Dal Vangelo secondo Giovanni 6, 51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
I due eventi prodigiosi a opera di Gesù
Il ritmo dell’anno liturgico, dopo averci dato la possibilità di entrare nell’intimità di Dio attraverso la celebrazione e la contemplazione dei grandi misteri della Pasqua, della Pentecoste e del suo essere Uno in Tre Persone nella Trinità, come per dare ristoro e rifocillarci interiormente in questo impegnativo viaggio spirituale, offre l’opportunità di soffermarci e attingere a piene mani al dono grande dell’Eucaristia nella suggestiva solennità del Corpus Domini.
Il brano evangelico, tratto dal capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, segue alla narrazione di due eventi prodigiosi a opera di Gesù: la moltiplicazione dei pani e dei pesci e il suo camminare sulle acque al lago di Tiberiade.
In modo particolare è facilmente intuibile la correlazione tra il miracolo dei pani e dei pesci e la ripresa da parte del Signore nel definirsi “il pane vivo, disceso dal cielo”.
Mentre Matteo, Marco e Luca raccontando della moltiplicazione dei pani e dei pesci pongono l’accento maggiormente sulla compassione del Cristo nel vedere gente affamata e stremata alla sua sequela, Giovanni volutamente, come spesso accade, coglie l’occasione dei segni prodigiosi del Signore per consegnarci anche un significato che alluda direttamente alla persona stessa di Gesù e alla sua missione di salvezza.
Ecco perché nel suo discorso pone in evidenza la duplice valenza del suo essere “pane vivo disceso dal cielo”. La prima è chiaramente da ricondurre al dono eucaristico, al dono di grazia che il suo corpo e il suo sangue offrono a coloro che se ne possono nutrire per la vita eterna.
Il secondo, sempre correlato al primo, mette in luce la dinamica della scelta e della sequela a lui da parte del credente come condizione di possibilità di un’esperienza che dà senso e significato alla sua stessa esistenza nella prospettiva della salvezza.
La forte relazione tra il nutrire e l’amare
È interessante inoltre che Cristo utilizzi la categoria dell’essere cibo come una delle più grandi rappresentazioni di sé: la stretta correlazione tra il nutrire e l’amare è alta e rivelativa della stessa natura di Dio che è Amore, nel ricordo primordiale della madre che alimenta il suo bambino, lo accudisce, lo ama.
“Colui che mangia me vivrà per me”: Gesù in queste parole, lui il Verbo incarnato, riveste il discepolo, di una dignità grande che si sviluppa nell’adesione di fede che è sequela e si traduce in uno stile testimoniale nell’agape.
Lo dice in maniera magistrale papa Benedetto nell’enciclica Deus Caritas est: “Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell’Eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi”.
I discepoli di Emmaus lo riconobbero allo spezzare del pane e una gioia traboccante li assalì a tal punto che ritornarono sui loro passi e condivisero la bellezza dell’incontro con Cristo con gli altri, vulnerabili e impauriti, nascosti nel cenacolo.
Un operare e un agire che trova quindi nei piccoli e nei poveri il punto più alto in cui questo dono non solo è ricevuto, ma anche vissuto. Scriveva madre Teresa di Calcutta: “Se non sai riconoscere Cristo nei poveri, non saprai riconoscerlo neppure nell’Eucaristia, perché un’unica fede illumina i due misteri.”