Messa internazionale questa sera in cattedrale, in occasione della 109a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Presenti numerosi immigrati di varie nazionalità. Ha presieduto l’Eucarestia il vescovo Daniele, al suo fianco il diacono Claudio Dagheti direttore della Caritas; ha diretto la serata il responsabile diocesano per le migrazioni Enrico Fantoni.
Inizio con l’intervento di Alla, una rifugiata ucraina, che ha raccontato la sua vicenda e la fuga dal suo Paese travolto dalla guerra (sotto l’intervento completo).
Poi canto del Gloria in spagnolo, prima lettura in lingua inglese, salmo responsoriale in lingua francese, seconda lettura ancora in lingua spagnola, Vangelo in italiano.
Il Vescovo Daniele, commentando il Vangelo si è rifatto al Messaggio di Papa Francesco Liberi di scegliere se migrare o restare sottolineando come il Santo Padre vada alla radice del problema delle migrazioni. Si è poi rifatto alla Costituzione e alla DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI (artt. 13 e 14) per confermare il diritto di una persona a emigrare e ad essere accolta o a restare nel proprio Paese.
Dopo aver fatto riferimento all’intervento della rifugiata Alla, ha commentato il Vangelo: nessuno deve guardare a che cosa otterrà, nel momento in cui decide di impegnarsi nella vigna del Signore, per il bene dei fratelli.
All’offertorio i doni sono stati portati da alcuni immigrati. Quindi la celebrazione della Cena del Signore; il segno della pace con un canto in spagnolo, la comunione e la conclusione con la preghiera composta dal Papa per la giornata delle Migrazioni:
Dio, Padre onnipotente,
donaci la grazia di impegnarci operosamente
a favore della giustizia, della solidarietà e della pace,
affinché a tutti i tuoi figli sia assicurata
la libertà di scegliere se migrare o restare.
Donaci il coraggio di denunciare
tutti gli orrori del nostro mondo,
di lottare contro ogni ingiustizia
che deturpa la bellezza delle tue creature
e l’armonia della nostra casa comune.
Sostienici con la forza del tuo Spirito,
perché possiamo manifestare la tua tenerezza
ad ogni migrante che poni sul nostro cammino
e diffondere nei cuori e in ogni ambiente
la cultura dell’incontro e della cura.
Al termine della Messa Enrico Fantoni ha ringraziato tutti i partecipanti e il Vescovo Daniele.
Di seguito, nel cortile dell’episcopio abbondante rinfresco per tutti.
LA BELLA TESTIMONIANZA DI ALLA, RIFUGIATA UCRAINA
Buonasera, mi chiamo Alla e sono una rifugiata ucraina.
Un anno e mezzo fa ho lasciato il mio Paese, l’Ucraina, dove da una settimana era iniziata la guerra.
Una di quelle mattine, uscita dal rifugio, sono salita nel mio appartamento: i muri della casa tremavano per le esplosioni. Il mio appartamento si trova al ventunesimo piano di un edificio che si affaccia su una delle più pittoresche colline di Kiev. E da qui si apre una meravigliosa vista panoramica della città. Stavo alla finestra e immaginavo, quasi come in un sogno, che da queste finestre avrei un domani ammirato le albe e i tramonti con la mia futura famiglia e i miei figli. Ma quella mattina ero completamente sola, mi sentivo disperata. Ho visto la mia città in fiamme, ho sentito un tuffo al cuore quando un razzo che volava sopra di me. Dopo pochi secondi é esploso, lasciando spazio solo ad un sonoro “boom”.
Era assolutamente ovvio che la guerra non sarebbe finita nel giro di un paio di giorni. Ho preparato due zaini con tutto l’essenziale, cercando di scacciare ogni brutto pensiero, ma la domanda che mi risuonava in testa era sempre la stessa: e se non fossi mai più tornata qui? Come avrei potuto lasciare tutto ciò che mi era così caro? Come avrei potuto lasciare i miei sogni, progetti, piani, prospettive di carriera, e tutto ciò per cui ho lavorato e lottato in tutta la mia vita?
Ho chiuso la porta e sono uscita verso l’ignoto. Camminando lungo la strada verso la stazione ferroviaria, ho sentito dietro di me una serie di colpi di mitragliatrice, ma non aveva più importanza, non mi faceva nemmeno più paura. Non mi sono voltata e ho proseguito, non c’era nessun posto dove correre.
Alla stazione non circolavano più treni secondo le indicazioni che venivano fornite. Tutti i treni portavano semplicemente le persone fuori Kiev, abbastanza lontano dal confine con la Russia e la Bielorussia. Il treno ci ha lasciati a duecento chilometri da Kiev in una piccola stazione dove ci è stato detto di aspettare il treno successivo, che però non è mai arrivato.
Di notte, per strada, a febbraio faceva molto freddo, la piccola stazione ferroviaria era piena di persone, i treni in transito non si fermavano perché anche loro erano pieni di gente. Alle due del mattino sono riuscita a prendere un treno per Leopoli, ho trovato posto sui gradini del treno e mi è sembrato il posto più comodo di tutto il mondo.
A Leopoli siamo arrivati verso le sette di mattina. La cittá sembrava scoppiare tanta era la confusione. Era impossibile entrare nella stazione, tanto che qui ci dissero che presto sarebbe arrivato un treno diretto in Polonia. Questa era l’unica opzione per sfuggire al freddo. Sono stata per tre giorni sul quel treno fermo in stazione. Era fermo perché davanti a quel treno c’è n’era un altro e poi davanti un altro ancora e cosi via fino al confine. Ho imparato a dormire in piedi su quel treno.
Ma la guerra non si è fermata né quel giorno e neanche oggi. La guerra e la violenza continuano ogni giorno in Ucraina, e se continuerà così, non sono nemmeno sicura che rimarrà qualcosa del mio paese e della mia casa. E se anche dovesse rimanere qualcosa dopo la sua fine, mi chiedo che cosa rimarrà?
Molte persone dicono che gli ucraini sono cupi e sorridono raramente, questo è vero. La guerra rimuove tutta la gioia e la speranza da ogni persona e in cambio dà un sentimento di paura, tristezza e rabbia.
Ricordo che quando sono atterrata all’aeroporto di Milano, e mi sono ritrovata nella piazza centrale, mi sembrava di essere in una realtà parallela: la gente sorrideva, rideva, faceva foto. Ho capito che la vita continua e che qui in Italia non c’era la guerra, ma io dentro di me stavo semplicemente soffocando dalle lacrime e la disperazione.
Probabilmente tutti i rifugiati hanno dimenticato come si sogna in grande, non sogniamo più appartamenti, automobili o viaggi. Abbiamo solo un sogno per tutti: la pace nei nostri paesi.
Quando questa settimana in Lombardia è stato testato il sistema di allarme di emergenza, lo stesso tremore ha attraversato tutto il mio corpo. Perché quella sensazione di pericolo è tornata. La guerra lascia non solo traumi fisici nel nostro corpo, ma anche traumi psicologici nei nostri pensieri e nella nostra anima.
Molte persone come me hanno ricominciato la loro vita da zero: provi ad imparare la lingua, ad adattarti ai costumi e alle persone intorno a te. La cosa piu difficile è quando hai la sensazione che non ti sentirai mai più come a casa tua, perchè ora puoi fare affidamento solo te stesso, ovunque solo con te.
Ma all’improvviso ti rendi anche conto che hai bisogno di molte meno cose, perchè hai imparato a vivere e a far a meno di molte cose.
Ora non c’è casa da nessuna parte, casa sei tu stesso. Inizi a lavorare e a crescere con te stesso e per te stesso, ed è spaventoso. Ci vuole molta forza per non cadere nella depressione. Molti ucraini hanno scelto di tornare a casa nonostante la guerra. Perché non sono stati in grado di adattarsi e a superare il trauma della svalutazione della persona e della loro vita. Qual è il significato della vita adesso se non vale nulla? Ritornare alla vita normale dopo aver visto tutti gli orrori della guerra è probabilmente uno dei compiti più difficili per una persona.
Mi dicono: “beh, ora va tutto bene, hai un lavoro, un alloggio e un cielo sereno sopra la tua testa”. Io sorrido e rispondo che sì, ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che mi hanno aiutata, che mi hanno teso la mano e alle quali sono molto grata. In primis ai volontari, a tutti gli operatori e al direttore della Caritas, oltre che al mio datore di lavoro e ai miei colleghi.
Purtroppo però ancora non sanno che ogni notte dentro di me tutto è lacerato dal pensiero per i miei genitori, dall’incertezza e dall’impotenza. Mi sveglio per colpa di terribili incubi o semplicemente non riesco a dormire. Invece mi piacciono quelle mattine in cui mi sveglio e mi sembra di essere nel mio appartamento a Kiev. Quelle mattine in cui sembra che tutto quello che è successo negli ultimi due anni sia solo un brutto sogno.
Non ricordo dove, ma una volta ho sentito una frase su come sopravvivere anche al dolore più terribile: diceva di pregare Dio e continuare a vivere. Quello che vorrei stasera con voi é pregare tutti Dio per la pace e per la vita.
Grazie.