Non nemici, ma fratelli. Capaci di scendere dal monte verso la “pianura” dei nostri popoli, per sostenerne la speranza, aprendo “i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità”. È l'identikit dei cardinali, nelle parole cesellate da Papa Francesco per il suo terzo Concistoro, alla vigilia della chiusura dell'Anno Santo straordinario della misericordia.
“Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze”, l'affresco dipinto dal Successore di Pietro, che oggi nella basilica vaticana ha creato 17 nuovi cardinali – tutti presenti tranne il cardinale del Lesotho, 86 anni, per impedimenti legati all'età – di cui tredici con meno di ottant'anni e dunque elettori in un eventuale Conclave più quattro ultraottantenni.
“Il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata”, la consegna di Francesco, che ha messo in guardia dal “virus della polarizzazione e dell'inimicizia” presente anche nella Chiesa. L'abbraccio fraterno, intenso e prolungato, tra le “nuove” e le “vecchie” porpore, che ha fatto seguito alla consegna della berretta e dell'anello, e all'assegnazione dei titoli e delle diaconie nelle chiese di Roma, si è prolungato nell'abbraccio al Papa emerito, raggiunto dopo il rito, in pullman, dai cardinali nel Monastero Mater Ecclesiae. In quasi quattro anni di pontificato, Papa Francesco ha creato 55 nuovi cardinali, di cui 44 elettori e 11 non elettori. Il collegio cardinalizio è ora composto da 228 porporati, di cui 121 elettori e 107 non elettori. Vi sono rappresentati i 5 continenti con 79 Paesi, 60 dei quali hanno cardinali elettori.
“Amate, fate il bene, benedite e pregate”.
Sono “quattro imperativi, quattro esortazioni” per plasmare la propria “vocazione nella concretezza, nella quotidianità dell'esistenza”. Il Papa li indica subito, spiegando che seguire Gesù è “mettersi in cammino verso la pianura”, verso il “cuore della folla”, in mezzo ai suoi tormenti, sul piano della vita. Il problema nasce quando si aggiungono i destinatari: “Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male”. “E queste non sono azioni che vengono spontanee con chi sta davanti a noi come un avversario, come un nemico”: allora cerchiamo di “squalificarli, screditarli, maledirli, demonizzarli”, per toglierceli di torno.
“Il nemico è qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno”.
Sono le parole del Papa dedicate alla descrizione dell'amore di Dio, che “ha il sapore della fedeltà verso le persone, perché è un amore viscerale, un amore materno/paterno che non le lascia nell'abbandono, anche quando hanno sbagliato”.
“Giudicare, dividere, opporre e condannare” non sono verbi che appartengono al vocabolario cristiano: “Nessuna mano sporca può impedire che Dio ponga in quella mano la Vita che desidera regalarci”.
“Il virus della polarizzazione e dell'inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire”, la tesi di fondo di Francesco, che ammonisce: “Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l'universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo Collegio Cardinalizio”.
“Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze”.
“Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l'esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti”, la sua diagnosi: “Chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico.
Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un'altra fede. Nemico per. E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere”. Così, “tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza”.
“Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell'indifferenza!”, esclama Francesco: “Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni”.
“Come Chiesa, continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità”, l'invito che apre la parte finale dell'omelia. “Gesù continua a chiamarci e ad inviarci nella 'pianura' dei nostri popoli”, perché “il cammino verso il cielo inizia nella pianura”, dice il Papa chiamando “caro fratello” ogni nuovo porporato. Li guarda dritto negli occhi, Francesco, per esortarli – alla vigilia della chiusura del Giubileo – ad essere “misericordiosi come il Padre”.
Tra i cardinali che, papa ha crearto, un semplice prete di 88 anni, don Ernest Simon Troshani della diocesi di Scutari, arrestato nel 1963 dalla polizia comunista e liberato solo nel 1991, dopo 28 anni di prigionia e lavori forzati. Sabato scorso era uno degli ospiti di riguardo della grande celebrazione per la beatificazione di 38 martiri albanesi del comunismo a Scutari.
Una scelta profetica quella di Francesco che, il 21 settembre 2014, a Tirana, aveva ascoltato la toccante testimonianza del sacerdote albanese e ne era stato profondamente colpito, fino alle lacrime. L'aveva abbracciato e gli aveva baciato le mani.
Don Ernest è l'unico sacerdote vivente – assieme a una religiosa – testimone della persecuzione del regime di Enver Hoxha, che aveva proclamato l'Albania il “primo Stato ateo al mondo” e aveva perseguitato cristiani cattolici e ortodossi insieme a musulmani.
È nato il 18 ottobre 1928 a Troshani, un villaggio a pochi chilometri da Scutari, in una famiglia profondamente religiosa. All'età di dieci anni entrò nel collegio dei francescani per la formazione al sacerdozio. Nel 1948, nel pieno delle persecuzioni messe in atto dal regime comunista di Enver Hoxha, anche il convento dei francescani venne saccheggiato e trasformato in luogo di tortura per i prigionieri. I frati vennero tutti fucilati e i novizi espulsi. Ernest aveva vent'anni e fu quindi inviato dal regime a insegnare in uno sperduto villaggio sulle montagne. Dopo due anni di durissimo servizio militare (1953-55), concluse clandestinamente gli studi in teologia e il 7 aprile 1956 fu ordinato sacerdote a Scutari.
Il 24 dicembre 1963, dopo la Messa di Natale, fu arrestato e portato nel carcere di Scutari, in cella d'isolamento. Condannato a morte, la pena fu commutata in 25 anni di lavori forzati. In prigione divenne padre spirituale dei carcerati e loro punto di riferimento. Il 22 maggio 1973 venne nuovamente condannato a morte come presunto istigatore di una rivolta, ma per la testimonianza a suo favore dei carcerieri la condanna non fu eseguita. Fu considerato “nemico del popolo” e obbligato a lavorare nelle fogne di Scutari. Esercitò il ministero del sacerdozio clandestinamente, fino alla caduta del regime nel 1990.
“Sentire parlare un martire del proprio martirio è forte – disse il Papa ai giornalisti dopo aver ascoltato la testimonianza di don Ernest – credo che eravamo tutti commossi per questi testimoni che parlavano con naturalezza e con umiltà e sembravano quasi raccontare le storie della vita di un altro”.
Il nostro giornale ha intervistato don Troshani il 5 novembre a Scutari e ha pubblicato l'intervista il successivo 12 novembre. La riportiano.
SCUTARI: LA TESTIMONIANZA DI COLUI
CHE IL PAPA HA DEFINITO “MARTIRE VIVENTE”
Nostra intervista a don Ernest Troshani: sabato 19 il Santo Padre lo farà cardinale
Siamo al Villaggio della Pace di Scutari, al termine della liturgia di beatificazione dei 38 martiri albanesi, sabato scorso. Pranzo con sacerdoti e vescovi, ma il mio obiettivo è là, sul tavolo principale dove siedono, al centro, mons. Angelo Massafra, il vescovo di Scutari, il card. Bagnasco, il card. Sepe e – accanto a lui – un umile prete anziano di 88 anni, dai capelli bianchi, vestito poveramente. È don Ernest Simon Troshani, il sacerdote albanese che è sopravvissuto alle persecuzioni del Comunismo dopo 28 anni di prigionia e di torture. È lui il mio obiettivo. Voglio parlargli, farmi dire qualche parola, le parole di un “martire vivente” come lo ha definito papa Francesco, ascoltando il quale anche il successore di Pietro pianse. È molto disponibile, lo accompagna un nipote che abita a Firenze. Mi risponde.
Cosa ha pensato quando il Papa lo ha scelto cardinale”
“Dieci giorni prima eravamo insieme a pranzo ad Assisi e non mi ha detto niente, abbiamo parlato a lungo di altre questioni. Poi – ero a Pistoia – all'Angelus della domenica seguente, che sento ogni settimana da Radio Maria, ascolto l'elenco dei cardinali…. e il diciasettesimo ero io! Non credevo né ai miei occhi né alle mie orecchie: non è possibile! Ho aperto il cellulare e ho visto la conferma su Ave Maria di padre Livio. Sono rimasto titubante: ho ringraziato il Signore se è utile per ravvivare la fede, per avvicinare le anime a Gesù e alla Madonna.”
Mi racconta la sua esperienza?
“Sono stato in prigione per 29 anni, compreso il servizio militare che è stato peggio della prigione: 17 ore al giorno sotto le mitraglie sulle montagne: è il Signore che ci ha salvato! Quando sono stato liberato mi hanno fatto pulire i pozzi neri della città per farmi vedere alla popolazione: così noi trattiamo i nemici del popolo, coloro che credono in Dio. Una punizione doppia. Ero condannato a pulire le fogne per tutta la vita. La liberazione è venuta nel '91, quando ero appunto ai lavori forzati nelle fogne.
La liberazione è stata una grande gioia…
Sorride. “Oggi – continua – tutto è passato, perdoniamo tutti, ma oggi dobbiamo ricuperare la fede: Gesù è espulso dalla vita quotidiana della gente. È terribile. Quello che non hanno fatto i dittatori lo fa il consumismo. Oggi bisogna convertire la gente perché come ha detto Giona: 'Se non vi convertirete…' Convertiamoci dunque con tre rosari al giorno, con la santità del matrimonio, la dedicazione al Sacro Cuore di Gesù la mortificazione e la penitenza: solo questo può salvare il mondo… e amate Gesù!”
Al Papa aveva raccontato: “Celebravo la Messa tutti i giorni, a memoria, in latino, sfruttando ciò che avevo a disposizione. L'ostia la cuocevo di nascosto su piccoli fornelli a petrolio che servivano per il lavoro. Se non potevo utilizzare il fornello, mettevo da parte un po' di legna secca e accendevo il fuoco. Il vino lo sostituivo con il succo dei chicchi d'uva che spremevo. E d'inverno utilizzavo delle boccette con il vino che mi portavano i miei parenti”.