“E’ chiaro. La fuga da Tokyo dell’atleta bielorussa così come il ritrovamento dell’attivista impiccato a Kiev, vanno letti nel più vasto contesto di uno Stato sempre più repressivo di Lukashenko”. Va dritto al punto, senza girarci attorno, Aldo Ferrari, professore ordinario presso l’Università Ca’Foscari di Venezia e fondatore di Asiac (Associazione per lo Studio in Italia dell’Asia Centrale e del Caucaso).
Manifestazioni contro il presidente Lukashenko
La velocista bielorussa Krystsina Tsimanouskaya è arrivata il 4 agosto in Polonia dopo essere letteralmente scappata dal Giappone, dove partecipava alle Olimpiadi. La colpa è stata quella di aver criticato sui social i suoi tecnici, esprimendo timori per la sua vita. Tsimanouskaya è una delle oltre 2 mila personalità sportive bielorusse che hanno firmato una lettera aperta per chiedere nuove elezioni e la liberazione dei prigionieri politici, in pieno contrasto con il governo di Alexander Lukashenko. Arrivata in Polonia, ha ricevuto un visto umanitario in attesa di ottenere asilo politico.
“E’ ormai un anno che il Paese si trova in una situazione così”, commenta subito il prof. Ferrari. “Ci sono state manifestazioni contro il presidente Lukashenko molto intense, ma Lukashenko è ancora lì. Governa il Paese, alternando misure di carota e tanto bastone, con il sostegno di Mosca. E’ ancora in sella, con una opposizione priva di un leader riconosciuto e sistematicamente repressa”.
Quasi in contemporanea alla vicenda dell’atleta a Tokyo, è stato ritrovato impiccato a Kiev, Vitalij Shishov, attivista bielorusso che con la sua ong, aiutava i suoi compatrioti in Ucraina per fuggire alla repressione di Minsk. Cosa si sa di certo su queste vicende?
“Affermare che siano stati agenti di Lukashenko ad uccidere l’attivista a Kiev, è impossibile. Plausibile, ma non certo perché non ci sono prove. Sono situazioni difficilissime da giudicare che rasentano quasi lo spionaggio. Più chiara invece è la vicenda dell’atleta, perseguitata per aver detto parole imprudenti e intercettate sui social dal regime.
Questo dimostra quanto a Minsk, Lukashenko si senta sufficientemente forte per fare azioni di questo tipo. Insomma, piaccia o non piaccia, il presidente è ancora in sella.”
Kiev, Minsk, Mosca. Cosa sta succedendo in quell’area, professore? L’Europa si deve preoccupare?
“Sono paesi che hanno dinamiche storiche, culturali e politiche di lunga durata. I Paesi Baltici e la Polonia odiano la Russia e operano in senso anti-russo. L’Ucraina ha una posizione diversa e più complessa. Dal 2014 si è posizionata sul fronte occidentale e agisce in accordo con i Paesi Baltici e la Polonia contro Lukashenko, visto come l’ultimo dittatore d’Europa, vicino a Putin.
Sono tendenze consolidate che andranno presumibilmente avanti per anni. Non è ipotizzabile il crollo dell’attuale regime in Bielorussia da qui a qualche mese. L’opposizione ha raggiunto il suo massimo livello più di un anno fa, ma da allora è in declino. Tutti gli oppositori sono stati espulsi, arrestati, terrorizzati. Ogni voce critica è soffocata al nascere. Al momento, purtroppo, non si prevede un cambiamento politico di rilievo in questo paese. Così come non si prevede un processo di democratizzazione in Russia.”
Sta dicendo che alla fine, a vincere è sempre il dittatore?
“Questi Paesi non sono occupati da dittatori che si impadroniscono di uno Stato con un colpo di Stato. Sono persone espressione della storia, della politica e della realtà di quei Paesi. Si può auspicare maggiore libertà, maggiore democrazia ma con il realismo di chi sa e deve sapere che la storia non è uguale per tutti. Noi occidentali ci siamo illusi che il nostro processo di liberalizzazione e democratizzazione fosse destinato ad espandersi nel mondo, ma vediamo che non è andata così. È raro che le proteste di piazza portino a un esito positivo. Il comunismo è crollato non per i dissidenti o le manifestazioni, ma perché è imploso su se stesso. C’era molto speranza anche per le primavere arabe, ma oggi quei Paesi sono tornati al punto di partenza nonostante tutto il sangue versato.
Insomma, non possiamo pensare e aspettare che i processi storici vadano come noi li ipotizziamo e nei tempi che desideriamo.”
E come vanno invece?
“A volte siamo ciechi o si valuta l’altro con i propri occhi e i propri parametri, non capendo che i processi e i punti di riferimento possono essere diversi. La libertà politica, le libertà civili e la democrazia sono per noi occidentali valori importanti che abbiamo conquistato in secoli di storia. Altrove non è così. Il mondo sta cambiando e per capirlo, occorre sempre più maturare quello che io chiamo, il realismo storico politico. Per troppo tempo, l’Occidente è stato al centro del mondo. Ha dettato le regole, anche con le conquiste militari e coloniali. Per secoli, abbiamo governato i processi.
Oggi il mondo è multipolare. Stanno emergendo altri poli oltre l’Europa e gli Stati Uniti. Sono poli che vanno per la loro strada e questa strada non è la nostra. Lo dobbiamo capire. Lo dobbiamo accettare evitando di fare la lezione di morale e democrazia agli altri.”
Il caso dell’atleta bielorussa dimostra che tutto è interconnesso e che le ferite della storia entrano anche nei giochi olimpici.
“Mi vengono in mente i boicottaggi che ci sono stati nella storia delle Olimpiadi, quelli degli Stati Uniti ai danni dell’allora Unione Sovietica quando invase l’Afghanistan. E quattro anni dopo, per ritorsione, la non partecipazione del blocco dell’Est alle Olimpiadi. Furono intromissioni della politica nei giochi olimpici ma, se ben ricordiamo, non modificarono la realtà. Le olimpiadi sono un grande evento sportivo mediatico che purtroppo non riescono alla fine ad avere alcun impatto sulle realtà storiche.”