COMMEMORATO MONS. MANZIANA

Serata di studio e di ricordi, giovedì sera, presso la Sala Rossa dell'episcopio, per la presentazione del volume su mons. Carlo Manziana pubblicato dalla Morcelliana Una Chiesa secondo il Concilio. Il ministero episcopale di Carlo Manziana a Crema (1964-1982). Presenti il vescovo Daniele, il prof. Giorgio Vecchio e il vescovo mons. Carlo Ghidelli, per 17 anni segretario di Manziana. Numeroso il pubblico. Ha introdotto il prof. Romano Dasti.
“All'interno di numerosi studi sull'episcopato italiano dopo il Concilio Ecumenico (uno anche del prof. Daniele Gianotti) – ha detto Vecchio intervenendo per primo – il volume su mons. Manziana presenta il vescovo di Crema all'interno di un episcopato in ritardo sul Concilio stesso.” Paolo VI ne era consapevole e lavorava sulla CEI e sull'Azione Cattolica, per garantire la convivenza tra innovazione e conservazione.
Vecchio ha colto sinteticamente i risultati dei diversi saggi raccolti nel volume: De Giorgi ha indagato gli anni della formazione di Manziana all'Oratorio della Pace, dei suoi legami con i Montini e il card. Bevilacqua. Ne viene la caratteristica del cattolicesimo bresciano: un cauto e pragmatico ottimismo.
Trionfini e lo stesso Vecchio illustrano Manziana vescovo di Crema per lunghi anni, durante i quali il mondo cambiò profondamente. Il suo esordio nell'episcopato fu quello di non proporre subito dei programmi, ma uno stile. Diceva inoltre che erano necessarie intelligenze consapevoli, cuori entusiasti e volontà salde. E ha toccato i punti salienti del suo impegno: la realizzazione dei consigli pastorali, la promozione della Parola di Dio, la riforma liturgica, la riforma catechistica, la scoperta della pastorale della famiglia e i primi passi di quella che sarà la Caritas.
Delicato il rapporto con le intemperanze delle generazioni giovanili che si riflettevano sul clero, all'interno del processo di secolarizzazione. Manziana parlava di “mentalità immanentista”, metteva in guardia sui rischi dell'assemblearismo e, dagli anni '70, usò parole ancora più stringenti come “la gravità dell'ora”.
Non mancarono le sofferenze, innanzitutto il travaglio che viveva con l'amico Paolo VI in una stagione drammatica per l'Italia (basti ricordare il martirio di Bachelet e Moro) e poi quelle dettate da alcune lettere di preti; persino le accuse di fascismo… lui che era stato a Dachau! Infine ebbe la sofferenza di non vedere sempre realizzate le sue aspirazioni.
Nel volume don Lameri parla del rinnovamento liturgico e Maraviglia dell'ecumenismo. “Ne emerge – ha detto Vecchio – la valenza nazionale di Manziana grazie al quale Crema è stata, per certi aspetti, all'avanguardia in Italia.” E si è riferito soprattutto all'ecumenismo, nato a Dachau tra deportati di varie confessioni. Ex deportati che si troveranno periodicamente anche nei Paesi dell'Est, dove Manziana conobbe Wojtyla.
All'incontro è intervenuto anche il vescovo Daniele. Ha confessato che, prima del 27 dicembre scorso, sapeva associare a Crema solo il nome di Manziana e non molto di più. Leggendo il libro molti fatti l'hanno colpito. L'opera di p. Manziana nella Morcelliana con la pubblicazione di teologi francesi che hanno contribuito al rinnovamento della teologia e alla preparazione del Concilio; il riferimento costante a Paolo VI; la tensione di far entrare la novità del Concilio in un tessuto positivamente tradizionale (impegno che deve continuare anche oggi); il prevalere dell'impegno a mantenere la comunione ecclesiale, prima dell'urgenza dell'evangelizzazione. “Per me, indegno successore – ha concluso – la grande sfida di cogliere la sua eredità.”
Terzo intervento della serata quello di mons. Ghidelli che ha offerto la sua testimonianza di segretario, sottolineando alcuni aspetti della personalità di Manziana. Innanzitutto non avrebbe mai immaginato di diventare vescovo e ha fatto una grande fatica a staccarsi dalla Pace, ma bastarono poche settimane perché s'innamorasse di Crema. Era consapevole dei suoi limiti: non aveva conseguito una laurea, ma si era impegnato personalmente a coltivare studi biblici e patristici. Gli stava molto a cuore la verità e non aveva pudore a manifestare intransigenza verso se stesso e verso gli altri per amore della verità stessa. Amava la conversazione con persone istruite: la sua predicazione si adattava di più agli adulti e meno ai bambini. Aveva la capacità di leggere nel cuore delle persone. Forte, infine, il suo impegno ascetico.
“Fu padre conciliare nelle ultime due sessioni – ha concluso Ghidelli – ma non ha potuto dare un suo contributo personale. In compenso è stato fedelissimo nella partecipazione a tutte le sedute, pur tornando a Crema in ogni weekend”.