Domenica 15 ottobre. Don Gianfranco Mariconti commenta il Vangelo: l’immagine di un pranzo di notte

don Mariconti
Don Gianfranco Mariconti

Dal Vangelo secondo Matteo 22, 1-14

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Don Gianfranco commenta il Vangelo: le nozze

Gesù, con una terza parabola, descrive il progetto che Dio ha pensato per l’umanità ricorrendo all’immagine affascinante di un pranzo di nozze, preparato da un re per suo figlio, a cui sono chiamati alcuni invitati ragguardevoli.
Il Padre ha predisposto per l’intera umanità (la sposa) una meravigliosa festa di amore intorno a Gesù, lo sposo. Il Regno di Dio non comincia con una guerra santa (come pensavano i capi del popolo) ma con la testimonianza di Gesù che invita ad accogliere Dio come Padre, a riconoscerci come suoi figli e comportarci da fratelli. Proprio per questo Gesù ha iniziato la vita pubblica con le nozze di Cana e l’ha conclusa con l’ultima cena. Tra i due conviti troviamo i molti banchetti in casa di amici e di peccatori che alludono alle nozze di Dio con l’umanità, ragione di ogni festa e convito. Per i più invece la vita cristiana non è l’invito a una festa, ma un insieme di divieti e di doveri che mortificano la libertà e la gioia di vivere.

I beni relazionali

È bello pranzare tra amici, le persone contano più del cibo. La gioia di stare insieme è il cibo necessario per vivere. Non essendo il lavoro ma la festa, segno di gratuità, la vocazione originaria dell’uomo si rimane basiti davanti al rifiuto degli invitati (i giudei ostili a Gesù) che, per i campi e gli affari, sacrificano la bellezza e la gioia dei legami filiali e fraterni. Chi si aspettava la chiamata a diventare ricco e famoso, e invece scopre che il Regno è questione di amore, infastidito preferisce continuare a occuparsi di reddito, di successo professionale. Conviene di più farsi i fatti propri.
Non si dice che gli invitati fossero malvagi, ma che erano talmente assorbiti dalla frenesia delle cose da fare e dei beni da consumare da sentire come un disturbo tutto ciò che richiamava allo spirito. Se anche noi anteponiamo i nostri interessi e le cose materiali al Signore e alla sua chiamata è perché facciamo dipendere la gioia non dai beni relazionali ma dai beni materiali. Ma poiché il cuore dell’uomo è fatto per cose grandi rimane deluso quando si esaurisce negli interessi egoistici.

Il Vangelo ci insegna a stabilire le priorità

Dobbiamo apprendere a discernere ciò che conta perché dura (i beni eterni) da ciò che è urgente, effimero e caduco. Sul piano spirituale si verifica lo stesso errore quando trascuriamo la Messa festiva per andare dai parenti, per prenderci cura del giardino o preparare il pranzo dopo avere fatto la spesa. Ma anche chi vi partecipa deve chiedersi se ci va per assolvere un pesante dovere o come a una festa capace di trasformare i pasti stessi, consumati a casa, in un momento di convivialità. Così pure sul piano umano sbagliamo quando, per il lavoro, finiamo col trascurare la famiglia e il dialogo con i figli. Quanti sacrifici hanno fatto per noi i genitori eppure ora che sono soli in casa o all’ospizio non abbiamo tempo, almeno ogni tanto, per una visita… Il Vangelo è scuola di vita perché ci insegna a stabilire delle priorità, a tendere all’essenziale.

La chiamata della comunità cristiana

Il rifiuto dei capi del popolo ebraico amareggia il re che comunque non rinuncia al suo progetto di salvezza, ma semplicemente lo cambia perché desidera condividere la sua vita. Dio non fallisce. La sua fantasia, animata dall’amore, trova una via nuova e più grande. Dio, invece di arrendersi, trasforma il rifiuto in occasione per invitare tutti quelli che si trovano ai crocicchi delle strade, buoni e cattivi, senza escludere nessuno. Tutti. E sorprendentemente proprio l’umanità dei crocicchi affamati di festa, quelli di fuori, gli esclusi, considerati dagli scribi e dai farisei indegni di partecipare a una festa regale, accettano l’invito. E così alla fine la sala si riempie di commensali.
Poi saranno i popoli pagani ad accogliere la predicazione degli apostoli ed entrare nella Chiesa. Le prime comunità cristiane formate prevalentemente da gente umile e povera, proveniente talvolta dal mondo pagano, ascoltava con commozione questa parabola inclusiva. Dio invita oggi la comunità cristiana a non stancarsi di chiamare, davanti ai ripetuti rifiuti, uscendo per raggiungere le periferie in cui si trovano tutti i miserabili di cui nessuno si occupa. Cuori ardenti, piedi in cammino.
Come Gesù che accoglieva tutti – ripete papa Francesco – pure la Chiesa deve essere ospitale perché quanti, per i loro sbagli, vengono respinti e disprezzati dalla società, sono considerati invece da Dio degni del suo amore.

L’abito nuziale

Abbiamo infine un ultimo colpo di scena. Si può partecipare alla festa a una condizione: indossare l’abito nuziale che consiste in una candida tunica di lino ricevuta in dono all’entrata come segno dell’invito. Rifiutarla significa una grave mancanza di cortesia. Universalità della salvezza e identità. Mettersi a tavola con qualcuno è segno di amicizia. Chi invita fa un gesto di generosità ed esprime volontà di comunione. Chi accetta si dispone al dialogo, apprezza i doni offerti e ringrazia.
Che dire se uno va a una festa e poi al momento del pranzo rifiuta di mangiare facendo proprio lo stile di gratuità del re?
Non basta accogliere l’invito a fare parte della Chiesa, dove si celebra l’eucaristia in cui continua ogni giorno l’esperienza del banchetto di nozze dell’Agnello, se non si apre il cuore alla grazia, ci si converte e si inizia a vivere un’esistenza filiale e fraterna, fino alla condivisione dei beni, in attesa del banchetto eterno. Può partecipare chi non mantiene il vestito vecchio delle proprie compagnie sballate, dei propri vizi, degli interessi egoistici. L’abito nuziale è per Matteo una vita di grazia conforme alle beatitudini evangeliche. Questo ci fa pensare all’espressione paolina: “Avete rivestito Cristo”. Mentre per l’Apocalisse “la veste di lino sono le opere giuste dei santi” (19,8). Di questo abito dovremmo occuparci e preoccuparci più che dei vestiti firmati.

don Gianfranco Mariconti