasciato i letti per incontrare Francesco. Nessuno resta senza i suoi abbracci, senza i sorrisi. E qui, tra le mura di questo luogo, che ammutolisce la mente, è il suo sguardo di amore e speranza a trionfare sulle parole.
Al termine della visita, un pensiero scritto a mano sul Libro d'onore. “A tutti coloro che lavorano in questo Ospedale, dove il dolore trova tenerezza, amore e guarigione, ringrazio di cuore il loro lavoro, la loro umanità, le loro carezze a tanti bambini che, da piccoli, portano la croce. Con ammirazione e gratitudine. E, per favore, non dimenticateVi di pregare per me”.

LA MESSA ALLA FIERA DEL MARE
Una folla di migliaia di persone ha accolto Papa Francesco nel pomeriggio arrivato a piazzale Kennedy sulla papamobile letteralmente avvolto dagli applausi dall'affetto dei genovesi. L'impressione è che quasi l'intera città e non solo si sia riversata nell'area della Fiera del Mare, dove sono state necessarie 28 torri di amplificazione e diversi maxischermi per garantire a tutti di pregare con il Papa che ha presieduto la Santa Messa.
E la preghiera e lo slancio missionario sono stati i cardini della sua omelia. Gesù ha unito per ogni uomo la “terra al cielo” – ha detto – sottolineando che “quando Gesù è asceso al Padre la nostra carne umana ha varcato la soglia del cielo” e che “Dio non si staccherà mai dall'uomo”. La prima parola chiave che il Papa ha usato è stata intercessione: “Gesù presso il Padre intercede ogni giorno, ogni momento per noi. In ogni preghiera, in ogni nostra richiesta di perdono”.
La preghiera è dunque la via per affidare una “persona”, “una situazione” importante a Dio. “Il mondo, noi stessi ne abbiamo bisogno” – ha proseguito – evidenziando la frenesia della vita quotidiana che ci fa rischiare di arrivare “a sera stanchi e con l'anima appesantita”. “Vivendo sempre tra tante corse e cose da fare – ha proseguito -, ci possiamo smarrire, rinchiudere in noi stessi e diventare inquieti per un nulla”.
La soluzione per Francesco è “gettare l'ancora in Dio” dando “a Lui i pesi, le persone e le situazioni”, affidandogli tutto. “È questa la forza della preghiera – ha ripreso – che collega cielo e terra, che permette a Dio di entrare nel nostro tempo”.
“La preghiera cristiana non è un modo per stare un po' più in pace con sé stessi o trovare qualche armonia interiore”, ma se la preghiera è intercessione – ha aggiunto – in essa c'è tutto un dinamismo che configura la “carità”. Una carità che non prevarica e non grida “secondo la logica di questo mondo”, ma esercita “la forza mite della preghiera” con la quale “si possono anche fermare le guerre e ottenere la pace”. Quindi “come Gesù intercede sempre per noi presso il Padre così noi suoi discepoli non stanchiamoci mai di pregare per avvicinare la terra al cielo”.
L'annuncio e quindi la missione in nome di Cristo, è stata la seconda parola chiave e sfida proposta dal Papa. Il “Vangelo – ha detto – non può essere rinchiuso e sigillato, perché l'amore di Dio è dinamico e vuole raggiungere tutti”. “Per annunciare, allora, occorre andare, uscire da sé stessi. Con il Signore non si può stare quieti, accomodati nel proprio mondo”.
“Il Signore rilancia sempre – ha chiarito – ci vuole in uscita, liberi dalla tentazione di accontentarci quando stiamo bene e abbiamo tutto sotto controllo”. “Il cristiano non è fermo, ma in cammino: col Signore verso gli altri”.
Il cristiano – ha detto – è un “pellegrino, un missionario, un maratoneta speranzoso”, mite, “ma deciso nel camminare; fiducioso e al tempo stesso attivo; creativo ma sempre rispettoso; intraprendente e aperto; laborioso e solidale”. Ha parlato di “urgenza della missione”, per portare un annuncio di gioia con la forza limpida e mite della testimonianza in Cristo, lasciando stare le “chiacchiere” e le “finte discussioni di chi ascolta solo sé stesso”. Il Papa ha dunque esortato a lavorare “concretamente per il bene comune e la pace”. “Mettiamoci in gioco con coraggio – ha concluso – convinti che c'è più gioia nel dare che nel ricevere”.