“La situazione continua a essere gravissima e peggiora di ora in ora. I nostri cristiani hanno fede e speranza nell’Essenziale, in Gesù Cristo. Stanno vivendo da mesi un Calvario senza tregua. Come il resto della popolazione della Striscia, sentono sulle loro spalle una grande illusione e una grande delusione: non riuscire a vedere un orizzonte di pace, la fine della violenza e della morte. Questo conflitto ha già procurato più di 32.000 morti, 12mila dei quali bambini. Le stime parlano di almeno 8mila persone ancora sotto le macerie”. A parlare è padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia, l’unica parrocchia cattolica di Gaza. Da Gerusalemme, dove è rimasto bloccato dalla guerra scoppiata il 7 ottobre scorso, segue costantemente, e in ogni modo, i suoi parrocchiani rifugiati da mesi nel compound parrocchiale insieme ad altri sfollati cristiani, in totale circa 600, che hanno perso tutto nei bombardamenti.
L’odore di morte
“L’altro giorno – racconta al Sir il parroco che è un missionario di origini argentine dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive) – il mio vicario, padre Youssef Asaad, che si trova dentro Gaza, mi diceva: ‘Abuna (padre, ndr.), non puoi immaginare il dolore che stiamo provando e la disperazione della gente.
Siamo circondati dal sentore di morte, lo sentiamo, forte, dappertutto.
Siamo sepolti da montagne di macerie, di spazzatura, le fogne sono esplose. La pioggia continua a cadere e, se da un lato questo è una benedizione, dall’altro peggiora le condizioni ambientali e igieniche perché provoca una grande umidità, che unita al calore del sole, fa salire l’odore dei corpi decomposti che si trovano ovunque e sotto le macerie’”. “Nonostante tutto – aggiunge padre Romanelli – ogni giorno pregano per la pace e offrono le loro sofferenze e privazioni per il cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi”. Qualcosa sul fronte diplomatico sembra muoversi con la ripresa di colloqui tra Stati Uniti e Israele per discutere di una possibile tregua. Una delegazione israeliana, secondo quanto riferito dalconsigliere per la Sicurezza nazionale americana, Jake Sullivan, è attesa a Washington per discutere anche un “approccio alternativo” all’operazione di Rafah.
Cucina riaperta
La vita dentro la parrocchia scorre lenta, difficile uscire perché “è molto pericoloso”, ricorda padre Romanelli. “Gli aiuti umanitari – spiega – lanciati dal cielo dagli Usa e da altri Paesi internazionali, così come quelli arrivati via mare, non hanno raggiunto tutti. In parrocchia non sono arrivati. Tuttavia, alcuni fedeli sono riusciti a reperire della farina e il forno ha ripreso a produrre pane. Si tratta di una grande benedizione per i nostri sfollati. A fornire aiuto è anche il Patriarcato latino. La nostra speranza è che si possa tornare a cucinare due volte a settimana”. In questo clima ieri la parrocchia ha celebrato la festa di san Giuseppe, patrono di quasi tutti i gruppi presenti in parrocchia.
“Il nostro gruppo scout è intitolato a San Giuseppe – dice il parroco -. A lui abbiamo chiesto intercessione per la pace in Terra Santa, per un cessate il fuoco immediato. Preghiamo perché la prossima Pasqua di Gesù scaldi i cuori dei potenti e li prepari alla pace e alla convivenza”.
Pericolo carestia
Sulla grave situazione umanitaria è intervenuta ancora una volta l’Unicef che, per bocca del suo direttore regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa, Adele Khodr, denuncia – sulla base dell’Ipc (Integrated Food Security Phase Classification), un’analisi sulla sicurezza alimentare e sulla nutrizione – “un’imminente carestia. La mancanza di azione da parte del mondo è scioccante, mentre altri bambini soccombono a una morte lenta. Tutti i valichi di frontiera devono essere aperti ora per consentire il libero accesso degli aiuti umanitari”. Anche Oxfam lancia l’allarme e parla di “livelli catastrofici di fame a Gaza”. Per Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia, “mai prima d’ora abbiamo assistito all’evolversi di una situazione tanto grave nel giro di poco tempo. Tra pochi giorni la popolazione nel nord di Gaza si troverà ad affrontare una vera e propria carestia, situazione che si presenterà anche al sud molto presto senza un cessate il fuoco e una risposta umanitaria adeguata. Molti bambini stanno già morendo di fame mentre la comunità internazionale resta inerte. Intanto da dicembre, il numero di persone sull’orlo della carestia è quasi raddoppiato”.