I personaggi di questo racconto hanno nomi e luoghi di fantasia, ma la loro storia è vera.
Anna e Mario si conoscono sui banchi di scuola al liceo, si innamorano e al termine degli studi, lui medico e lei insegnante di Lettere, si sposano. Hanno presto due bambini, un maschietto e una femminuccia, e la loro vita sembra proseguire come quella tipica di una tranquilla famiglia borghese.
Amici di vecchia data, qualche cenetta nei fine settimana, qualche viaggio, ma… Ma Mario è ambizioso, trascura la famiglia per fare carriera, di fatto tutto il carico della casa ricade su Anna. Diviene primario.
È un uomo piacente ed è circondato da persone che lo adulano o forse è lui stesso che sceglie di chi circondarsi. Nel tempo Mario cambia atteggiamento con la moglie, la trascura, la svaluta, le ripete che in fondo lei è una “donnetta” che non ha saputo realizzarsi, insegna e si occupa della casa e dei bambini, invece lui…
Questo atteggiamento è accompagnato da frequenti tradimenti che finiscono per esasperare Anna, che comunica al marito che intende chiedere la separazione. Un’onta per Mario che tiene alla sua immagine esterna, vuole apparire padre e marito modello. Mario dunque rifiuta la separazione, in casa diventa sempre più irascibile e insofferente, cominciano a volare schiaffi e insulti pesanti. Finché un giorno, al culmine di una violenta lite in cucina afferra il mattarello e colpisce Anna che fugge per le scale, cerca di scappare ma il portone del caseggiato è chiuso, Mario la raggiunge e di fronte agli occhi atterriti dei figli la colpisce ancora fino a ucciderla.
E dopo?
Questi i fatti, tragici nella loro banalità. Ma dopo che succede? Quali le conseguenze per chi rimane? Il noto chirurgo, in un processo in cui viene difeso da avvocati di fama, viene dichiarato incapace temporaneamente di intendere e volere e rinchiuso in una clinica da dove uscirà poco tempo dopo.
I bambini, rimasti soli, vengono affidati in un primo momento alla nonna, ma sono troppo traumatizzati, hanno bisogno di cure costose e di essere seguiti costantemente, lei non ce la fa (purtroppo per i figli sopravvissuti al danno psicologico si aggiunge quasi sempre il problema economico). Vengono allora affidati allo zio materno che ha già tre figli suoi, ma accetta di aiutarli anche per non lasciarli in una casa famiglia.
Ancora oggi a distanza di tempo, ragazzi ormai adolescenti, sono seguiti da psicologi perché non riescono a superare lo shock subito, si svegliano di notte con gli incubi, hanno attacchi di panico, difficoltà a concentrarsi.
E il padre? Pochi anni di clinica, ora è uscito, è rientrato in possesso di tutti i suoi beni, non dà nessun contributo per i figli, ma vuole incontrarli, nonostante loro siano terrorizzati, e pare che otterrà di vederli in nome di una genitorialità mal concepita in origine.
Lo Stato deve proteggere i figli che sopravvivono
Noi dell’Associazione pensiamo che in queste tragedie lo Stato italiano debba avere un’attenzione particolare per chi rimane, debba proteggere con leggi specifiche i figli che sopravvivono.
In qualche caso è successo persino che l’uomo, dopo aver ucciso la propria compagna, si suicidi, o uccida i suoi stessi figli e, quando non gli riesce la strage di tutta la famiglia, lascia i sopravvissuti traumatizzati oltre che quasi sempre in difficoltà economiche.
Purtroppo la sorte di queste giovani vite cade nell’oblio e nell’indifferenza; i giornali, dopo aver riempito le prime pagine con titoloni, non si occupano più delle conseguenze di queste tragedie.
Vittima è chi muore, ma vittime sono anche gli orfani e i parenti che se ne devono far carico! Noi vorremmo che tutti continuassimo a occuparci di queste giovani vite, vorremmo poter aiutare i parenti che li accolgono anziché abbandonarli al loro destino. Per questo come associazione appoggiamo tutte le iniziative e le proposte di legge di “D.i.Re”, la nostra associazione di riferimento nazionale.