3 marzo, terza domenica di Quaresima. Don Gianfranco commenta il Vangelo: “Ogni uomo è il vero tempio dello Spirito”

don Mariconti
Don Gianfranco Mariconti

Dal Vangelo secondo Giovanni 2, 13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Don Gianfranco commenta il Vangelo: il duplice volto di Gesù

Giovanni riferisce che, all’avvicinarsi di una festa di Pasqua (la prima delle tre di cui parla il quarto vangelo), Gesù sale al tempio di Gerusalemme.
L’episodio inizia con queste parole come a volerci ricordare che anche per noi si sta avvicinando la Pasqua. Nel cortile esterno dei gentili trova gente che vende, urla, contratta. Allora viene preso da sdegno e, fatta una sferza, caccia brutalmente i commercianti fuori del tempio (hieron).
Il gesto clamoroso della purificazione del tempio, che fa da prologo a un discorso rivelativo e profetico in cui Cristo affermerà di essere il vero tempio, ci presenta sorprendentemente un duplice volto di Gesù: mite e umile, ma anche insolitamente indignato e violento.
Il Dio della Bibbia mostra spesso un volto adirato: la sua ira è inseparabile dalla sua giustizia ed è necessaria alla salvezza del mondo. Gesù stesso manifesta oggi, senza inibizioni, la sua collera quando prende a frustate i mercanti del tempio.
E’ necessario fare discernimento tra l’ira virtuosa e malvagia. L’ira virtuosa nasce dallo sdegno oggettivo per l’ingiustizia mentre quella malvagia è nutrita di spirito di vendetta. L’ira giusta è quella che si volge contro il peccato mentre quella cattiva va contro il peccatore (S. Tommaso d’Aquino).
Gesù giustifica il suo gesto intollerante con una accusa rivolta alle autorità religiose responsabili di avere tollerato la trasformazione della casa di Dio, suo Padre, in un luogo di mercimonio. Gesù sa bene che, a partire da questi piccoli e perfino necessari commerci, si arriva a vendere/comprare anche la vita di un uomo per soli trenta denari. L’ira di Gesù è motivata dallo zelo, dalla passione, dall’amore ardente per la casa di Dio fino alla gelosia per una relazione esclusiva che lo porterà a fare dono di sé. A dispetto del buonismo non si possono evitare posizioni decise e chiare come, appunto, il coraggio della denuncia contro il compromesso.

Il culto della vita

Gesù, mentre compie con durezza un gesto di protesta contro la profanazione della casa di Dio, oppone profeticamente la purificazione del tempio dagli interessi economici e la sua restituzione a casa di preghiera.
Gesù, in prima battuta, più che criticare il culto e il tempio si oppone alla loro degenerazione per restituirli, in quanto “casa del Padre mio”, alla loro vera destinazione. Nell’aggettivo possessivo “mio” c’è tutto l’affetto di Cristo per il Padre: lui e nient’altro deve stare al centro del tempio e di ogni celebrazione.
Il vero motivo del contrasto riguarda la giusta immagine di Dio. Al Dio padrone che impone un dominio servile e incute timore, Gesù sostituisce il Dio padre che ci ama come figli e perciò dona le dieci parole di vita per la nostra libertà/felicità (cfr Deuteronomio 6,3). Al culto esteriore e formalistico del tempio, propiziato dalle autorità religiose per conservare il dominio sul popolo e promuovere i propri interessi a danno di Dio e della sua immagine, Gesù sostituisce il culto della vita che onora Dio con l’obbedienza alla sua volontà e la ricerca della giustizia (cfr i comandamenti). Insieme ai mercanti il Signore scaccia perciò, con un gesto per i giudei scandaloso, tutto il vecchio apparato ormai inadeguato a celebrare il nuovo culto “in spirito e verità” (cfr Giovanni 4,23).

Il senso della Pasqua

Ma c’è un significato più profondo che ci introduce al senso della Pasqua: non si tratta soltanto di purificare quel luogo santo, ma di sostituirlo: Gesù è il vero tempio, il sacerdote e l’agnello del sacrificio.
Davanti alla provocazione di Gesù, i giudei chiedono una dimostrazione che egli agisce davvero in nome di Dio: “Quale segno ci mostri per fare questo?”. Gesù risponde con una frase misteriosa che rivela la sua identità: “Distruggete questo santuario (naos) e in tre giorni lo farò risorgere”.
L’evangelista spiega che “Gesù parlava del santuario del suo corpo”. Il segno che Gesù darà, come prova dell’autorità richiesta per mettere ordine nella casa di Dio, sarà proprio la Pasqua in cui il suo corpo sulla croce sarà distrutto ma riedificato, come vero santuario, dalla resurrezione. Dio è presente ovunque ma in modo speciale in quel santuario che è Gesù. Il santuario dell’incontro con Dio non è più il tempio di Gerusalemme ma la persona risorta di Gesù. E la resurrezione non avviene senza la passione e la morte. Per questo S. Paolo parla oggi di Cristo crocifisso come “potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Corinti 1,24).
Questo è Il significato centrale dell’episodio: Gesù propone se stesso, dopo la Pasqua, come il nuovo santuario in cui si celebra il culto della vita secondo la logica del dono di sè. La vera novità consiste nella sostituzione dei tanti sacrifici materiali dell’uomo a Dio con l’unico e perfetto sacrificio che Dio fa di se stesso all’uomo (cfr Ebrei 10,5-7), reso attuale in ogni eucaristia. S. Giovanni pone al centro del suo vangelo il Crocifisso glorioso dal cui costato trafitto escono sangue ed acqua: lo Spirito e i sacramenti che edificano la Chiesa.
Attraverso il battesimo e l’eucaristia ci viene comunicata la vita nuova, filiale e fraterna, in attesa della vita eterna. S. Paolo poi svilupperà il tema del cristiano, come tempio dello Spirito (cfr Romani 8,11), che offre sacrifici spirituali graditi a Dio (cfr 1 Corinti 3,16-17). Il luogo del culto cristiano non è più un tempio di pietre ma la nostra persona, corpo di Cristo e tempio vivo dello Spirito Santo. E’ nel nostro corpo che siamo chiamati a offrire a Dio il vero sacrificio, quello della vita intera, caratterizzata dallo zeli, da quell’amore divorante per Dio e gli uomini che è stato la ragione ultima della vita di Gesù.
Se ogni uomo è il vero tempio dello Spirito allora dobbiamo purificare il nostro cuore dai mercanti che albergano in noi. Minucio Felice ai pagani del II secolo scrive: “Noi non abbiamo né templi né altari” perché il culto cristiano è quello di “un cuore buono, una mente retta e un giudizio sincero”. Lo stesso termine “Chiesa”, nei primi secoli, non indica una costruzione di pietra ma l’assemblea dei battezzati che si ritrovano nelle case. Finite le persecuzioni, la comunità sente il bisogno di costruire edifici sacri, sia perché è cresciuto il numero dei fedeli, sia per rappresentare “l’invisibile attraverso il visibile”. Ma senza dimenticare che “una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo” (Giacomo 1,27).

No alla logica del commercio, sì all’amore gratuito verso il prossimo

Nella storia, invece di servire Dio, talvolta ci si è serviti di Dio e della Chiesa in funzione del potere e del prestigio. C’è sempre stato il rischio di piegare la religione ai propri vili interessi, anche economici, ma ben peggiore è la tentazione di estendere la logica del commercio al nostro rapporto con Dio comprando la salvezza al prezzo di fumo e preghiere (“do ut des”). Quanti vanno in chiesa malvolentieri come un dovere, una tassa che devono pagare una tantum per sentirsi a posto, più che come un dono fatto dal Signore per il nostro bene e poi, nella vita quotidiana, adorano gli idoli del successo, della ricchezza, del dominio. “E’ ben misera giustizia o bontà quella che si misura a termini di legge” (Seneca). Non pensiamo di riciclare una vita contraria alle esigenze dell’amore, della giustizia e della verità con qualche preghiera o gesto di carità.
Attualmente il pericolo di mercificare il rapporto con Dio è uscito dal tempio e non riguarda più solo la religione, ma l’intera vita sociale dove la logica del profitto determina i rapporti tra le persone, considerate come consumatori da sfruttare.
Il tempio di Gerusalemme era al centro della città. Oggi invece al centro non c’è più il tempio, come luogo dell’incontro tra l’uomo e Dio, ma le banche, il centro commerciale. Attraverso la pubblicità si creano falsi bisogni per incrementare gli acquisti. Avanza una cultura pervasiva dove si mercifica ogni cosa compresi i sentimenti, i corpi, le persone, come se fossero prodotti da commerciare per trarne profitto. Anche i tempi forti e le feste sono svuotati del mistero cristiano e riempiti dai riti di un consumismo sfrenato.
Della Quaresima è rimasto solo il carnevale. Denaro e beni, in questo contesto nel quale tutto ha un prezzo e si può vendere e comprare, non sono considerati mezzo ma diventano unico fine al punto da contrastare la relazione filiale con Dio e quella fraterna con l’uomo. Da una liturgia viva deve scaturire una vita liturgica. L’esperienza della bellezza dell’amore di Dio, comunicatoci dalla Parola e dai sacramenti, è autentica se trasforma tutta la nostra vita dedicata non più solo al lavoro, all’accumulo, al consumo ma alla gloria di Dio e all’amore gratuito verso il prossimo.

don Gianfranco Mariconti